Se Trump e Musk fanno come il Marchese del Grillo, di Enrico Giovannini

In un articolo pubblicato sul Wall Street Journal il 20 novembre 2024 Elon Musk e Vivek Ramaswamy, responsabili del Dipartimento per l’efficienza del governo (Doge) voluto da Trump, hanno spiegato che «la nostra nazione è stata fondata sull’idea di base che le persone che eleggiamo gestiscono il governo. Non è così che funziona l’America oggi. La maggior parte degli atti giuridici non sono leggi emanate dal Congresso ma norme e regolamenti promulgati da burocrati non eletti, decine di migliaia ogni anno. La maggior parte delle decisioni applicative del governo e delle spese discrezionali non vengono prese dal presidente democraticamente eletto o dai suoi incaricati politici, ma da milioni di dipendenti pubblici non eletti e non nominati all’interno delle agenzie governative che si considerano immuni dal licenziamento grazie alle tutele del servizio civile. Ciò è antidemocratico. Il presidente Trump ha chiesto a noi due di guidare un nuovo Dipartimento per ridimensionare il governo federale».

L’intenzione dichiarata è quindi quella di smantellare la legislazione amministrativa e tagliare il personale delle agenzie responsabili di essa in proporzione al numero di atti che verranno cancellati. In questo modo si nega l’approccio alle politiche basate su valutazioni di efficacia ed efficienza degli atti amministrativi tipico delle democrazie moderne. Al suo posto si adotta la filosofia tipica del Marchese del Grillo, il personaggio del film del 1981 interpretato da Alberto Sordi, il quale si muoveva nella Roma del ‘700 dicendo «Io so’ io e voi non siete un ca…!».
Con l’approccio di Musk & C. il criterio del “merito” delle questioni alle quali si riferiscono gli atti viene sostituito da quello legato al “chi” li firma (cioè l’eletto e non il burocrate). Viene smantellato uno dei princìpi fondamentali dello Stato liberale e democratico, cioè l’autonomia dell’apparato amministrativo nell’attuare gli atti politici. Non a caso Trump ha anche ripristinato la possibilità di licenziare dipendenti pubblici non allineati all’impostazione politica in carica. 
Come diversi commentatori hanno scritto nei giorni e nelle settimane scorsi, anch’io credo che siamo alle soglie di una possibile profondissima rivoluzione del concetto stesso di Stato. E nel nuovo mondo che si intende realizzare rischia di diventare sostanzialmente irrilevante anche la statistica “ufficiale”, la quale dovrebbe non solo consentire agli amministratori di individuare problemi e possibili soluzioni ma anche ai cittadini/elettori di valutare la qualità dell’azione politico-amministrativa in base a dati prodotti secondo criteri di scientificità e autonomia.

Vedo chiare analogie con quanto accaduto all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso, con la svolta politica neoliberista sostenuta da Ronald Reagan negli Stati Uniti e Margaret Thatcher nel Regno Unito. Infatti la Thatcher sospese le statistiche sulla povertà sostenendo che, visto che la sua riduzione non era un obiettivo del governo, non aveva senso spendere soldi pubblici per rilevarne l’andamento. Con Reagan il Senato mise un veto allo sviluppo delle statistiche ambientali all’interno dei conti nazionali. Alla luce di questi precedenti, posso solo immaginare cosa potrebbe succedere ora, e non sarebbe una sorpresa, visto che lo stesso Trump, nel corso del suo primo mandato, dettò la regola per cui la pubblicazione di dati ambientali da parte dell’Agenzia federale competente doveva essere sottoposta al visto del direttore, da lui nominato.

Tengo a precisare che una cosa del genere non potrebbe accadere nell’Unione Europea, dove i dati rappresentano una base importante dei processi decisionali. Proprio per questo sono stati definiti (coerentemente con i princìpi stabiliti in sede Onu) testi giuridici, votati dal Consiglio e dal Parlamento europei, volti ad assicurare l’indipendenza degli Istituti di statistica e la produzione di dati di qualità. Anche in questo caso, dunque, dobbiamo essere non soltanto fieri della nostra democrazia “europea” ma anche pronti a difenderla se dovesse finire sotto attacco, anche solo in uno dei Paesi dell’Unione. Una tale considerazione non vale unicamente per la statistica ma per la democrazia, la società, l’economia e i nostri valori. Richiamando il famoso titolo de il manifesto del 28 giugno 1983 “Non moriremo democristiani” (subito dopo le elezioni politiche che avevano visto il Pci a un soffio dal sorpasso sulla Dc), non dobbiamo necessariamente scegliere tra “morire trumpiani” e “morire cinesi”, ma possiamo vivere e prosperare da europei, ricordando che il Trattato dell’Unione europea indica come suo fine quello di «promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli».

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