“Continuo a seguire con preoccupazione quanto sta avvenendo in Medio oriente, e chiedo ancora una volta un immediato cessate il fuoco su tutti i fronti. Si percorrano le vie della diplomazia e del dialogo per ottenere la pace. Sono vicino a tutte le popolazioni coinvolte, in Palestina, in Israele e in Libano, dove chiedo che siano rispettate le forze di pace delle Nazioni Unite. Prego per tutte le vittime, per gli sfollati, per gli ostaggi che auspico siano subito rilasciati, e spero che questa grande inutile sofferenza, generata dall’odio e dalla vendetta, finisca presto. Fratelli e sorelle, la guerra è un’illusione, è una sconfitta, non porterà mai alla pace, non porterà mai la sicurezza, è una sconfitta per tutti, soprattutto per chi si crede invincibile. Fermatevi per favore!”
Con queste parole Francesco ha confermato di saper cogliere i punti caldi di una crisi man mano che si sviluppano. Il primo qui indicato è dimenticarsi qualcuno per strada: gli ostaggi, i palestinesi, gli israeliani costretti a lasciare le loro case nel nord del paese, i libanesi, il personale dell’Unifil.
Proprio sull’Unifil si innesca un probabile ragionamento del papa: perché quella forza di interposizione dovrebbe trasferirsi, lasciare la base di Naqoura, vicina alla costa e al confine?
Perché lì, vicino alla costa, corre l’unica strada che collega le zone di frontiera tra Israele e Libano e le grandi città di Tiro, Sidone, Beirut. Dunque la temuta ma ipotizzata invasione di terra avrebbe bisogno di quella strada, dovrebbe passare di lì. Se non bastasse la pulizia della zona frontaliera, se si ritenesse indispensabile proseguire di più verso nord, di lì si dovrebbe comunque passare. A costo di quale futuro?
Tornare all’occupazione, ai tempi in cui l’esercito israeliano arrivò a Beirut, oggi avrebbe un peso sul futuro. Innanzitutto, quello indesiderabile di restituire a Hezbollah ciò che non ha più dal 2000: il diritto di chiamarsi forza di resistenza all’invasore. Quel diritto Hezbollah lo ha perso e questo ne ha indebolito il consenso politico nel corso degli anni, man mano che si dimostrava evidente la sua di occupazione, quella dello Stato libanese, che Hezbollah intendeva sostituire. L’indebolimento di Hezbollah lo dimostrano i martiri libanesi con il loro sangue: dall’assassinio di Rafiq Hariri nel 2005 all’esplosione del porto nel 2020.
L’Unifil dunque difende non solo il Libano e la popolazione del sud che non sta a cuore a nessuno se non a loro. Difende anche Israele da un trionfalismo che col tempo potrebbe portare a effetti o prodotti indesiderati
Dunque rispettare l’Unifil è un po’ salvare dall’unilateralismo trionfalista, ma per molti ad alto rischio di risultare controproducente. Infatti, la migliore prospettiva per il futuro del Libano l’ha indicata il leader druso Joumblatt: rinunciare alle armi da parte di Hezbollah, chiedere insieme il cessare il fuoco ed eleggere insieme, tutti, un capo di Stato. Sembra impossibile, ma la linea Joumblatt sta già ottenendo consensi e mette in difficoltà chi la rifiuta.
Infatti, è importante notare che senza riferirsi esplicitamente alle sue proposte il metropolita greco ortodosso di Beirut nel suo sermone domenicale abbia invitato la dirigenza nazionale, inclusi i cristiani, a unirsi urgentemente ed eleggere insieme un Presidente della Repubblica che possa parlare a nome di tutti e porre termine ai combattimenti. È il punto politico chiaro della proposta di Joumblatt. Infatti, ha detto espressamente che il Libano ha bisogno urgente di una voce. E qui è bene soffermarsi sulla parola “una”.
Monsignor Audi non vi fa esplicito riferimento, ma l’accento va posto sulla rinuncia alle armi. Anche il patriarca maronita si è espresso in questa domenica rileggendo la lettera ai cristiani del Medio Oriente, nella quale si afferma che le armi non portano mai la pace. E detto da Beirut ha un sapore che non può escludere Hezbollah.
È una prospettiva difficile, ma con l’occupazione risulterebbe ancora più difficile, non più facile. Un ruolo politico, non più miliziano per Hezbollah e tutta la comunità politica sciita, sarebbe decisivo. Gli sciiti in Libano esistono e non possono essere cancellati, ma chi li rappresenta non può imporsi al posto dello Stato.
Il vecchio concerto libanese deve cambiare: il consociativismo con Hezbollah, fatto di tangenti e lottizzazioni selvagge, è morto per sempre e qualche segno di possibile rinnovamento in queste ore si intravede.
Hezbollah disarmata, quella proposta da uomo che non parla mai a caso come Joumblatt, potrebbe partecipare al rinnovamento del discorso libanese, non ostinandosi a paralizzarlo nella sua egemonia miliziana. L’occupazione allontanerebbe tutto questo. Quel che non serve a nessuno.
Pubblicato da Settimana News il 14 ottobre 2024