Tra il dire e il fare c’è l’impegno, di Rocco D’Ambrosio

Il Vangelo odierno: In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano
(Mc 16, 15-20 – Ascensione B).

Non ci sono solo le campagne elettorali, gli slogan pubblicitari. Ci sono anche la pubblicità e il web, le chiacchiere da bar e quelle tra amici e parenti, i colloqui di lavoro e, persino, le parole dell’intimità di coppia e amicale. Tutto è soggetto al rischio di chiacchiere vuote e, spesso, false e dannose. Tutto è a rischio di fake news. Tutto a rischio di inutilità e scarsezza di coerenza tra il dire e il fare. Si pensi, per esempio, alla campagna elettorale o alle informazioni sulle guerre. Si dice, si dice e si dice…

“Confermare la Parola con i segni che la accompagnavano” è una particolarità che non riguarda solo i discepoli. Il secolo scorso è attraversato da riflessioni sul rapporto tra parola e azione. Non c’è solo la filosofia a riflettere su questo rapporto, c’è anche l’esperienza semplice e quotidiana di ognuno di noi. Tante parole non sono seguite dai gesti, quindi sono vuote, sono delle vere e proprie chiacchiere. Tante, forse non proprio tante, sono efficaci, “fanno quello che dicono”. Sono come quelle del buon Dio: nella creazione Egli “dice e fa” e “fu sera e fu mattino. E Dio disse… ed essa/o fu”. Parola e fatti.

Per il buon Dio è andata così. Per noi spesso diversamente, anche molto diversamente. Tuttavia il problema resta: legare parole e fatti. “Il potere è realizzato solo dove parole e azioni si sostengono a vicenda, dove le parole non sono vuote e i gesti non sono brutali, dove le parole non sono usate per nascondere le intenzioni ma per rivelare realtà, e i gesti non sono usati per violare e distruggere, ma per stabilire nuove relazioni e creare nuove realtà”, scrive Anna Arendt in The human condition, Vita activa.

La tentazione sarebbe applicare l’espressione della Arendt solo a chi esercita un potere, di qualsiasi tipo. Credo invece che la Arendt ci aiuti a cogliere una dinamica antropologica che riguarda tutti, del resto chi governa à sostanzialmente “simile” a chi è governato. Allora, bisogna imparare e re-imparare a “sostenere parole e azioni a vicenda”. Vale per noi, vale per le persone con cui ci relazioniamo, potenti compresi. Bisogna diffidare quando le parole diventano vuote e i gesti brutali, quando le parole nascondono realtà e i gesti distruggono relazioni. Che fare, allora, in questi casi? Dire no. Dire che non ci stiamo. Dire che “questa gente è dura di cuore e non può essere nostra amica”, come diceva Pascal. Ma lo si può dire agli altri nella misura in cui si esercita vigilanza su di sé, chiedendo prima a se stessi e poi agli altri.

Un’ultima nota. Il Vangelo dice che il Signore confermava la Parola con i segni. Potrebbe sembrare  un’invito alla deresponsabilizzazione. Ma non è così. Il Signore cerca e promuove solo chi collabora alla sua opera. Lui dice e fa. E “dire e fare” è ciò che si aspetta da noi.

Rocco D’Ambrosio  

[presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]

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