Il Vangelo odierno: In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6, 41-51 – XIX TO/B).
Non c’è ambiente che non sia infettato, dove più dove meno, da una serie di mormorazioni e chiacchiere. Anche quello di Gesù, infatti egli dice: “Non mormorate tra voi”. Che vuol dire mormorare? Il dizionario Treccani ricorda che più comunemente mormorare significa “parlottare sommessamente su argomenti delicati, specie in tono malizioso; lagnarsi, protestare, esprimere malcontento a mezza voce; fare della maldicenza su colpe e peccati altrui, veri o presunti“. Il brano del Vangelo odierno ci insegna molte cose in termini di mormorazioni. I Giudei non volevano riconoscere e credere che Gesù fosse il “pane disceso dal cielo”. Su questo mancanza di fede – da studiare nelle sue tante cause e origini – costruiscono una mormorazione: Gesù non è nessun pane del cielo, è solamente “il figlio di Giuseppe” e “di lui conosciamo il padre e la madre”. Smontato, per così dire l’autore, si arriva alla conclusione: “come dunque può dire: Sono disceso dal cielo?”. E di seguito tutte le mormorazioni del caso. La chiusura mentale fa da padrona.
E’ interessante notare che Gesù non smonta le mormorazioni riaffermando la sua identità ma spostando l’attenzione sui soggetti mormoranti: essi non possono credere perché sono lontani da Dio, non sentono la sua “attrazione”, non sono disponibili a farsi istruire da Lui. In altri termini Gesù, per quello che riesco a comprendere, evidenzia il loro problema antropologico ed etico: sono persone chiuse, chiuse nel cuore e nella mente, nei loro pregiudizi e sistemi mentali e per questo non crederanno mai e mormoreranno sempre. Se ci pensiamo un attimo ciò succede non solo relativamente a un annuncio di fede, ma anche in molte situazioni comunitarie e istituzionali. In sintesi: chi non vuole credere – o almeno discutere onestamente di un problema – personalizza il discorso, cioè inizia a dire: “ma quello non è cosi e cosi?”. E poi si parte con le mormorazioni.
La risposta di Gesù presenta un ulteriore elemento. Afferma ancora il Signore: “Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me…”. Istruzione, conoscenza, essere “istruiti da Dio” sono richiami che sembrano – al meno per alcuni – quasi fuori luogo. Si potrebbe dire che mormorano coloro che sono più ignoranti e meno le persone colte? Non proprio: ci sono mormoratori in tutte le categorie sociali e culturali. Il problema è “farsi istruire da Dio”, “imparare da Lui”. In un mondo in cui girano (anche nella Chiesa cattolica) palloni gonfiati che si sentono padri eterni che pontificano su tutto e tutti, ignoranti che si credono geni e scienziati, spocchiosi e superbi che se potessero darebbero lezioni anche al Padre onnipotente, è difficile dire a qualcuno che le tue mormorazioni spesso sono infondate se non proprio stupide. E’ difficile ricordare loro che dobbiamo sempre abbassare la testa e porsi con umiltà, di cuore e di mente, di fronte a Dio e ai suoi giusti e retti di cuore.
Meditiamo la lezione del grande maestro Thomas Merton: “L’umiltà consiste precisamente nell’essere quello che realmente sei davanti a Dio, e poiché non ci sono due persone uguali, se hai l’umiltà di essere te stesso non sarai simile a nessun altro in tutto l’universo. Ma questa individualità non si manifesterà necessariamente alla superficie della vita quotidiana. Non sarà questione di mere apparenze, di opinioni, di gusti, di modi di fare. È qualcosa di profondo nell’anima”.
Rocco D’Ambrosio
[presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]