«È necessario un piano straordinario di finanziamento del Servizio sanitario nazionale» perché «la spesa sanitaria in Italia non è grado di assicurare compiutamente il rispetto dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) e l’autonomia differenziata rischia di ampliare il divario tra Nord e Sud d’Italia in termini di diritto alla salute». È un appello accorato quello sottoscritto da alcune note personalità della scienza per mettere in salvo il futuro di «una delle più grandi conquiste della Repubblica», quel «Servizio sanitario nazionale (Ssn), che ha contribuito significativamente a migliorare prospettiva e qualità di vita e a ridurre le disuguaglianze socioeconomiche».
A firmare il testo (un’ampia riflessione in 10 punti sotto il titolo «Non possiamo fare a meno del servizio sanitario pubblico») 14 scienziati: Ottavio Davini, Enrico Alleva, Luca De Fiore, Paola Di Giulio, Nerina Dirindin, Silvio Garattini, Franco Locatelli, Francesco Longo, Lucio Luzzatto, Alberto Mantovani, il Nobel Giorgio Parisi, Carlo Patrono, Francesco Perrone e Paolo Vineis. Un consesso autorevole che unisce differenti competenze attorno alla consapevolezza che occorre scuotere la politica e l’opinione pubblica su un valore come il Ssn che forse stiamo dando per scontato nei suoi principi di universalità e gratuità ma che è forte rischio.
Come e perché lo chiariscono gli scienziati ricordando che «dal 1978, data della sua fondazione, al 2019 il Ssn in Italia ha contribuito a produrre il più marcato incremento dell’aspettativa di vita (da 73,8 a 83,6 anni) tra i Paesi ad alto reddito». Una situazione che però potrebbe non avere un futuro altrettanto significativo, anzi. Oggi infatti «i dati dimostrano che il sistema è in crisi: arretramento di alcuni indicatori di salute, difficoltà crescente di accesso ai percorsi di diagnosi e cura, aumento delle diseguaglianze regionali e sociali». A spiegare la crisi secondo i 14 scienziati sono «i costi dell’evoluzione tecnologica, i radicali mutamenti epidemiologici e demografici e le difficoltà della finanza pubblica», tutti fenomeni che «hanno reso fortemente sottofinanziato il Ssn, al quale nel 2025 sarà destinato il 6,2% del Pil (meno di vent’anni fa)», un livello distante dagli «standard dei Paesi europei avanzati (8% del Pil)».
È vero che «il pubblico garantisce ancora a tutti una quota di attività (urgenza, ricoveri per acuzie)» ma «per il resto (visite specialistiche, diagnostica, piccola chirurgia) il pubblico arretra, e i cittadini sono costretti a rinviare gli interventi o indotti a ricorrere al privato». L’analisi degli scienziati qui si fa severa perché «su questa china, oltre che in contrasto con l’articolo 32 della Costituzione, ci spinge verso il modello Usa, terribilmente più oneroso (spesa complessiva più che tripla rispetto all’Italia) e meno efficace (aspettativa di vita inferiore di sei anni)».
Ecco allora perché è «necessario un piano straordinario di finanziamento del Ssn e specifiche risorse devono essere destinate a rimuovere gli squilibri territoriali». Ma non basta aggiungere soldi agli stanziamenti già previsti: «La allocazione di risorse deve essere accompagnata da efficienza nel loro utilizzo e appropriatezza nell’uso a livello diagnostico e terapeutico, in quanto fondamentali per la sostenibilità del sistema». Inoltre «il Ssn deve recuperare il suo ruolo di luogo di ricerca e innovazione al servizio della salute».
Sull’uso delle «nuove risorse» gli scienziati indicano alcune priorità: serve infatti «intervenire in profondità sull’edilizia sanitaria, in un Paese dove due ospedali su tre hanno più di 50 anni, e uno su tre è stato costruito prima del 1940». Ma prima ancora delle strutture, un intelligente investimento del denaro pubblico (e delle attenzioni di una lungimirante politica sanitaria) deve indirizzarsi al «grande patrimonio del Ssn», ovvero «il suo personale: una sofisticata apparecchiatura si installa in un paio d’anni, ma molti di più ne occorrono per disporre di professionisti sanitari competenti, che continuano a formarsi e aggiornarsi lungo tutta la vita lavorativa».
La situazione del personale sanitario è anche più critica di quella delle strutture: «Nell’attuale scenario di crisi del sistema, e di fronte a cittadini/pazienti sempre più insoddisfatti – nota l’appello –, è inevitabile che gli operatori siano sottoposti a una pressione insostenibile che si traduce in una fuga dal pubblico, soprattutto dai luoghi di maggior tensione, come l’area dell’urgenza». Quindi «è evidente che le retribuzioni debbano essere adeguate, ma è indispensabile affrontare temi come la valorizzazione degli operatori, la loro tutela e la garanzia di condizioni di lavoro sostenibili». I dati poi indicano che oggi «particolarmente grave è inoltre la carenza di infermieri (in numero ampiamente inferiore alla media europea)».
L’analisi dei firmatari del testo procede con metodo, dati e argomento: «Da decenni – incalza l’appello – si parla di continuità assistenziale (ospedale-territorio-domicilio e viceversa), ma i progressi in questa direzione sono timidi. Oggi il problema non è più procrastinabile: tra 25 anni quasi due italiani su cinque avranno più di 65 anni (molti di loro affetti da almeno una patologia cronica) e il sistema, già oggi in grave difficoltà, non sarà in grado di assisterli».
Altrettanto importante è una presa di coscienza del rilievo crescente di un altro fronte: «La spesa per la prevenzione – notano gli scienziati – in Italia è da sempre al di sotto di quanto programmato, il che spiega in parte gli insufficienti tassi di adesione ai programmi di screening oncologico che si registrano in quasi tutta Italia». La «cultura della prevenzione (individuale e collettiva)» esige investimenti «in modo strategico», con una vera «consapevolezza delle opportunità ma anche dei limiti della medicina moderna». A parere dei firmatari poi «ancora più evidente è il divario riguardante la prevenzione primaria» come dimostra il fatto che «abbiamo una delle percentuali più alte in Europa di bambini sovrappeso o addirittura obesi, e questo è legato sia a un cambiamento – preoccupante – delle abitudini alimentari sia alla scarsa propensione degli italiani all’attività fisica».
Quindi – è la sintesi di quanto sta a cuore ai promotori di questo grido di allarme – «adeguare il finanziamento del Ssn» è «urgente e indispensabile, perché un Sistema che funziona non solo tutela la salute ma contribuisce anche alla coesione sociale».
Alla voce dei 14 firmatari si aggiunge quella di Walter Ricciardi, docente di Igiene all’Università Cattolica di Romas ed editorialista di Avvenire, a parere del quale «senza finanziamenti non si possono assumere le persone, non si possono remunerare bene, non si possono ristrutturare gli ospedali, non si possono dare prestazioni adeguate».
È vero: «Da solo il finanziamento non basta a tutelare la sanità pubblica, ma ormai siamo arrivati a un livello in cui il finanziamento al nostro sistema sanitario nazionale è simile a quello dei Paesi dell’Est. E questo ci offre un quadro molto problematico». Ricciardi esprime piena condivisione con le tesi dell’appello: «Hanno ragione. Lo indica anche la recente esperienza con il Covid. Non aver imparato la lezione significa non considerare la sanità prioritaria, non dargli adeguati finanziamenti e non gestirla al meglio. E’ quello che purtroppo stiamo facendo. E come abbiamo pagato il prezzo nel 2020, ora non pagheremo lo scotto solo nelle emergenze, ma anche nella normalità, perché senza risorse adeguate non avremo la possibilità di assistere come necessario le persone che ne hanno bisogno».
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