Telegram, X, Facebook e i governi democratici: per un equilibrio dei diritti e dei poteri, di Luca De Biase

Miliardi di persone passano sui media sociali gran parte del tempo che dedicano alla comunicazione, per divertirsi molto più che informarsi. Il dibattito sulle conseguenze di queste piattaforme si disperde in un labirinto di specchi nel quale ciascuno rischia di vedere riflesso soltanto il proprio punto di vista. E i dilemmi apparentemente insolubili non mancano. Telegram è la piattaforma della libertà di espressione o l’oscuro bassofondo della pedopornografia, sicché il suo fondatore Pavel Durov merita le accuse che gli muove la Francia? X è la piazza pubblica del dibattito libero da condizionamenti oppure è una piattaforma che amplifica le idee del suo proprietario, Elon Musk, insieme ai discorsi di odio e alla disinformazione di qualsiasi provenienza? Mark Zuckerberg può essere neutrale con le sue Facebook e Instagram nella campagna elettorale americana in corso come ha deciso di promettere? È possibile per i governi dell’Europa e degli Stati Uniti regolamentare i media sociali mettendo tutti d’accordo?
Forse vale la pena di ricordare che i giudizi su queste piattaforme sono cambiati radicalmente in una dozzina d’anni. Nel 2011, all’epoca delle primavere arabe, i media sociali erano visti come i luoghi della liberazione politica, tralasciando il fatto che proprio quell’anno Zuckerberg sosteneva che la privacy era un valore passato di moda. Nel 2016, dopo il referendum per la Brexit e l’elezione di Donald Trump alla presidenza americana, i media sociali sono diventati il luogo della “post-verità”. Nel 2021 i loro proprietari si sono presi il diritto di chiudere la bocca al presidente americano dopo l’assalto al Congresso. E adesso si dividono tra “assolutisti della libertà di espressione” e rivoluzionari dell’intelligenza artificiale contrari agli interventi normativi e convinti che prima si innova e poi si aggiusta ciò che l’innovazione ha eventualmente distrutto. Chi dice che le piattaforme dovrebbero essere considerate tecnologie neutrali che si possono usare bene o male dovrebbe ricordare che a suo tempo questa era proprio l’idea proposta da Napster: eppure quella tecnologia – usata per piratare la musica – è stata chiusa dalle autorità senza particolari problemi democratici. In realtà, in quella occasione, come nei dilemmi attuali, sembra che la soluzione emerga più dal potere che dal bene comune.
Non se ne esce facilmente. Ma un salto di qualità nel dibattito è ormai necessario. E nella complessità dell’ecologia dei media, alcuni principi emergono chiari e forti. Innanzitutto, non si può affidare a un pugno di tecno-finanzieri la soluzione del problema: i governi democratici hanno il dovere di intervenire e di definire le responsabilità dei proprietari delle piattaforme. In secondo luogo, la libertà di espressione è un diritto importantissimo ma non è l’unico diritto importantissimo: i cittadini hanno diritto di vivere in un ambiente sicuro, culturalmente sano, nel quale i minori e – non solo loro – sono protetti dagli abusi, nel quale la privacy è garantita, nel quale la libertà di concorrenza è protetta e magari nel quale tutti sono chiamati a pagare le tasse. Un diritto innovativo è citato sempre più spesso: i cittadini hanno il diritto di sapere quello che gli “oligopolisti dei dati sociali”, i proprietari delle megapiattaforme, sanno sulla società. Ed è uno dei dettati più importanti del Digital Services Act approvato dall’Unione Europea.
Insomma. Occorre ridefinire i termini del problema stabilendo priorità orientate all’equilibrio tra i poteri e i diritti. Chi combatte la pedopornografia non lede la libertà di espressione. Chi chiede alle piattaforme di spiegare a tutti quali sono le logiche con le quali lasciano passare certi messaggi violenti e ne bloccano altri non diminuisce la proprietà privata. Chi impone alle piattaforme di ammettere gli scienziati a studiare i loro dati per rispondere a problemi sociali emergenti persegue il bene comune. Non sta ai governi dire che cosa è giusto si dica sui media: ma la conoscenza prodotta con un metodo empirico e documentato è un potente limite al potere. E le regole che equilibrano i poteri creano le condizioni per una prossima, possibile grande ondata innovativa: orientata a creare alternative migliori del gigantesco, cacofonico, collettivo soliloquio che si svolge sui media sociali attuali.

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