Ci sono molti modi per far pervenire un segno di solidarietà a un popolo senza libertà. In fondo, quando è morto Aleksei Navalny, Sergio Mattarella si è rivolto ai russi. Ma già un paio di mesi prima, durante un colloquio riservato al Colle, aveva lodato il «coraggio» di chi non tace.
Quel giorno l’ospite del capo dello Stato — conversando sulla guerra in Ucraina — si era soffermato sulle sofferenze inferte dal Cremlino al suo stesso popolo: «Ma nonostante questo, Vladimir Putin riscuote ancora forte consenso nel Paese». E così dicendo aveva citato un sondaggio in base al quale il presidente russo faceva presa sul sessanta percento dell’opinione pubblica: «È una cosa che colpisce», aveva concluso. «Colpisce piuttosto il coraggio di quel quaranta percento di cittadini che si è espresso in altro modo», era stata la risposta di Mattarella.
In una battuta il presidente della Repubblica aveva chiarito il tema del consenso, mettendo una distanza tra quello dei sistemi democratici e quello dei regimi totalitari. Giusto perché non si facesse confusione e non si sovrapponesse il libero convincimento con l’estorsione del sostegno. Ma soprattutto — così ha spiegato l’ospite di Mattarella — «aveva elogiato la forza morale» di chi non si rassegna a vivere dove non sono riconosciuti i diritti, dove è impedita la circolazione delle idee, dove i mezzi di comunicazione sono controllati, dove vige la censura e dove il dissenso si paga con la reclusione e a volte con la vita.
La frase privata del presidente della Repubblica può essere ritrovata nelle parole pubbliche con cui il 16 febbraio aveva commentato la fine di Navalny, costretto a pagare «un prezzo iniquo e inaccettabile» per il suo «desiderio di libertà». Quel giorno, evocando i «tempi più bui» della Russia, il capo dello Stato aveva spazzato via le esitazioni e le incertezze dei politici italiani, che si erano nascosti dietro una confusa richiesta di chiarimenti sulle cause che avevano portato alla morte il dissidente. Come non bastasse la reclusione «per le sue idee» in un gulag oltre il circolo polare artico.
Anche in quel comunicato si parlava di «coraggio», che nella quotidianità di chi non accetta il regime si esprime in molti modi a Mosca. Sempre pacifici. E sempre repressi con violenza. Pur mantenendosi dentro i confini delle regole diplomatiche, Mattarella trova il modo di rivolgersi a un popolo che ambisce alla democrazia senza averla mai potuta vivere a pieno. Ed è una linea coerente con quella che porta avanti da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina, impedendo certi sbandamenti e strumentalismi di Palazzo.
L’ha ribadita ieri, ricordando la Seconda guerra mondiale contro il nazi-fascismo e il «martirio di Cassino», accostato a quello di «Coventry» ma anche di «Dresda»: «Sono anni amari quelli che stiamo attraversando». Revival del secolo breve.
Chi ha modo di incontrarlo, racconta che il capo dello Stato «rivendica sempre la sua formazione cattolica. E ogni volta che cita l’articolo 11 della Costituzione sul ripudio della guerra, cita anche l’articolo 52 sul sacro dovere del cittadino di difendere la Patria». Un binomio che Mattarella allarga all’Europa quando la invita a «costruire ponti di dialogo» ma «nel rispetto di ciascun popolo» e del «diritto internazionale che è stato violato». È complicato percorrere questo sentiero accidentato, tuttavia è l’unico percorribile per evitare scenari apocalittici. In ogni caso per il Colle è chiaro di chi sia la totale ed esclusiva responsabilità della situazione: la Russia.
Lì dove si stanno tenendo le elezioni presidenziali, quelle che Putin definì «un’inconcepibile perdita di tempo», come ha ricordato Marco Imarisio sul Corriere. D’altronde il dittatore ha ragione, visto che alle urne non ha in pratica rivali: lui è sfidato solo dal «coraggio» di chi domani «esattamente a mezzogiorno» esprimerà il proprio virtuale voto contrario ritrovandosi con altri coraggiosi davanti ai seggi. Sapendo di rischiare. Ecco perché il consenso non è un problema per i regimi. E per certi versi non sono neppure tema di scandalo i brogli che vengono denunciati in tutta la Russia. La verità è che il valore del dissenso, minacciato dal terrore di Stato, non può essere quantificato come nei sondaggi dei Paesi democratici. Al di là dei numeri che saranno magari sventolati dai puti-nani d’Occidente al termine della farsa.
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