Mercoledì scorso, di buon’ora, un centinaio di poliziotti turchi eseguiva il mandato d’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, probabilmente il politico più popolare oggi in Turchia. A decidere la delicatissima partita turca, cinicamente aperta da Erdogan, potrebbe essere il fattore tempo. Ne sembrano tutti coscienti, sia gli oppositori sia Erdogan, che ha scelto di giocare con largo anticipo la sua terrificante «mossa politica» per tornare ancora una volta alla Presidenza della Repubblica. Analizziamo subito il suo comportamento.
Erdogan vuole essere rieletto, ma la Costituzione glielo impedisce. Dunque ha pensato di cambiarla, sostengono i più, introducendo la possibilità di un mandato in più. Ma per riuscirci ha bisogni di voti in Parlamento, voti che non ha. Così un leader nazionalista a lui vicino ha cominciato, mesi fa, a mandare segnali di apertura ai curdi, che se appoggiassero Erdogan gli darebbero questa possibilità.
Le aperture darebbero poi a Erdogan, se di successo, di presentarsi come il leader che ha voltato una pagina di circa mezzo secolo. Poi c’è il quadro internazionale che sembra aiutare Erdogan; viene descritto come ben visto a Washington e ritenuto da molti in Europa, nel nuovo quadro, un possibile partner militare «importante».
L’epocale discorso di Ocalan, che ha definito finita la stagione della lotta armata, invitato i curdi a confrontarsi sul terreno democratico nazionale (turco), ed esortato il suo PKK a disciogliersi, ha dato grande slancio alle speranze incarnate dal partito filo curdo DEM. A che punto sarebbe il negoziato? Non si sa, perché pochi giorni dopo Erdogan ha innescato la fase 2, con l’arresto di Imamoglu. Accuse di corruzione, ovviamente, ma anche accuse di terrorismo, per i suoi rapporti con alcuni esponenti curdi, ritenuti del PKK. Ma rapporti con i curdi adesso il primo ad averli è Erdogan, che si è detto disponibile a un incontro con i leader di DEM.
Queste davvero non presentabili accuse, almeno per l’insidiosissimo capitolo del terrorismo, potrebbero traballare, ma non è questo il punto su cui soffermarsi ora, è l’enormità della protesta dei giovani turchi, in tutto il Paese. 1400 arresti in questi pochi giorni non sono valsi a fermare il fenomeno, che dalle proteste del 2013 non conoscevano una fiammata di queste dimensioni. Tutti gli atenei sono sottosopra, i giovani turchi appaiono determinati ad andare avanti. Alcuni addirittura, incuranti dei pericoli, parlano anche con i media stranieri.
Le primarie nel principale partito di opposizione hanno già consegnato al sindaco arrestato una valanga di voti, praticamente tutti gli elettori che vi hanno preso parte lo hanno scelto come il loro candidato. Dunque lui ora non è solo un sindaco, il più importante, ma un leader di partito, il principale partito di opposizione. E questo cambia il quadro. Ma non è il principale cambiamento.
L’opposizione turca, infatti, ha deciso di lanciare il boicottaggio di negozi di ogni tipo, dalle grandi catene alle piccole botteghe, di gruppi o imprenditori legati al partito di Erdogan. E siccome l’opposizione è forte tra i ceti medi e medio alti, tra i giovani e nelle grandi città, il boicottaggio minaccia di assestare un serio colpo a tutta o a gran parte dell’imprenditoria erdoganiana. In una fase nella quale l’economia, dopo anni di follia detta «erdoganomics» – l’economia secondo Erdogan – cominciava un po’ riprendersi, questo boicottaggio potrebbe essere molto grave, per la Turchia e per i singoli gruppi o piccoli imprenditori legati ad Erdogan.
Se si considera che si voterà nel 2028, e che un voto anticipato potrebbe aver luogo non prima del 2027, è chiaro che tutto dipende dal fattore tempo. La tenuta economia del Paese e degli imprenditori amici appaiono ai più il fattore determinante per Erdogan, difficilmente può permettersi di portare il Paese in una nuova crisi economica. Ma i suoi avversari sapranno reggere nel tempo sulla linea del boicottaggio? Quanto a lungo? Il tempo sarà la loro arma o quella del presidente che si vorrebbe Sultano?
Su versante giovanile c’è però una variabile indipendente da considerare. La deriva assolutista di Erdogan rende molti di questi giovani «disperati», cioè non hanno molto da perdere visto il clima politico culturale in cui vivono. Per questo gli arresti non avrebbero intimorito molti. E questo ad oggi appare un elemento che Erdogan potrebbe aver sottovalutato, più della scarsa tenuta della lira turca, in affanno.
Poi c’è il discorso religioso: la comparsa di un giovane manifestante a volto coperto perché vestito da derviscio rotante mira a minare il discorso religioso di Erdogan. Qualcuno applaude, qualche altro no. Ma questo è un discorso più complesso.
Il tempo della sfida economica, nazionale e commerciale, è quello più importante. La determinazione dei giovani «disperati» potrebbe tenere aperta una ferita, che prolungando il boicottaggio potrebbe – forse – essere esiziale. Dalla sua Erdogan ha la possibilità che nel tempo il movimento si dissolva, complice quel senso di distacco e rassegnazione che sempre citano gli esperti di realismo. Si vedrà.
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