Tutti, tutti, tutti. Parole per una pace possibile, di Aurelio Carella

“Todos, todos, todos!” scandiva papa Francesco, nel Parque Eduardo VII di Lisbona, durante la Giornata Mondiale della Gioventù. Tutti, tutti, tutti, rispondeva la marea umana, sventolando centinaia di bandiere diverse, sull’altura che era stata ribattezzata la Collina dell’incontro. Il riferimento di papa Francesco era all’inclusione di tutti nella Chiesa, una grande carovana con il dovere di non lasciare indietro nessuno, eppure il contesto, un raduno internazionale di giovani, conferiva alle sue parole un ulteriore significato, ossia il sogno di un mondo riconciliato, in cui ciascuna persona riconosca di appartenere all’altra.

Di quell’invito sembra rimanere solo un’eco lontana, di fronte alle tante guerre che spuntano come funghi – una crescita in realtà ampiamente annunciata, coltivata nell’humus di conflitti decennali, di insufficienti interventi degli organismi internazionali preposti – e l’unico todos, todos, todos che rimbomba è purtroppo quello del tutti contro tutti, la tragica lacerazione del tessuto umano in mille rivoli: il pianeta non sembra più un continuo, una sfera tutta d’un pezzo, ma un groviglio di tante strisce di terra raggomitolate l’una sull’altra, l’una contro l’altra. E le bandiere, più che appartenenze in dialogo, diventano stendardi, blasoni che indicano da quale parte del mondo si sta. Anche quando vengono proiettate, su grattacieli e ponti, su torri e palazzi storici, finiscono per testimoniare più la rivalità della solidarietà.

Come riscoprire dunque il todos, todos, todos del papa, come risalire insieme la collina della pace e dell’incontro? Un suggerimento, modesto ma chiaro, perviene dalle parole che propone oggi, domenica 15 ottobre 2023, la liturgia cattolica romana, che celebra la XXVIII domenica del tempo ordinario. Perché in ognuna delle tre letture canoniche risuona almeno una volta la parola “tutti”.

A cominciare dal re, che per la festa di nozze del figlio, chiama tutti, cattivi e buoni. Quando estendiamo gli inviti per matrimoni e altre feste facciamo attenzione a quali posti occupano i nostri cari, in modo che coloro che hanno difficoltà di comunicazione siano sufficientemente distanti gli uni dagli altri. Sperando che la giornata di gioia non si riempia di sguardi, rancori, mormorii. Il re della parabola, forse agevolato dalla modalità della festa, che era diversa dalle nostre, va oltre: chiama tutti, cattivi e buoni. Sapendo che in realtà non esistono né i primi, né i secondi, in quanto le azioni non coincidono con la persona, ciò che facciamo non qualifica chi siamo, quelle buone non ci rendono meritevoli, né quelle sbagliate dannati. Anzi, c’è qualcosa che ci accomuna  – e siamo già al secondo “tutti” – è una coltre, un velo, come dice Isaia, che ricopre tutte le nazioni. è il velo della morte, del peccato, del fallimento, della nostra miseria. Probabilmente chi è riuscito a riscattarsi ha avuto semplicemente la fortuna di una o più mani tese, o ha trovato il coraggio sufficiente per tirare fuori tutto il dolore, gridare e squarciare quel velo. Il pensiero cattolico lo chiama peccato originale, a cui può rimediare la grazia, ossia la chiamata per tutti, che a sua volta suscita la nostra volontà, uno scatto di forza, di orgoglio, o anche l’umile desiderio di ripartire: tutto posso in colui che mi da forza, scrive san Paolo. Perché, spiega, è “abituato a tutto”, alla fame e alla sazietà, alla ricchezza e alla povertà.

Allora anche noi, forti di questa consapevolezza, possiamo far tutto. Nulla è impossibile a Dio, purché i cammelli si facciano tanto piccoli da passare per la cruna di un ago, come ricorda proverbialmente Gesù. Allora la bontà che ci viene richiesta è quella di riconoscere tutti il rischio di un ego un po’ grasso, di essere radicalmente buoni in quanto creature, amate e redente, o semplicemente in quanto essere umani, ma di non essere migliori degli altri. Tutti chiamati a festeggiare la vita, dipanando quella nube tossica di violenza e odio che sta avvolgendo tutta la terra, facendo tutto il possibile: che è il bene che possiamo compiere, non da soli, ma insieme.

[presbitero Arcidiocesi Trani-Barletta-Bisceglie,

referente zonale per la Pastorale Giovanile di Bisceglie]

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