Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!».
Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì.
Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» – (Mt 9,36 – 10, 8 – XI TO/A).
Ieri pomeriggio, con alcuni amici di Cercasi un fine, abbiamo visitato Barbiana, la canonica e la parrocchia di don Lorenzo Milani (1923-1967), nonché il luogo dove è sepolto. Le letture della messa prefestiva, che abbiamo celebrato nella sua chiesa, le abbiamo “lette” alla luce dell’esperienza del priore di Barbiana.
La prima lettura ci presenta Dio che dice al suo popolo: “se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli” (Es 19). E’ il tema della fedeltà. Dio promette fedeltà da parte sua a chi ascolterà, custodirà e vibra l’alleanza. Mi ha ha fatto tornare in mente il testamento di Milani: “Ho voluto più bene a voi ragazzi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze”. E’ Milani che esprime la coscienza di aver “fuso” l’amore per i ragazzi e quello per Dio, anche se ne riconosce qualche limite. Ma non possiamo dimenticare anche il priore che testimonia la sua fedeltà alla Chiesa: “Noi la Chiesa non la lasceremo perchè non possiamo vivere senza i suoi Sacramenti e senza il suo Insegnamento”. E al mondo: nella lettera ai Giudici scrive di essere stato: “Severamente ortodosso e disciplinato e nello stesso tempo appassionatamente attento al presente e al futuro”. Milani testimonia come fedeltà Dio, a coloro che si servono, alla Chiesa e al mondo vanno vissute e misurate insieme. Altrimenti abbiamo una vita cristiana ipertrofica, dove un “arto”, cioè una forma di dedizione, è più estesa di un’altra.
La pagina evangelica mostra Gesù che sente “compassione”, “tenerezza” (traducono alcuni) e invia i suoi discepoli a evangelizzare. L’I CARE di Milani è certamente una forma di compassione, tenerezza che ci muove a prenderci cura degli altri. In termini conciliari è un modo per essere fedeli agli altri, nella stessa misura in cui si è fedeli a Dio. sono sempre molto sorpreso dalle parole di cattolici tradizionalisti che riempiono gli incontri e i social con frasi sull’amore per Dio, la fedeltà ad alcuni valori, alcune pratiche liturgiche e devozionistiche e poi nascondono, più o meno, il loro rifiuto (razzista) di stranieri e poveri con pseudo argomenti politici e sociali. Per non parlare degli “atei devoti” che non credono in niente se non in se stessi. Mi ritrovo, invece, nella testimonianza di Flavia Franzoni Prodi: amare Dio e gli altri, specie gli ultimi, con intelligenza, studio e passione. C’è una profondità da meditare spesso nelle parole, di Milani, che seguono: “Il desiderio d’esprimere il nostro pensiero e il capire il pensiero altrui è l’amore. E il tentativo di esprimere le verità che solo s’intuiscono le fa trovare a noi e agli altri. Per cui esser maestro, esser sacerdote, essere cristiano, essere artista e essere amante e essere amato sono in pratica la stessa cosa” (Lettera).
Per diversi motivi culturali e politici viviamo (e vivremo purtroppo) giorni in cui, sempre più, alla cura si sostituisce il rifiuto, la condanna e l’esclusione degli altri, specie ultimi e stranieri; in mare come in terra. Gesù invia ad annunciare il suo Vangelo a tutte le persone e in tutti gli ambienti. Guai a mutilare quest’opera, che è l’estensione della sua tenerezza nel mondo.
Scrive Milani in Esperienze pastorali: “Vorrebbero ridurti a funzionario. Non sopportano che tu sia uomo, non sopportano che tu voglia intervenire nel tran tran della vita, che tu voglia smuovere le cose ferme, sovvertire, un ordine che si sono dati e che di cristiano non ha più nulla. Si, insisto. Nulla. Perché cosa ci può essere di cristiano là dove si rifiuta al prete questo diritto di avvertire, di parlare, di scuotere? Ma che dico al prete. Là dove si rifiuta alla Parola di penetrare. E al pensiero, alla ragione. Dove si rifiuta alla Religione stessa d’entrare nei fatti della vita”
Rocco D’Ambrosio,
presbitero, doc. di filosofia politica, Pont. Università Gregoriana, Roma; pres. Cercasi un fine, Cassano, Bari.