Ordo amoris: Vance e Francesco, di Marcello Tarì

Nei giorni scorsi mi aveva dato molto da pensare il tweet del vicepresidente degli USA J.D. Vance datato al 30 gennaio in cui, nel tentativo di difendere la politica della deportazione di massa dei migranti e l’estrema aggressività della sua amministrazione nei confronti di questi nostri fratelli e sorelle nel bisogno, tirava in ballo addirittura la teoria dell’ordo amoris, elaborata in un primo tempo da sant’Agostino e ripresa poi da san Tommaso d’Aquino nella sezione della Summa dedicata alla carità.
Vance ha sostenuto in due righe che esiste una gerarchia d’interessi e di valori per cui il vero cristiano deve pensare al benessere dei suoi congiunti di sangue e non certo ai bisogni degli stranieri i quali, anzi, minacciano i primi per il semplice fatto di accalcarsi alle frontiere o di vivergli accanto.

Il Tommaso di Google
Per convincersene, questo era l’invito del vicepresidente indicando così le sue fonti, è sufficiente digitare quelle parole latine su Google, una cosa che, al di là della facile ironia a cui si presta, a me pare un’indicazione interessante sull’antropologia che si va disegnando nel mondo, considerando anche i dibattiti attuali, spesso un po’ troppo astratti, sulle tecnologie digitali, l’intelligenza artificiale e tutto il resto che va insieme, ovvero che per tanti l’affidarsi alle scelte dell’algoritmo è diventato un gesto naturale che, in questo caso, rimpiazza quello di sfogliare e meditare il Vangelo e, più in generale, sostituisce quello di mettersi a pensare.
Questo statement faceva seguito a un’intervista di Vance su Fox News nella quale il “giustoordine dell’amore era esposto in questi termini: «prima ami la tua famiglia, poi il tuo vicino, quindi la tua comunità, infine i concittadini del tuo paese. Solo dopo tutto ciò puoi concentrarti sul resto del mondo».
Una carità, la sua, immaginata come disposta a cerchi concentrici, un amore a spicchi si potrebbe anche dire. Cerchi che, a questo punto, dovremmo immaginare separati l’uno dall’altro da alti muri ornati da telecamere e filo spinato e dove ogni spicchio è difeso dai buoni vecchi Winchester.
Al centro di tutti i cerchi, beninteso, vi è l’individuo sovrano che con la sua liberalità sceglie volta per volta se, come e chi aiutare. Tutto ciò definirebbe la carità cristiana per il “vangelo secondo Vance”.
Il suo discorso, tutto sommato, è abbastanza lineare: poche storie, non ce n’è abbastanza per tutti: dunque, quegli altri se la vedessero per conto loro, in ogni caso fuori dello “spazio vitale” dei veri americani. Il succo del suo ragionamento è che non tutti sono fratelli e che il «bene comune» è soggetto al mio bene, dipende cioè da quanto io sto bene. Questo però ricorda l’ordine morale del capitalismo imperiale americano, non certo quello dell’amore cristiano!
Le dichiarazioni di Vance hanno prodotto, ciò che effettivamente ha attirato la mia attenzione, un enorme dibattitoteologico-morale-politico” su X e sui vari media, comprensivo di una pioggia di video su youtube, condotto a colpi di citazioni dei vangeli e di Tommaso d’Acquino – citazioni che, va detto, sono di solito del tutto decontestualizzate – aprendo così un contenzioso, anzi diciamo pure un vero e proprio conflitto, tra migliaia di americani che appoggiano, in quanto cristiani, una simile visione e quelli che, in quanto cristiani, la giudicano un’aberrazione.
A volte, guardando specialmente agli USA, sembra come di essere nel mezzo delle feroci discussioni che dilaniavano il cristianesimo nel IV secolo e sulle quali il concilio di Nicea, del quale stiamo celebrando l’anniversario, posò una parola definitiva.

Francesco e il Dio vicino – a tutti, non solo ai nostri
Onestamente devo dire che non immaginavo che il Papa stesso si sarebbe incaricato di intervenire nella discussione sul tweet di Vance e di tagliare il nodo. Invece lo ha fatto! E se lo ha fatto, in una storica lettera inviata all’episcopato americano, penso si tratti allora di un nodo importante, di una questione strategica tanto per la vita dei migranti che per quella della Chiesa stessa e quindi per tutti i cristiani, i quali dovrebbero pensare che la loro fede è in un Dio che, scrive con forza il Papa, «è sempre vicino, incarnato, migrante e rifugiato», ricordando a tutti non solo l’Esodo dalla schiavitù verso la libertà del popolo d’Israele, ma che lo stesso Gesù e la sua famiglia dovettero fuggire dalla loro terra e furono migranti, rifugiati, profughi.
Il Santo Padre dedica dunque un paragrafo della sua Lettera ai Vescovi degli Stati Uniti d’America, il sesto, alla correzione fraterna della particolare teologia politico-morale sbandierata come veramente cristiana e cattolica dall’esponente del governo americano. Anche se non cita direttamente il nome del politico repubblicano è più che evidente che il Papa sta intervenendo con tutto il peso della sua autorità nel dibattito scatenatosi attorno alle parole di Vance, cominciando dalla contestazione della sua visione di una carità a spicchi sottoposta alla sovranità dell’individuo: «L’amore cristiano non è un’espansione concentrica di interessi che poco a poco si estendono ad altre persone e gruppi. In altre parole: la persona umana non è un mero individuo, relativamente espansivo, con qualche sentimento filantropico!».
Gli contesta, quindi, alla luce del Vangelo, la sua singolare teoria dell’ordine dell’amore: «il vero ordo amoris che occorre promuovere è quello che scopriamo meditando costantemente sulla parabola del “Buon Samaritano” (Lc 10, 25-37), ovvero meditando sull’amore che costruisce una fraternità aperta a tutti, senza eccezioni».
Vance, ricordiamolo, si è convertito al cattolicesimo alcuni anni fa e di questa identità ne ha fatto un’arma politica in seguito a un’altra conversione, cioè quella al trumpismo. Nella brevità di quel tweet bisogna infatti cogliere tutta una teologia politica che ormai impregna e determina l’azione di governo non solo degli USA ma di tanta parte del globo, Italia compresa, e che il vicepresidente americano identifica esplicitamente con la cultura di estrema destra o meglio, come la chiamano alcuni teorici contemporanei, neo-reazionaria, la quale viene opposta a quella dell’estrema sinistra – nella sua visione le ideologie esistono solo se pensate agli estremi – che a suo avviso rovescia la corretta gerarchia dell’amore e che, in maniera neanche troppo sottile, Vance suggerisce guidi il magistero attuale della Chiesa.
In effetti, almeno sul come la sinistra vede o dovrebbe vedere le cose, Vance non ha tutti i torti. Ricordo infatti che il filosofo francese Gilles Deleuze nel suo Abécédaire, al lemma G comme Gauche, definiva l’essere di sinistra esattamente nei termini di un rovesciamento della gerarchia immaginata dal politico trumpiano, conservando però anche lui l’idea dei cerchi concentrici:
Se mi si chiede come definire la sinistra, essere di sinistra, direi due cose. Ci sono due modi. E anche qui è innanzitutto una questione di percezione. C’è una questione di percezione: cosa vuol dire non essere di sinistra? È un po’ come un indirizzo postale. Partire da sé, la via dove ci si trova, la città, lo Stato, gli altri Stati e sempre più lontano. Si comincia da sé nella misura in cui si è privilegiati, vivendo in paesi ricchi, ci si chiede: come fare perché la situazione tenga? (…) Essere di sinistra è il contrario. È percepire… Si dice che i giapponesi percepiscano così. Non percepiscono come noi, ma percepiscono prima di tutto il perimetro. Dunque, direbbero: il mondo, il continente, l’Europa, la Francia, la rue Bizerte… io. È un fenomeno di percezione. Si percepisce innanzi tutto l’orizzonte, si percepisce all’orizzonte. (…)  Essere di sinistra è sapere che i problemi del terzo mondo sono più vicini a noi dei problemi del nostro quartiere. È veramente una questione di percezione, non di anime belle, no.

L’eccedenza del cristianesimo
Qualcuno, per opporsi all’ideologia neo-reazionaria, potrebbe anche essere indotto a credere che questa visione rifletta la vera posizione del cristianesimo e del cattolicesimo. Allora, tutto risolto? Non direi proprio, poiché il cattolicesimo, la sua tradizione, la sua “percezione” per dirla con il filosofo, mi pare non stia né da un lato né dall’altro e nemmeno, come troppo spesso si vorrebbe, in uno sbiadito e impaurito centro, ma eccede ognuno di questi punti di vista, aprendo con forza ogni cerchio, innanzitutto perché non comincia né dall’individuo né dall’orizzonte per poi, nel caso, arrivare gradatamente al mondo o a sé, ma dalla pienezza di Dio: dalla rivelazione che in principio non v’è né l’io né il mondo, bensì il Verbo e che quel Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi.
È solo dal Vangelo, cioè da Cristo, che possiamo ricavare l’ordo amoris, ci ricorda giustamente il Papa. Un ordine che un paio di anni fa madre Maria Ignazia Angelini, in un intenso articolo sull’Osservatore Romano dal titolo Ordo amoris: la propria vita in riscatto, leggeva come intessuto nel cammino di Gesù verso la croce, un cammino inframmezzato da frasi come quella in cui dice ai discepoli che lo interrogano: «molti dei primi saranno ultimi, e gli ultimi primi».
Se si parte da Gesù, come ogni cristiano dovrebbe ovviamente fare, ci si accorge che ogni ordine e gerarchia fondati sull’io o sul mondo vengono rovesciati e trascesi. «L’ordo amoris che muove l’universo», scrive madre Angelini, risiede fondamentalmente in Gesù che si fa schiavo e offre la sua vita in riscatto «per altri, tutti», ciò che è «qualcosa di più e altro della generosità o dell’impegno attivo». Mi pare che queste parole mettano davvero ordine superando, dall’alto, ogni riflesso ideologico.
Ma infine, se ne avessi la possibilità, suggerirei al vicepresidente Vance e a tutti i suoi sostenitori e detrattori che si combattano sul web di fare uno piccolo sforzo e leggersi per intero la sezione della Summa che Tommaso dedica alla carità, almeno fino al punto in cui, infrangendo il cerchio più duro, il santo teologo sentenzia che «in casu extremae necessitatis omnia sunt communia» («in caso di estrema necessità tutto è comune», Summa Theologiae II-II q.32 a.7 ad3), indicando quindi che coloro che sono in questo stato di bisogno e anche chi vuole aiutarli per amore, se non trovano sostegno in coloro che sono nella possibilità di farlo, sono liberi di prendere la roba altrui: sono infatti quelli che chiudono le loro porte e il loro cuore a peccare.

settimananews.it/informazione-internazionale/ordo-amoris-vance-e-francesco/

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