Un testo va letto nel suo contesto. Così credo opportuno fare anche con l’intervista di papa Francesco, o almeno alcuni suoi passaggi cruciali, alla Associated Press.
Cominciamo dal testo e dal suo punto principale. Il papa si distanzia nettamente da quei Paesi, sono almeno 50, in cui l’omosessualità è ancora considerata un crimine. E afferma che l’omosessualità non è un crimine. “Siamo tutti figli di Dio e Dio ci ama come siamo”, per la forza con cui ognuno combatte per la propria dignità. Quindi aggiunge che l’omosessualità è un peccato, come lo è mancare di carità gli uni per gli altri.
Per contestualizzare il testo nel suo contesto viene subito in mente il Vangelo, “chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Siccome chi parla è un’autorità morale cristiana, il successore di Pietro, Francesco mi sembra collocarsi chiaramente nel contesto dell’insegnamento evangelico e ricordarci che i peccati altrui sono come i nostri, e quello di mancata carità nei confronti degli altri mi sembra sia abbastanza diffuso e non meno grave di altri.
Dunque nel contesto politico mondiale, dove una cinquantina di Paesi criminalizzano gli omosessuali al punto di ricorrere a pene giudiziarie anche molto gravi, il papa parte dalla ferma condanna di ogni sistema discriminatorio e criminalizzante, ricorda che Dio ci ama come siamo, quindi invita i peccatori a pensare ai propri peccati prima di giudicare e condannare quelli degli altri.
Per finire di contestualizzare queste parole mi ricordo che proprio pochi giorni fa il cardinale Gerard Muller, già prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera. In essa alla domanda “per questo dice ancora che gli omosessuali sono contro natura?”, ha risposto: “Dio ha creato l’uomo e la donna, questa è la base della fede”. Anche questo, di tutta evidenza, appartiene al contesto in cui collocare il testo di papa Francesco sugli omosessuali. E non solo su questo.
Infatti, se può addolorare pensare che ci sia chi ritiene che l’amore possa anche essere contro natura, va aggiunto che in un altro passaggio molto importante dell’intervista, il papa si sofferma lungamente sulla legittimità delle critiche: “C’è libertà di pensiero”. E in effetti questa sembra la grande novità del suo pontificato. Un tempo nella Chiesa romana era diffuso il modo di dire “Roma locuta, causa soluta”, cioè “Roma si è pronunciata, la causa è chiusa”. Vuol dire che quando sorgeva una controversia, una disputa, su certe affermazioni espresse all’interno della Chiesa cattolica, quando Roma, cioè il Vaticano, si pronunciava al riguardo la disputa era chiusa. Basta, discorso chiuso, finito. Oggi evidentemente le cose mi sembrano stare diversamente, lo stesso papa afferma che le critiche fanno bene, fanno crescere. Che c’è libertà parola.
Piuttosto sembra sorprendente che chi critica, e gode della libertà di criticare prima poco conosciuta, sia nostalgico del vecchio ordine, nel quale se Roma parlava la discussione era chiusa. Ma queste sono impressioni, non credo infondate, ma non necessariamente giuste.
Oggi però di libri messi “all’indice” ne vedo pochi, anche tra i più acrimoniosi. In passato non era così. Dunque l’intervista di papa Francesco mi sembra molto importante, quanto meno per queste due indicazioni decisive per il mondo la prima e per la Chiesa la seconda. E anche per quanto afferma sul suo rapporto personale con Benedetto XVI: “Con lui ho perso un padre”. In un tempo nel quale la capacità di sentirsi figli e non depositari dell’assoluto sembra mancare, queste dette da un papa sono parole importantissime, contestualizzandole correttamente.
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