Un Atlante per mappare il pullulare d’imprese sociali e di volontariato, di Aldo Bonomi In Italia c’è una nebulosa di economia della prossimità fatta da 452mila organizzazioni, con 2 milioni di addetti e 98 miliardi di valore aggiunto.

Molto utile «L’Atlante delle economie sociali» messo a punto da Guido Caselli, statistico caldo nel suo ironico e amaro «gioco con i freddi numeri» presentati da un “robottino” da intelligenza artificiale che precipita sul territorio per farne racconto e interpretazione leggera della geografia mutante del welfare e dei luoghi. Mettendo assieme potenza di calcolo, pluralità di fonti statistiche, usa sempre interpretare il dato con la densa sociologia urbana delle Città invisibili di Calvino. È un atlante che ci restituisce l’avanzare di un’economia dei servizi sempre più legata alle economie delle vite minuscole che arrancano per abitare, curarsi, mangiare e nella mobilità non solo dei corpi, ma anche dell’andare oltre il muro della solitudine. Quel “robottino” rimanda ad un segmento alto di terziario affluente di imprese della consulenza aziendale, del commercio elettronico, della comunicazione e della rendita immobiliare diffusa che abita le reti digitali della simultaneità dei padroni dell’algoritmo. L’Atlante ci dà conto del proliferare in basso di economie di prossimità nel quale rientrano imprese sociali, cooperative e organizzazioni di volontariato che presidiano l’ultimo miglio con servizi di prossimità alle persone (cura, inclusione sociale, promozione culturale e sportiva) nella manutenzione minuta di edifici, spazi pubblici, ambiente, logistica delle merci, nel turismo e nella ristorazione. Una nebulosa di economia della prossimità fatta da 452mila organizzazioni (3 su 4 di volontariato) con 2 milioni di addetti (70% nella cooperazione sociale) e 98 miliardi di valore aggiunto. Numeri più larghi di quelli Istat: 360mila, segnalando così l’urgenza di una rivisitazione necessaria al nostro ragionare di classi sociali e di composizione sociale. È quella che Caselli denomina “magnitudo” mappando un proliferare dell’economia sociale che rimanda ad una questione non da poco: se questa sia solo un terzo settore a supporto dell’economia o viceversa questione sociale prima dell’economia. Svelata anche dal suo fare atlante dei territori, essendo l’economia sociale e di prossimità in simbiosi alla spesa pubblica locale nelle piattaforme territoriali dove si fa coesione sociale per competere anche con welfare aziendale, dove si stressano le virtù civiche prima dell’economia e dove si produce capitale sociale per stimolare enti locali ed economie soprattutto al sud. Visto dal territorio vien da chiedersi se siamo di fronte solo ai numeri del terzo settore o non all’inizio di un terzo racconto. Da iniziare, suggerimento per Caselli, dotandoci di un atlante per capire i tanti che sono ai lavori mobilitando senso e passione sociale, ma con quale reddito, con quale micro bilancio delle impresine e delle micro cooperative con quale contratto e salario nella nebulosa delle economie di prossimità. Diradando così la nebbia prodotta dalla crisi fiscale dello Stato e degli enti locali nella crisi del welfare. Scavando nell’importanza della tessitura sociale, dell’intreccio relazionale che si fa coscienza dei luoghi capace di attrarre persone e imprese, per combattere l’inverno demografico e rigenerare la cultura del lavoro e dell’impresa mutando un termine a me caro come “geocomunità.” Alimentate da piattaforme territoriali in cui «i luoghi sono più luoghi», dove il layout del capitale relazionale si intreccia secondo una relazione interrogante con la dimensione competitiva, facendo perno sui nodi delle metropoli ma soprattutto, sulla rete delle città medie, interfaccia intelligente di commutazione della metamorfosi. E qui, torno con Caselli alle Città invisibili di Calvino. A Ersilia, dove la complessa trama dei fili tesi tra gli edifici ci rimandano all’idea del territorio come costruzione sociale in itinere tra sfilacciamenti, strappi, rammendi e grovigli che nella modernità si fanno economia sociale, oltre le mura dell’impresa, della cooperativa sociale, del volontariato, ibridando profit e non profit nella prossimità dell’ultimo miglio. Per questo occorre raccontare e far pesare la composizione sociale di una moltitudine lillipuziana messa al lavoro per la riproduzione della capacità umana vivente e raccontarla sul confine del margine che si fa centro, induce ad una rappresentazione non solo di un terzo settore in consolidamento imprenditoriale, ma di un terzo racconto in grado di dar conto delle comunità in itinere inquiete ed operose sul territorio, interrogando l’economia sul confine della crisi ecologica e del modello di sviluppo. È un dibattito che anima da tempo anche il Forum Nazionale del Terzo Settore che si riunirà a Roma prossimamente. Sono tracce di speranza.

https://www.ilsole24ore.com/art/un-atlante-mappare-pullulare-d-imprese-sociali-e-volontariato-AGTWneo

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