Rafforzare il potere e la vitalità delle comunità locali, di Giorgio Vittadini

C’è una difficoltà tutta contemporanea che le democrazie occidentali devono affrontare: la crisi del corpo sociale. Questa si esprime senz’altro con una disaffezione crescente verso la politica. Pensiamo che nel nostro Paese, dal dopoguerra agli anni 90, l’affluenza al voto nelle elezioni politiche si aggirava oltre al 90%, mentre nel 2022 si è toccato il minimo storico, con il 64% di votanti. Ma la crisi del sociale ha ben altri aspetti.
Innanzitutto essa arriva nel mezzo di una svolta epocale, sotto la spinta del balzo tecnologico, che sta sconvolgendo l’organizzazione del lavoro, i rapporti sociali, la partecipazione e la visione del futuro. Prima l’avvento di Internet, poi la diffusione del digitale e ora l’Intelligenza artificiale.
La globalizzazione, tanto decantata trenta anni fa e che pure ha avuto aspetti positivi nella complessiva crescita mondiale, rivela la presenza e l’influenza determinante di alcune lobbies economico e finanziarie e di gruppi di potere oligarchici, più potenti dei Parlamenti nazionali, e che rispondono solo ai propri azionisti.
Nel 2000 questo sistema di governo riguardava 83 Paesi al mondo, oggi 24.
E i cittadini che vivono in democrazia sono solo il 20 percento della popolazione mondiale. C’è da chiedersi quale legame ci sia tra l’aumento delle autocrazie, l’aumento dei conflitti e l’azione delle grandi lobbies internazionali.
Una democrazia non è tale solo perché si vota. I cittadini isolati sono facilmente condizionabili e il voto cosiddetto democratico può portare ad eleggere dei tecnocratici o dei dittatori che spesso cambiano le regole per garantirsi il potere a vita.
Il fatto è che non si può parlare di democrazia senza ricordare la principale risorsa di cui questo sistema di governo è costituito: la consapevolezza e la capacità critica di un corpo sociale, i suoi legami di fiducia, le sue idealità, la sua coesione, la sua operosità.
Raghuran Rajan, grande economista, nel suo celebre libro Il terzo pilastro (Università Bocconi Editore, 2019), di fronte alle disuguaglianze e alla conseguente crisi dell’ordine mondiale, propone un modo per ripensare il rapporto fra mercato e Stato, immettendo un nuovo elemento: il rafforzamento in chiave sussidiaria del potere e della vitalità delle comunità locali.
È questa la sfida ai sostenitori della post-democrazia.
Come combatterla? Con un rinnovato protagonismo dei corpi sociali, che devono ridiventare “comunità pensanti”, come da tempo li ha chiamati Luciano Violante.
Queste comunità pensanti possono diventare il motore della nuova democrazia: ambiti in cui imparare dall’esperienza, confrontandosi e riflettendo insieme, per maturare una capacità critica, lasciandosi cambiare dall’incontro con gli altri. Il problema non sono le competenze, ma le motivazioni e il desiderio di costruire una convivenza che esprima cura, iniziativa, lavoro, gestione della cosa pubblica.
La cultura sussidiaria ha proprio tutto questo come scopo, perché mobilita e risveglia le società deluse, forma corpi intermedi nella loro accezione migliore, quella di formazioni sociali, nate tra i cittadini che, ponendosi in posizione intermedia tra pubblico e privato, si impegnano per promuovere l’interesse della collettività.
Su questa linea poi, dovranno rinascere i partiti, prima che la perdita di credibilità della politica porti a delle conseguenze insostenibili. Partiti che possano essere costituiti da persone della società civile, scelte dal popolo e formate attraverso un percorso che va dal livello locale a quello nazionale. 
Occorre infine rivalutare il ruolo di un Parlamento continuamente ignorato in tutte le riforme istituzionali, vecchie e nuove. È una prospettiva difficile ma necessaria e anche affascinante.

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