Solo per salti e senza memoria, di Sergio Visconti

Il procedere della storia non è sempre lineare, forse non lo è mai stato. Tuttavia la storia sedimenta esperienze, fatti, vicende intrisi ora di successi e progressi ora di sconfitte e regressioni che in qualche modo innescano processi di memoria e ricordi che configurano il sentire profondo dei popoli a tal punto da manifestarsi nell’essere delle generazioni che quelle esperienze, quei fatti, quelle vicende hanno vissuto o ricevuto come lascito culturale. Così tanto profondo è l’effetto che, al mutare dei fatti storici, tende a mutare o addirittura muta anche l’antropologia, la visione antropologica, la struttura antropologica delle persone umane. La cultura giudaico-cristiana propone una visione lineare dello svilupparsi della storia, orientata verso un eskaton finale misurato nell’eternità di Dio. Una visione che ha impregnato di sé gran parte del pensiero occidentale e che oggi, al netto della visione religiosa cristiana che offre un oltre dopo la fine dei tempi, è orientata verso un fine ben preciso, privo di ogni suggestione che offra un “dopo di noi”: la distruzione del mondo, la fine del tempo. Dentro questa logica, che appare priva di speranza, di ogni tipo di speranza, si muove il “pensiero debole” contemporaneo che esplicita visioni filosofiche, economiche, politiche fluttuando nella quotidianità di una umanità che va cambiando, almeno accade così nel Mondo Occidentale, il proprio statuto antropologico, catturata com’è da una comunicazione tossica sempre più invadente e pervasiva della vita dell’uomo contemporaneo. I cambiamenti sociali e culturali già avvenuti dicono di un “cambio d’epoca” che necessita d’essere interpretato in maniera adeguata perché non venga persa la memoria e i ricordi assumano colori sempre più sbiaditi in un eterno presente che si afferma come unico campo su cui sbrogliare gli eventi della storia. In tutto questo è facile intuire che il valore soggettivo e oggettivo dei fatti storici perde significato permettendo al presente di tingersi dei colori bui, scuri, cupi di fatti ed eventi che sembravano definitivamente consegnati al passato. Così, ad esempio, le ragioni, le motivazioni che orientarono e sostennero l’operare dei Padri Fondatori di quella realtà sovrannazionale che oggi chiamiamo Unione Europea, sembrano essere inghiottite nelle profondità buie di ideologie egoiste che stanno a fondamento dei risorgenti nazionalismi apparentemente privi di quella memoria storica che dice di come essi siano stati generatori di grandi catastrofi soprattutto per l’Europa, ma anche per il mondo intero: la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. È vero la Storia procede non solo in maniera lineare, ma anche per salti. Così, il tragico salto nel vuoto voluto nel caso della Prima Guerra Mondiale da Imperialismi nazionalistici esasperati e in quello della Seconda Guerra Mondiale dalle dittature fascista e nazista informate da nazionalismi non solo esasperati, ma anche costitutivamente aggressivi, ha prodotto come effetto di reazione la visione di amicizia tra i popoli europei e, a tutt’oggi, oltre settanta anni di pace nel Continente Europeo. Un salto della storia che ha prodotto, attraverso un regresso, un oggettivo tempo di progresso, espresso da processi di democratizzazione, di libertà, di sviluppo che hanno attraversato la vita di milioni di Europei non più solo cittadini italiani, francesi, tedeschi…, ma cittadini europei. Tra pochi giorni 400 milioni di Europei saranno chiamati al voto per rinnovare il Parlamento europeo. Rispetto al cammino fatto e alle aspettative di crescita l’Unione Europea si trova a dover affrontare un salto che potrebbe portarla a vivere un tempo di regresso rispetto alla sua storia, alle prospettive di integrazione di altri popoli e Stati, alla necessità di accrescere la collaborazione tra gli Stati già membri, alla urgenza della creazione di una comune politica estera e comune difesa del territorio comunitario. Un salto che è provocato dalla diffusione di culture politiche che hanno già visto il loro affermarsi nella storia e che hanno drammaticamente segnato il Novecento: culture politiche illiberali, nazionaliste e, dunque, come già scritto, egoiste, che hanno come fine quello di cambiare l’assetto politico del Parlamento e svuotare dal di dentro le Istituzioni europee. Dunque, un salto non verso prospettive di progresso, ma di regresso perché l’egoismo, il nazionalismo, il populismo (altro elemento culturale del passato che ritorna) non sono mai forieri di pace tra i popoli. Cosa dobbiamo augurarci, allora, alla vigilia del voto europeo? Che occorre fare questo salto perché poi la storia possa proseguire più spedita verso forme di più stringente collaborazione pacifica e di integrazione politica tra i popoli europei? E’ inevitabile consegnare nella mani di “minoranze organizzate” di destra e di estrema destra, populiste e antieuropeiste il futuro dell’Unione Europea? È inevitabile un “ricorso” storico di vichiana memoria che affermi sulla scena politica risorgenti nazionalismi? E’ inevitabile che l’astensionismo e la mancanza di partecipazione di larghissime fette di elettorato siano la cifra più significativa della tornata elettorale europea di questo 2024? È inevitabile che l’Unione Europea venga avvilita nel sogno di pace, progresso, libertà e giustizia di cui è portatrice e che è come fumo negli occhi di tutti quei Governi che stanno costruendo democrazie illiberali che sono a capo di Stati, diretti competitori dell’Unione Europea sul versante economico, culturale e geopolitico? Forse no! Non è inevitabile! Basterebbe esercitare la memoria per ricordare l’importanza dell’Unione Europea nell’affrontare e risolvere la crisi economica del 2008, seconda per dimensioni e gravità solo a quella del 1929, ovvero la gravissima crisi provocata dalla pandemia da covid19. Basterebbe fare memoria di quanto l’Europa abbia voluto, grazie alle illuminate intuizioni di intellettuali e grandi statisti come Altiero Spinelli, Alcide De Gasperi o Robert Schuman, coagulare un comune futuro di progresso, democrazia, libertà e giustizia sulla scelta della pace quale fondamento di comuni visioni politiche. Pochi sono i giorni che ci separano da elezioni veramente importanti. Probabilmente il risultato, se saranno veritieri gli ultimi sondaggi, vedrà un significativo avanzamento delle forze populiste e nazionaliste. Forse ci sarà una sostanziale tenuta del Partito Popolare Europeo e delle forze Socialiste e Democratiche. Certamente cambierà la geografia del Parlamento Europeo. Occorre, sin da subito, trovare le ragioni, la forza, l’intelligenza per la costruzione di una rete europea di rielaborazione e di rilancio del pensiero democratico che coinvolga le giovani generazioni, sappia costruire rinnovato dialogo con le religioni (soprattutto con il cristianesimo, presente in Europa nelle confessioni cattolica, protestante e ortodossa), si renda capace di mostrare l’importanza della centralità della persona umana e della sua dignità quale centro irrinunciabile di visioni politiche che abbiano quali stella polare la pace e il progresso dei popoli. Occorre saper mostrare che la storia può procedere lungo vie di continuità che non necessitano di salti o fratture traumatiche per raggiungere obiettivi di crescita e sviluppo. Occorre, argomentando con rigore logico e abilità comunicativa, mostrare tutta la ricchezza del procedere lungo la via indicata dalla cultura riformista, soprattutto quella incarnata da personalità come quella di Aldo Moro, che al riformismo associò la cultura della mediazione. Uno stile che continuò ad adottare anche nella sua esperienza di Ministro degli Esteri della Repubblica Italiana e che gli consentì di gettare le basi, coinvolgendo i suoi omologhi degli altri Paesi comunitari, per l’elezione del Parlamento Europeo a suffragio universale nel 1979.
[docente di scuola superiore, Giardini Naxos, Messina]

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