Il sistema scolastico italiano del 2023, nel centenario della nascita di don Lorenzo Milani, risponde ancora a due imperativi contraddittori: selezionare i “migliori” da un lato e ascoltare le differenze individuali portando tutti a sviluppare le loro capacità dall’altro. Coesistono questi due modelli antitetici: selezionare pochi (l’immagine ancora attraente del rigore) e far crescere tutti. In questa confusione di obiettivi, si indebolisce l’idea di scuola come una impresa collettiva, sociale e politica, che crea un linguaggio comune e una cittadinanza condivisa.
Specie nelle periferie, matura non un desiderio di scuola ma disprezzo e sottovalutazione dell’istruzione. Eppure, i nuovi ragazzi di Barbiana di oggi, nelle scuole della seconda occasione, nelle Penny Wirthon, nelle scuole della pace, scoprono un sapere che non anima solo la voglia di protagonismo sociale ma il piacere di imparare.
E le “Barbiane di oggi” hanno molto da suggerire alle politiche scolastiche. Stiamo rinunciando consapevolmente a una scuola che rende uguali, scegliendo magari la scorciatoia vuota del “merito”? O meglio alla possibilità di farsi uguali? Don Milani è stato tradito in due modi: sia dall’antiautoritarismo che ha estremizzato il suo pensiero ma soprattutto dall’ideologia del merito che ha ripreso piede ben presto in reazione alla cosiddetta “scuola del 68”.
L’egualitarismo ideologico è un pericolo reale, ma la scuola ha saputo attraversare la stagione del 6 politico senza troppi turbamenti, tornando a essere quella che è sempre stata. Nulla, poi, di più falso che pensare a don Milani come un descolarizzatore alla Illich. Al contrario, Milani credeva nella scuola, ma una scuola che include tutti. Si potrebbe dire che dava alla scuola un’immensa fiducia, attribuendole una grande responsabilità e denunciando quelle vestali della classe media che si rifugiavano – oggi come allora – nello svolgimento del programma anziché risvegliare interesse e curiosità verso il sapere. Rendeva dunque Barbiana un modello – certo non trasferibile nella sua struttura di scuoletta-cenacolo aperta 12 ore al giorno – eppure imitabile nel ruolo del maestro, nella centralità del linguaggio e della parola, nell’apertura al mondo, nello spirito critico esercitato sulla realtà sociale. Imitabile anche oggi, nella crisi profonda di motivazione e forza educativa che stiamo attraversando.
Per questo don Milani è stato tradito soprattutto dalla forza di inerzia con cui la scuola ritorna a codici, linguaggi e relazioni uniformi e standardizzati, per di più di fronte oggi a ragazzi soli davanti al narcisismo degli adulti e al web onnipotente. Questo tipo di scuola non riesce a non perdere i ragazzi. I dati sulle disuguaglianze e la dispersione cresciuta – specie dopo la pandemia – impongono all’attenzione dell’opinione pubblica il problema dell’enorme spreco di energie, menti, vite che si fa ogni giorno.
Siamo il terzo paese in Europa per abbandoni. Scegliere come il solo problema della scuola “i ragazzi che perde” sull’esempio di don Milani, non è una provocazione. È un’indicazione normativa, che dovrebbe guidare le politiche scolastiche.
La lotta alla dispersione può e deve diventare il focus intorno a cui orientare gli investimenti, il tempo scuola, il reclutamento degli insegnanti. Il tempo è passato senza che la coscienza assoluta e provocatoria di don Milani sulla “natura classista” della scuola di allora, ma anche una più complessa analisi sul presente, e la sofferta consapevolezza della perdita umana e culturale che deriva da questo fenomeno siano diventati agenda politica.
Molti sarebbero, inoltre, gli aspetti su cui riflettere per comprendere cosa resta di Barbiana alla luce delle modificazioni culturali che sono intercorse. Un esempio potrebbe essere la scrittura collettiva, nella sua funzione sociale, come antidoto alle modalità di apprendimento individuale create dalla Rete. Inoltre, dobbiamo chiederci chi sono oggi i bambini, adolescenti e giovani della scuola di Barbiana, che ieri venivano dalle montagne del Mugello.
Oggi, sarebbero molti bambini e ragazzi figli di famiglie immigrate, che non sono ancora italiani, nonostante siano nati o cresciuti qui e stiano frequentando le nostre scuole, spesso concentrati in alcune scuole per una distribuzione inuguale. Una legge che dia la cittadinanza a chi è nato in Italia e a quelli che hanno frequentato la scuola, di cui ancora aspettiamo l’approvazione, sarebbe un grande omaggio a don Milani. Don Milani oggi direbbe che l’Italia ha un problema: gli italiani che perde.
*Ordinaria di Pedagogia generale Università Cattolica
https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/don-milani-oggi-inviterebbe-litalia-a-porsi-il-problema-degli-italiani-ch
Cercasi un fine è “insieme” un periodico e un sito web dal 2005; un’associazione di promozione sociale, fondata nel 2008 (con attività che risalgono a partire dal 2002), iscritta al RUNTS e dotata di personalità giuridica. E’ anche una rete di scuole di formazione politica e un gruppo di accoglienza e formazione linguistica per cittadini stranieri, gruppo I CARE. A Cercasi un fine vi partecipano credenti cristiani e donne e uomini di diverse culture e religioni, accomunati dall’impegno per una società più giusta, pacifica e bella.