1. Introduzione
L’Insegnamento Sociale della Chiesa Cattolica (di seguito ISCC), come riporta l’Enciclica di Giovanni Paolo II Sollicitudo rei socialis, non è altro che una “accurata formulazione dei risultati di un’attenta riflessione sulle complesse realtà dell’esistenza dell’uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o difformità con le linee dell’insegnamento del Vangelo sull’uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il comportamento cristiano. Essa appartiene, perciò […], al campo della teologia e specialmente della teologia morale” (n. 41).L’ISCC si propone, quindi, di guidare la condotta dei cristiani nella vita di tutti i giorni con particolare riferimento all’impegno sociale, in quanto – come afferma Leone XIII nella Enciclica Immortale Dei – “Il vivere in una società civile è insito nella natura stessa dell’uomo” e richiede quindi una partecipazione consapevole evitando i due estremi quello della fuga e quello dell’attivismo sociale. L’ISCC non è altro che l’attuazione del messaggio di salvezza del Vangelo, che va annunciato in tutti gli ambienti e, quindi, trova il suo fondamento essenziale nella Rivelazione biblica e nella Tradizione della Chiesa (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 74) che è rivolta a tutti.L’ISCC non si presenta come un codice statico di norme sociali, ma come un ampio processo in costante sviluppo. Da questo punto di vista esso costituisce uno sforzo graduale, cauto ma crescente, volto a comprendere e ad accompagnare cristianamente l’esperienza sociale della famiglia umana. Questo insegnamento è teorico e pratico, in quanto può essere applicato a situazioni storiche future ed è aperto a un continuo rinnovamento; infatti, la riflessione cristiana riguarda situazioni mutevoli e fa proprie le sfide etiche delle diverse società.L’ISCC trova fondamento nei seguenti principi che scaturiscono dal messaggio evangelico (cfr. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 160) e che devono essere apprezzati nella loro unitarietà, connessione e articolazione(Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 162): – la dignità della persona umana: rappresenta il fondamento di ogni contenuto del Magistero sociale della Chiesa. Essendo ad immagine di Dio, la persona umana ha la dignità di persona; non è qualche cosa, ma “qualcuno”. Come è bene descritto da Giovanni XXIII nell’Enciclica Pacem in Terris: “In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili” (n.5). Si tratta quindi di dare “alla persona umana la dignità concessale da Dio fin dal principio”, come ricorda Pio XII (Radiomessaggio di Natale, 1942).- il bene comune: per illustrare il concetto di bene comune usualmente si fa ricorso alla classica analogia del corpo, le cui membra sono interdipendenti (cf. Ef 4,25). L’essere membra di un corpo costituisce il fondamento del rapporto tra le persone nel contesto sociale e, di riflesso, nell’intero genere umano. Infatti, come afferma la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes: “Il bene comune è l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi, quanto ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente” (n. 26). Il bene comune non è la somma dei beni individuali, bensì un principio superiore, chiaramente distinto dal bene del singolo e dalla somma dei beni dei singoli. La costruzione del bene comune parte dal rispetto della dignità di ogni uomo e di ogni donna, e come osserva Giovanni XXIII nella Enciclica Mater et Magistra: “favorisce negli esseri umani lo sviluppo integrale della loro persona” (n. 51).- la solidarietà: è innanzitutto una virtù, un atteggiamento costitutivo della persona che indirizza la propria libertà al bene dell’altro, in particolare di colui che si trova in uno stato di bisogno. Tuttavia, la solidarietà non può intendersi come “un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti.” (Sollicitudo rei socialis, n. 38). In termini biblici è la determinazione coerente, ferma, operosa e perseverante a “rallegrarci con quelli che sono nella gioia, a piangere con quelli che sono nel pianto, ad avere i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri” (Rm 12,15-16). La solidarietà è indubbiamente una virtù cristiana. Alla luce della fede, la solidarietà tende a superare sé stessa, a rivestire le dimensioni specificatamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione. Allora il prossimo non è soltanto un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale uguaglianza davanti a tutti, ma diviene la viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto l’azione permanente dello Spirito Santo. Ciascun essere umano, pertanto, deve essere amato, anche se nemico, con lo stesso amore con cui lo ama il Signore, e per lui bisogna essere disposti al sacrificio, anche supremo: “dare la vita per i propri fratelli” (1Gv 3,16).- la sussidiarietà: essa sta ad indicare l’intervento compensativo ed ausiliario degli organismi sociali più grandi a favore di quelli più piccoli e dei singoli cittadini. Quindi, in vista del bene comune la società si organizza col coordinamento delle attività degli individui e dei gruppi, regolato dal principio di sussidiarietà, secondo il quale le società superiori, per il raggiungimento del loro scopo, devono rispettare l’attività relativamente autonoma dei gruppi intermedi, servirsene per il bene comune a cui essi mirano, e prestar loro l’aiuto e la protezione di cui hanno bisogno. Tale principio favorisce la tutela e la promozione della dignità umana, dato che in applicazione di esso “tutte le società di ordine superiore devono porsi in atteggiamento di aiuto (“subsidium”) – quindi di sostegno, promozione, sviluppo – rispetto alle minori” (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 186). In pratica, la sussidiarietà è diretta a far sì che, i “corpi sociali intermedi”, i quali vanno dalla famiglia al Comune, passando per scuole, parrocchie, comunità religiose, associazioni, professionali etc., possano “adeguatamente svolgere le funzioni che loro competono, senza doverle cedere ingiustamente ad altre aggregazioni sociali di livello superiore, dalle quali finirebbero per essere assorbiti e sostituiti e per vedersi negata, alla fine, dignità propria e spazio vitale” (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 186) .La sussidiarietà è, quindi, uno dei principi fondamentali dell’ISCC. Tale principio opera per assicurare alla persona e ai gruppi libertà di iniziativa, autonomia e responsabilità e si collega armonicamente con gli altri principi base dell’insegnamento sociale cristiano. E’, quindi, un principio di grande rilievo sociale al quale dedicherò specifica attenzione nei prossimi paragrafi, con un focus particolare sia ai concetti generali, alle radici del principio e alla sua evoluzione storica nel Magistero della Chiesa (par. 2) sia alla rilevanza del principio in quanto importante indicazione etica per l’impegno dei cristiani nel mondo (par.3).
2. Il principio di sussidiarietà: concetti generali, radici ed evoluzione storica
Sebbene l’espressione ‘principio di sussidiarietà’ sia relativamente nuova il suo contenuto ha radici molto antiche.
Infatti, nel libro dell’Esodo si legge questo consiglio dato a Mosè dal suocero Ietro: “Non va bene quello che fai… perché il compito è troppo pesante per te… invece sceglierai tra tutto il popolo uomini integri che temono Dio… e li costituirai sopra di loro come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine”. (Es 18,17 ss.; Nm 11,14-17)Nel campo dell’insegnamento sociale cristiano, una prima traccia del principio di sussidiarietà, anche se il termine non viene esplicitamente utilizzato, si trova nella Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, del 1891, dove si evince chiaramente che il principio connota l’intera struttura sociale. Si ricorda, prima di tutto, che, in questa visione, alla base di tale organizzazione vi sono la legge naturale ed i diritti inalienabili dell’uomo, i quali vengono prima dello Stato e della società civile. Lo Stato ha, dunque, il compito di tutelare i diritti naturali della persona e, poi, in ordine crescente, della famiglia e delle formazioni sociali intermedie. In altre parole, lo Stato non può intervenire a suo arbitrio, dovunque e comunque. Esso deve solo rimediare alle gravi insufficienze o indigenze in cui si trovano a versare le singole persone e le famiglie: “in caso di gravi discordie nelle relazioni scambievoli tra i membri di una famiglia intervenga lo Stato e renda a ciascuno il suo, poiché questo non è usurpare i diritti dei cittadini, ma assicurarli e tutelarli secondo la retta giustizia. Qui però deve arrestarsi lo Stato; la natura non gli consente di andare oltre” (Rerum Novarum, n.11).La formulazione esplicita del principio di sussidiarietà è, però, da ricondursi al pontificato di Papa Pio XI che così scrive nella sua Enciclica Quadragesimo anno del 1931: “siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle” (n. 80).Viene così enunciato il principio fondamentale secondo il quale ciò che gli uomini possono fare da sé e con le proprie forze non può essere loro tolto e rimesso alla società. La sussidiarietà, secondo l’insegnamento della Chiesa Cattolica, presenta, dunque, una portata generale riferibile all’intera vita sociale ed applicabile ai rapporti intercorrenti sia fra le realtà sociali e le divere parti di esse, e fra le stesse società (minori e maggiori).A partire, dunque, dalla Enciclica Quadragesimo anno, il concetto di subsidium si ritrova in diversi scritti, encicliche e discorsi del Magistero della Chiesa Cattolica. A distanza di pochi anni, Pio XII, nell’Enciclica Summi Pontificatus, del 1939, afferma che “È quindi nobile prerogativa e missione dello stato il controllare, aiutare e ordinare le attività private e individuali della vita nazionale, per farle convergere armonicamente al bene comune, il quale non può essere determinato da concezioni arbitrarie, né ricevere la sua norma primariamente dalla prosperità materiale della società, ma piuttosto dallo sviluppo armonico e dalla perfezione naturale dell’uomo al quale la società è destinata, quale mezzo, dal Creatore. [….]. Se lo stato, infatti, a sé attribuisce e ordina le iniziative private, queste, governate come sono da delicate e complesse norme interne, che garantiscono e assicurano il conseguimento dello scopo ad esse proprio, possono essere danneggiate, con svantaggio del pubblico bene, venendo avulse dall’ambiente loro naturale, cioè dalla responsabile attività privata”.Ancora, nella Enciclica Mater et Magistra di Giovanni XXIII del 1961, il Papa afferma che l’azione dei pubblici poteri “che ha carattere d’orientamento, di stimolo, di coordinamento, di supplenza e di integrazione, deve ispirarsi al principio di sussidiarietà” (n. 40).Nella Enciclica Pacem in Terris, Giovanni XXIII estende l’operatività del principio della sussidiarietà anche ai rapporti fra lo Stato e le Comunità regionali in ambito internazionale “Come i rapporti tra individui, famiglie, corpi intermedi, e i poteri pubblici delle rispettive comunità politiche, nell’interno delle medesime, vanno regolati secondo il principio di sussidiarietà, così nella luce dello stesso principio vanno regolati pure i rapporti fra i poteri pubblici delle singole comunità politiche e i poteri pubblici della comunità mondiale […] I poteri pubblici della comunità mondiale non hanno lo scopo di limitare la sfera di azione ai poteri pubblici delle singole comunità politiche e tanto meno di sostituirsi ad essi; hanno invece lo scopo di contribuire alla creazione, su piano mondiale, di un ambiente nel quale i poteri pubblici delle singole comunità politiche, i rispettivi cittadini e i corpi intermedi possano svolgere i loro compiti, adempiere i loro doveri, esercitare i loro diritti con maggiore sicurezza” (n. 74).Anche il Concilio Vaticano II ha molto sottolineato l’importanza del principio di sussidiarietà nel campo della collaborazione economica internazionale (Gaudium et Spes, n. 86), dove senza il rispetto di questo principio non si può realizzare un giusto ordine.Nella Enciclica Populorum Progressio, Paolo VI, nel 1967, ritorna sul tema affermando che “La sola iniziativa individuale e il semplice gioco della concorrenza non potrebbero assicurare il successo dello sviluppo. Non bisogna correre il rischio di accrescere ulteriormente la ricchezza dei ricchi e la potenza dei forti, ribadendo la miseria dei poveri, e rendendo più pesante la servitù degli oppressi. Sono dunque necessari dei programmi per incoraggiare, stimolare, coordinare, supplire e integrare l’azione degli individui e dei corpi intermedi. Spetta ai poteri pubblici di scegliere, o anche di imporre, gli obiettivi da perseguire, i traguardi da raggiungere, i mezzi onde pervenirvi, tocca ad essi stimolare tutte le forze organizzative in questa azione comune.” (n. 33).Quindi, in vista del bene comune la società si organizza col coordinamento delle attività degli individui e dei gruppi, regolato dal principio di sussidiarietà, secondo il quale le società superiori, per il raggiungimento del loro scopo, devono rispettare l’attività relativamente autonoma dei gruppi intermedi, condividere e collaborare alla realizzazione del bene comune a cui esse mirano, e prestar loro l’aiuto e la protezione di cui hanno bisogno.In anni più recenti il principio di sussidiarietà è stato ribadito sia da Giovanni Paolo II, sia da Benedetto XVI ed infine da Francesco. In particolare, Giovanni Paolo II nella Enciclica Centesimus Annus del 1991, così scrive: “Disfunzioni e difetti nello Stato assistenziale derivano da un’inadeguata comprensione dei compiti propri dello Stato. Anche in questo ambito deve essere rispettato il principio di sussidiarietà: una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune” (n. 48).Questa tematica sarà ripresa ancora una volta da Benedetto XVI nella Enciclica Caritas in Veritate del 2009, la quale, rivolgendosi in particolare ai credenti e ai non credenti, mette in relazione il principio di sussidiarietà – sia con la globalizzazione: “Si tratta quindi di un principio particolarmente adatto a governare la globalizzazione e a orientarla verso un vero sviluppo umano. Per non dar vita a un pericoloso potere universale di tipo monocratico, il governo della globalizzazione deve essere di tipo sussidiario, articolato su più livelli e su piani diversi, che collaborino reciprocamente. La globalizzazione ha certo bisogno di autorità, in quanto pone il problema di un bene comune globale da perseguire; tale autorità, però, dovrà essere organizzata in modo sussidiario e poliarchico, sia per non ledere la libertà sia per risultare concretamente efficace” (n. 57).- sia con il principio di solidarietà: “Il principio di sussidiarietà va mantenuto strettamente connesso con il principio di solidarietà e viceversa, perché se la sussidiarietà senza la solidarietà scade nel particolarismo sociale, è altrettanto vero che la solidarietà senza la sussidiarietà scade nell’assistenzialismo che umilia il portatore di bisogno. Questa regola di carattere generale va tenuta in grande considerazione anche quando si affrontano le tematiche relative agli aiuti internazionali allo sviluppo. Essi, al di là delle intenzioni dei donatori, possono a volte mantenere un popolo in uno stato di dipendenza e perfino favorire situazioni di dominio locale e di sfruttamento all’interno del Paese aiutato. Gli aiuti economici, per essere veramente tali, non devono perseguire secondi fini. Devono essere erogati coinvolgendo non solo i governi dei Paesi interessati, ma anche gli attori economici locali e i soggetti della società civile portatori di cultura, comprese le Chiese locali. I programmi di aiuto devono assumere in misura sempre maggiore le caratteristiche di programmi integrati e partecipati dal basso” (n. 58).Infine, il principio di sussidiarietà è stato recentemente richiamato da Papa Francesco durante l’Udienza generale del 23 settembre 2020 come strumento per combattere le crisi non ultima quella generata dalla recente pandemia. Afferma infatti: “Da un lato, e soprattutto in tempi di cambiamento, quando i singoli individui, le famiglie, le piccole associazioni o le comunità locali non sono in grado di raggiungere gli obiettivi primari, allora è giusto che intervengano i livelli più alti del corpo sociale, come lo Stato, per fornire le risorse necessarie ad andare avanti. Ad esempio, a causa del lockdown per il coronavirus, molte persone, famiglie e attività economiche si sono trovate e ancora si trovano in grave difficoltà; perciò, le istituzioni pubbliche cercano di aiutare con appropriati interventi sociali, economici, sanitari: questa è la loro funzione, quello che devono fare. Dall’altro lato, però, i vertici della società devono rispettare e promuovere i livelli intermedi o minori. Infatti, il contributo degli individui, delle famiglie, delle associazioni, delle imprese, di tutti i corpi intermedi e anche delle Chiese è decisivo. Questi, con le proprie risorse culturali, religiose, economiche o di partecipazione civica, rivitalizzano e rafforzano il corpo sociale (cf. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 185). Cioè, c’è una collaborazione dall’alto in basso, dallo Stato centrale al popolo e dal basso in alto: delle formazioni del popolo in alto. E questo è proprio l’esercizio del principio di sussidiarietà”.
3. Il principio di sussidiarietà come importante indicazione etica per l’impegno dei cristiani nel mondo.
Il principio di sussidiarietà, insieme a quello del bene comune, rappresenta uno dei limiti fondamentali all’intervento pubblico e nello stesso tempo ha l’obiettivo di stimolare la legittima autonomia dell’iniziativa e dell’impegno della persona umana, delle comunità locali e dei corpi intermedi in ambito sociale, politico ed economico.Il principio di sussidiarietà promuove e moltiplica le responsabilità pubbliche in carico alle istituzioni e a tutte le organizzazioni sociali presenti in quel dato territorio, all’interno di un progetto condiviso. Fece parecchio scalpore il fatto che il principio di sussidiarietà, normalmente dimenticato dalle istituzioni civili e politiche, fosse stato introdotto dal Trattato di Maastricht sull’Unione Europea (UE) del 1992; l’inserimento di questo principio nei trattati europei mira quindi a portare l’esercizio delle competenze il più vicino possibile ai cittadini, conformemente al principio di prossimità di cui all’articolo 10, paragrafo 3, TUE. Il principio di sussidiarietà è richiamato anche dall’art. 118 della Costituzione Italiana. In particolare, esso afferma:” Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”. E prosegue: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.Favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà definisce un nuovo rapporto (sussidiario orizzontale) fra pubblico e privato che valorizza sia il pluricentrismo dell’interesse pubblico sia l’autonoma iniziativa per perseguire l’interesse generale cercando di dare adeguate soluzioni a nuovi bisogni emergenti. L’interesse generale è quanto, in ambito cattolico, si definisce come “bene comune”: esso stimola, da un lato, i cittadini ad attivarsi per esso e dall’altro, i pubblici poteri a fornire sostegno a cittadini e gruppi nel realizzarlo. In altri termini, tutte le volte che i cittadini, in maniera legittimamente organizzata, rispondono a problemi di carattere pubblico entrano in un circuito virtuoso in cui offrono il loro contributo e i pubblici poteri li aiutano in queste attività di carattere teorico e pratico.
4. Conclusioni
Esempi di applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale non mancano in Italia: si ricordano ad esempio in ambito ambientale il “Progetto di collaborazione tra Retake ed il Parco regionale dell’Appia Antica” e, in ambito culturale, il “Progetto Aperti per Voi”, del Touring Club Italiano in cooperazione con le istituzioni locali. Una applicazione più diffusa del principio richiede tuttavia strategie capaci di valorizzare il ruolo attivo dei cittadini in progetti finalizzati a soddisfare i bisogni delle comunità locali ma soprattutto affinché ciò si realizzi è necessario, come suggeriva Giovanni Paolo II nel messaggio alla Sessione Plenaria della Pontifica Accademia di Scienze Sociali nel 2000, che “l’opinione pubblica sia educata all’importanza del principio di sussidiarietà per la sopravvivenza di una società autenticamente democratica. Infatti, è importante ricordare che la “salute” di una comunità politica si può valutare in massima parte in base alla partecipazione libera e responsabile di tutti i cittadini agli affari pubblici”. (n.4).
Isabella Santini [già docente di Statistica economica, La Sapienza Roma, socia CuF]