Alberto Bobbio intervista Rocco D’Ambrosio per L’Eco di Bergamo, del 28.4.2025, sul significato del pontificato di papa Francesco.
Rocco D’Ambrosio. Sacerdote della diocesi di Bari e docente di filosofia politica alla Pontificia Università Gregoriana : “Adesso non si potrà tornare indietro sul dialogo ecumenico e interreligioso e con il mondo”.
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Dodici anni di sorprese e ora? Il professor Rocco D’Ambrosio, sacerdote della diocesi di Bari e docente di filosofia politica alla Pontificia Università Gregoriana, ragiona sul Pontificato di Jorge Mario Bergoglio e osserva: “C’è anche un po’ di smarrimento negli occhi e nel cuore di chi ricorda in queste ore Papa Francesco. Adesso dopo il funerale, in questa domenica, siamo un po’ come i discepoli chiusi nel Cenacolo e abbiamo timore. Bergoglio è stato con i suoi pregi e i suoi difetti un punto di riferimento per tanti dentro e fuori la comunità cattolica”.
E dunque cosa bisogna fare?
“Non dimenticare uno degli insegnamenti di Papa Francesco. Certo, a noi manca e mancherà la sua presenza fisica, come di tutte le persone che abbiamo amato e non ci sono più. Ma le persone che incontriamo nella nostra vita, dal Papa a chi ci ha a fianco ogni giorno, sono doni del Signore. Francesco guardava il volto delle persone, ne toccava la carne, fino a soffrire con loro. Il servizio verso gli altri, sottolineava, non è mai ideologico, non si servono le idee, ma le persone”.
Come lo esprimeva?
“Con i gesti dal primo, cioè il rifiuto della mantellina rossa quando si è affacciato per la prima volta alla Loggia delle Benedizioni dodici anni fa, fino all’ultimo la domenica di Pasqua quando è andato in piazza per salutare le persone nonostante le sue condizioni di salute. La sorpresa è stata la cifra del suo Pontificato”.
Cosa ha cambiato dal punto di vista dottrinale?
“Contrariamente a quanto raccontano i suoi detrattori non ha detto nulla di nuovo. Ha dato piena attuazione al Concilio Vaticano II senza citarlo troppo, attuazione implicita. Per esempio la sua posizione, che per molti è un ossessione, contro i fabbricanti di armi è quella della Gaudium et Spes”.
E’ stato anche un Pontificato politico?
“Sì. Nelle encicliche anche in termini molto espliciti c’è sempre una parte in cui lui si riferisce alla comunità politica e all’autorità politica. Dal suo punto di vista interno è stato il Pontificato più lontano dall’idea di un Papa re, per dirla con una battuta storica: gesti, simboli, luoghi e anche il funerale, come quello di un semplice cristiano”.
La politica è quella che ha dato poco seguito ai suoi inviti a cambiare?
“Vedremo. Al funerale c’erano tutti. Ho avuto l’impressione che nessuno volesse mancare in questo clima mondiale, in un contrappunto tra presenzialismo e fede. Non mettono in pratica, perché quello che chiedeva Papa Francesco non è molto facile, anche se in fondo è solo quello che dice il Vangelo. Anche al suo funerale ha continuato a parlare con molta franchezza, libertà e non servendo nessun padrone se non Dio. Lo ha ricordato il card. Giovanni Battista Re nell’omelia, scegliendo tra i punti centrali della missione di Bergoglio, quelli che più danno fastidio a molti dei leader presenti”.
Sul potere dentro la Chiesa cosa ha cambiato Francesco?
“L’intuizione di procedere attraverso la sinodalità è stata eccezionale. Il Sinodo in termini laici è la revisione dei processi di governance, intuizione geniale, ma non affatto nuova. Già il Concilio Vaticano II aveva sollecitato a cambiare l’immagine della Chiesa piramidale. Se c’è stato un limite, secondo me, è che il Papa a volte in termini di governo non è stato abbastanza chiaro sulle norme e i regolamenti, creando un po’ di confusione. E gli oppositori ne hanno approfittato”.
E ora? Chiudere i processi o continuare a consolidarli?
“I processi quando iniziano a radicarsi è difficile estirparli dalle radici”.
Un esempio?
“La Messa in latino. I precedenti Pontefici hanno mostrato più tolleranza con vari decreti. Bergoglio ha detto una parola chiara: basta. Con Bergoglio sono finiti gli anni di tolleranza delle istanze pre-conciliari sulla liturgia”.
Su cosa non si potrà tornare indietro?
“Sul dialogo ecumenico e interreligioso e anche sul dialogo con il mondo. Bergoglio ha aperto ogni finestra possibile e sarà impossibile chiuderle”.
Il pluralismo è stato uno dei punti qualificanti del Pontificato?
“Sì. Se si ritiene che la Chiesa cattolica non sia l’unica religione e il suo stile l’unico ammesso, il Pontificato di Bergoglio ha assunto il pluralismo come archetipo. Francesco si è tenuto lontano dal metodo dello scontro tra modernismo e anti-modernismo della Chiesa dell’Ottocento. E’ andato a vedere le carte di ciò che è moderno, secondo il metodo conciliare della Gaudium et spes: l’autonomia delle realtà temporali può essere secondo Dio o contro Dio. Tornare indietro rispetto al Concilio non si può. Ma dobbiamo distinguere i contenuti dalla prassi. Le scelte pratiche di un Papa sono anche il frutto della sua sensibilità, della sua cultura, della sua storia personale. Insomma ogni Papa è diverso, ma dovrà restare la continuità con il Concilio. Oggi vedo, dopo appena una settimana dalla morte, il tentativo di normalizzare Bergoglio, un’operazione ambigua dentro e fuori la Chiesa. Certamente il Papa, come tutti i Papi, ha fatto errori, perché governare la Chiesa è difficilissimo. Ma qualcuno sta usando quegli errori per denigrare la persona. Francesco invece ha detto cose profetiche e non solo durate la pandemia, che resteranno nella storia della Chiesa e non sarà un piccolo errore di governo ad offuscare la sua grandezza. Chi lo critica non ama la Chiesa, perché ha portato la critica sui giornali. Invece il Vangelo chiede, se vedi che tuo fratello sta sbagliando, di rimproverarlo nel segreto. Chi non lo ha fatto ora dovrebbe tacere e se lo ho fatto dovrebbe tacere comunque se ama veramente la Chiesa”.
Alberto Bobbio