Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». (Gv 10, 1-10 – IV di Pasqua A).
30 aprile 2023. E’ sempre un po’ difficile sottrarre la definizione di Gesù Buon Pastore a facili e fuorvianti sentimentalismi. Forse succede anche perché sappiamo poco di pecore, pastori, vita rurale, problemi e pericoli di una vita lavorativa difficile. Nel brano di oggi, prima ancora di definirsi “buon pastore”, Gesù fa riferimento a problemi concreti: ladri, briganti, porte da varcare, vicinanza alle pecore e riconoscimento della voce. Eppure…
“Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro”. Questa annotazione fa un po’ pensare. Quanto Gesù aveva detto prima non richiedeva particolari conoscenze della vita di pastorizia. Ma cos’è allora che gli apostoli non capiscono? La differenza tra il pastore e i ladri o briganti? Non capiscono o non vogliono capire? Pe non parlare di pastori che sono ladri e briganti, lupi travestiti da pecore ce ne sono eccome. Dobbiamo negare la realtà? C’è da scandalizzarsi? Niente di tutto questo. Dobbiamo solo imparare continuamente da Gesù ciò che distingue i veri pastori dai ladri o briganti. Sono diversi gli elementi e meritano tanta attenzione.
Il pastore “entra dalla porta”. Il vero pastore non si nasconde e non ha nulla da nascondere. Il suo ruolo è chiaro e riconosciuto. Chi fa il bene non ha paura di mettere la faccia; se si nasconde vuol dire che qualcosa non va.
Il pastore “ascolta, chiama, conduce, precede le pecore”. Quanta cura c’è in questi verbi! La cura degli altri che mi sono affidati. Non vale solo per i pastori ecclesiali vale per tutti coloro che hanno responsabilità in gruppi e istituzioni, dove sono affidate loro persone. E’ spesso diventato retorico (purtroppo) citare professioni che hanno cura o quelli che, per il prendersi cura degli altri, perdono persino la vita. Retorico e stucchevole specie quando viene da chi, oggi come ieri, si fa i fatti propri, pensa ai propri interessi e discetta su massimi sistemi, dal proprio saluto.
Un’ultima osservazione: il brano, specie la sua seconda parte fa capire che non ci sono vie di mezzo: o si è buon pastori o ladri e briganti. O il bene o il male. E’ un dualismo preciso, certamente carico anche di rischi di estremismi e integralismi. Non penso che il Signore voglia indurre a questi; quanto piuttosto al fatto che bisogna essere autentici, senza ambiguità. Se si fa il bene bisogna farlo “per dare la vita e darla in abbondanza”; se si fa il bene bisogna permettere agli altri di “entrare attraverso di noi e trovar pascolo”. Certo è un riferimento alto, difficile – è difatti Gesù il riferimento! – ma non possiamo barattarlo. Possiamo solo confessare le nostre debolezze e peccati. Nessuno può dire o immaginare di essere fuori pericolo. Tutti noi possiamo incontrare ladri e briganti o, ancor peggio, diventare noi stessi ladri e briganti.
Servire gli altri è bello quanto difficile, affascinante quanto faticoso. In sé e per sé il potere o è per il bene o non è, cioè diventa una perversione, che nega l’imprescindibile rapporto che c’è tra il servire e dare la vita; tra il comandare e fare del bene a tutti. Paul Tillich direbbe che proprio l’aver negato questo rapporto ha portato molti a giustificare teoricamente e praticamente il connubio tra potere e forza; ma, per quanto il potere possa servirsi di esse, il potere non coincide, né con l’una, né con l’altra. In altri termini si può dire che è improprio parlare di potere, se questo è segnato da violenze e ruberie di tutti i ladri e briganti. Il Buon Pastore vuole genitori, docenti, educatori, politici, responsabili economici e culturali, preti, vescovi, cardinali, papi, leader di gruppi religiosi e istituzionali capaci di dare la vita, ovvero sempre pronti ad “ascoltare, chiamare, condurre, precedere le pecore”, con intelligenza e sensibilità, mai l’una senza l’altra. Altrimenti sono solo ladri e briganti o molto vicini a diventarlo per ignavia, paura e interessi vari. E di essi ne abbiamo già tanti, dentro come fuori il suo gregge di Cristo: l’autentico Buon Pastore!
Rocco D’Ambrosio,
presbitero, doc. di filosofia politica, Pont. Università Gregoriana, Roma; pres. Cercasi un fine, Cassano, Bari.