«Stop ai respingimenti, porre fine alla morte in mare, abbattere i confini dell’Europa!». E’ una delle dichiarazioni della Ong Alarm Phone – sostegno indipendente per le persone che attraversano il Mar Mediterraneo verso l’UE – sul naufragio al sud del Peloponneso, al largo della Grecia.
Secondo alcune testimonianze raccolte dall’Ansa c’erano circa 750 persone a bordo del peschereccio Adriana: 100 bambini nella stiva; 104 le persone salvate; 78 i corpi ritrovati.
Il bilancio finale potrebbe essere di 600 vite spezzate. Un’ecatombe senza precedenti, la più drammatica, dal punto di vista numerico. Erano diretti in Italia.
Si cercano ancora i corpi dei dispersi.
La ricostruzione di quanto accaduto è tutt’altro che chiara. Le autorità greche hanno fatto sapere che nessuno ha chiesto di essere soccorso prima del naufragio. La Ong Alarm Phone smentisce: «imploravano aiuto».
Frontex aveva segnalato la presenza dell’imbarcazione a rischio, con tanto di foto che circola sui social. Sulla vicenda interviene anche la BBC, con un tweet, dal suo account ufficiale: «La BBC ha ottenuto prove che mettono in dubbio il resoconto del naufragio della guardia costiera greca».
E’ scontro di versioni. Atene dispone il lutto nazionale per tre giorni.
«Chi ha responsabilità dovrà risponderne nelle sedi opportune» è l’argomentazione che ritorna di frequente. E tutti gli altri? Per esempio noi.
Il pericolo è sempre quello: la trappola dell’oblio. Ci cadiamo tutti, nessuno escluso. Persino quando succede a casa nostra. Prima di Cutro e dopo Cutro.
Veniamo bombardati da telegiornali, quotidiani, media che nelle prime ore riportano – facendo il loro lavoro – ogni singolo dettaglio. Lo sgomento iniziale, però, lascia presto posto all’oblio. La nostra è una memoria a breve termine. Viviamo in una bolla. Ciò che accade fuori di noi sembra non sfiorarci più di tanto. Un silenzio assordante di cui siamo complici.
Un fallimento umanitario.
Non si può descrivere diversamente. Nessun passo avanti. Anche l’Europa sembra intrappolata.
Al porto di Kamalata c’è un lenzuolo bianco. La scritta è in greco. Si legge «Se volete restare umani non dimenticate questa tragedia e i suoi 600 morti».
Una scritta bianca su uno sfondo nero spopola sui social: «Lutto universale». Forse non tutto è perduto. Forse è un primo tentativo di non cadere nella trappola dell’oblio. E’ già qualcosa ma non basta.
Cercasi un fine è “insieme” un periodico e un sito web dal 2005; un’associazione di promozione sociale, fondata nel 2008 (con attività che risalgono a partire dal 2002), iscritta al RUNTS e dotata di personalità giuridica. E’ anche una rete di scuole di formazione politica e un gruppo di accoglienza e formazione linguistica per cittadini stranieri, gruppo I CARE. A Cercasi un fine vi partecipano credenti cristiani e donne e uomini di diverse culture e religioni, accomunati dall’impegno per una società più giusta, pacifica e bella.