“Con tutto il rispetto per Sua Santità, noi non abbiamo bisogno di mediatori”. Il grande comunicatore Volodymyr Zelensky stavolta ha sbagliato comunicazione. Non si esce dallo studio del Papa sbattendo la porta. Non solo perché il Papa è il Papa. Ma anche perché la voce di Francesco – che gli ha regalato un ramoscello d’ulivo in bronzo – è oggi la voce dei tantissimi che soffrono per la guerra. Dunque, è anche la voce degli ucraini stremati dall’aggressione russa.
E poi: è sicuro che oggi il Papa punti a fare il mediatore tra Russia e Ucraina? Certo, la speranza di portare russi e ucraini al tavolo della pace è sempre tenacemente custodita da Francesco e guai se non fosse così. Ma dopo più di un anno di guerra, in Vaticano non ci si fa molte illusioni su un accordo tra due contendenti concentrati più che mai sullo scontro militare. E non sembra che da parte della Santa Sede ci fossero grandi attese in questo senso riguardo alla visita di Zelensky. Sarà perché il suo viaggio è stato preparato in pochi giorni, ma dice qualcosa che il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, non abbia incontrato il presidente ucraino in quanto impegnato a Fatima.
E i colloqui con il papa e con monsignor Paul Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali, hanno riguardato soprattutto le questioni umanitarie. Che la Santa Sede guardi altrove lo si era già intuito nei giorni scorsi quando Francesco, tornando dall’Ungheria, ha parlato di una missione di pace vaticana, ancora coperta da segreto. Russia e Ucraina hanno subito dichiarato di non saperne niente e a molti ciò è suonato come una smentita. Ma forse voleva solo dire che i “canali” di cui parla il Papa non li riguardano immediatamente.
Se oggi russi e ucraini sono più che mai uniti contro la pace, conviene allargare lo sguardo. Nello scenario internazionale sono in corso evoluzioni interessanti. Lunedì comincerà la missione di Li Hui in Ucraina, cui seguirà una sua trasferta in Russia. Si tratta di un diplomatico di lungo corso, già ambasciatore a Mosca, inviato dal leader Xi Jinping a rendere ancora più concreta l’iniziativa di pace cinese, la cui consistenza è stata ostinatamente negata da molti osservatori occidentali sino a ieri. In realtà, fin dall’inizio della guerra Pechino ha manifestato disagio per l’aggressione russa all’Ucraina, per passare poi via via a invocare la pace, a presentare un piano in dodici punti, a cercare contatti con altri interlocutori, anzitutto europei.
Piccoli passi, se si vuole, ma tutti nella stessa direzione. Il presidente francese Emmanuel Macron ha avuto ragione ad accreditarne l’autenticità: la sciagurata scelta del leader russo Vladimir Putin ha molti effetti negativi per gli interessi cinesi. Ciò non significa che la missione di Li Hui ottenga risultati immediati. A Roma, Zelensky ha gelato molte speranze dichiarando che al massimo potrà servire più avanti. Ma intanto, si sta delineando un riavvicinamento tra Stati Uniti e Cina: prima il discorso di Janet Yellen, segretaria al Tesoro, e poi quello di Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale, a seguire l’incontro a Pechino tra l’ambasciatore statunitense Nicholas Burns e il ministro degli Esteri cinese Qin Gang e poi quello tra Wang Yi, capo della diplomazia del Partito comunista cinese, e lo stesso Sullivan a Vienna: è probabile che anche la Santa Sede stia guardando con attenzione a queste evoluzioni della situazione internazionale, così importanti per pace in Ucraina e non solo. Anche per questo, alla vigilia della sua giornata romana, il New York Times ha titolato “Zelensky arrives in Italy for meeting with Pope Francis”, collocando in secondo piano gli incontri del presidente ucraino con i rappresentanti dello Stato italiano.
Un errore, dunque, quello di Zelensky con il papa. A meno che non abbia sbagliato sapendo di sbagliare. Perché, insomma, non poteva fare altrimenti. In assenza del minimo spiraglio da parte russa, probabilmente Zelensky – che non ha mai abbandonato mimetica e felpa entrando nei palazzi romani – non può fare altro che interpretare il ruolo di comandante in capo. C’è qualcosa di tragico nella sua figura, speculare sotto questo profilo a quella di Putin, entrambi impossibilitati a uscire dal ruolo che la situazione impone loro.
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