Nazionalismi e tattiche inquinate sugli sbarchi, di Alberto Bobbio

L’aveva promesso e ci è riuscito. Papa Francesco ha detto tutto quello che nessuno vuole sentirsi dire. Così la missione di Marsiglia è diventata la più politicamente scorretta del pontificato perché ha rivoltato in maniera definitiva la percezione micidiale della narrazione tossica globale sui migranti.
Primo: «Non c’è un’invasione di immigrati». Bisogna avere coraggio per smontare e rimontare il pensiero unico viziosamente costruito sulle sensazioni della pelle. Ma Bergoglio è politicamente scorretto, vede le cose dal punto di vista inconsueto della globalizzazione dell’indifferenza. Le parole di Marsiglia ostinate e contrarie, eppure ipocritamente applaudite, cambieranno il tono del dibattito e delle scelte? Francesco ci ha abituato a una diplomazia poco diplomatica e continua a proporre analisi in discontinuità.
Tuttavia la nuova stagione che invoca da dieci anni, testardamente e senza alcuna condiscendenza verso alcun potere, fatica a farsi largo. Meglio continuare sulla inciviltà dello scontro che sulla civiltà dell’incontro. Vale anche per la brutta bestia della percezione delle migrazioni. In Italia negli ultimi dieci anni è sbarcato circa un milione di persone e 700 mila sono andate via proseguendo verso altri Paesi. In Europa quest’anno sono entrati migranti per un valore pari allo 0,07 della popolazione residente, che è di 447 milioni.
Dov’è l’invasione e perché è quella l’impressione? Francesco risponde con il consueto coraggio per molti, anche tra i cattolici, inopportuno e imperdonabile. Spiega che è responsabilità di «propagande allarmistiche» e centra di nuovo la questione, opponendosi a chi con dati farlocchi propone narrazioni apocalittiche e si sente legittimato a farlo poiché occupa posizioni di potere frutto di un consenso di cui di solito fa uso sconsiderato. Il suo ragionamento disturba perché sbaraglia categorie ideologiche e concetti semantici, legati al tema delle migrazioni.
A Marsiglia lo ha detto con chiarezza assoluta puntando il dito sui «nazionalismi antiquati e belligeranti», parole gravi, frutto di un’analisi perentoria che non assolve nessuno, perché nel Mediterraneo non c’è una riva di nazionalismi buoni e protettivi e un’altra dei nazionalismi scellerati. I nazionalismi sono tutti crudeli, contrapposizioni ormai irrigidite dalla polvere dei tempi e pericolosi, poiché generano rifugiati, montano l’odio, incrementano l’avidità del potere e fanno «tramontare il sogno della comunità delle nazioni».
E soprattutto riempiono le fosse in terra e in mare di donne, uomini e bambini e allo stesso tempo inquinano coscienze e politiche. La dignità dell’uomo è cancellata, le sue storie ridotte a problemi fastidiosi, numeri e non volti, gente da «sgomberare» dall’orizzonte e per nulla affatto da «integrare». Bergoglio ha colto il problema cruciale delle migrazioni, che non ammette equivoci o autoassoluzioni, quando ha avvertito che la questione degli stranieri migranti viene continuamente usata secondo la logica aberrante del capro espiatorio, migranti responsabili di distrarre risorse ad altri poveri, a cittadini provati dalla crisi e schiantati dalle opulenze di troppo pochi. Ha denunciato che «il male» non è l’aumentare dei problemi, ma la decrescita della cura, circostanza che ha provocato i conflitti sociali. Eppure la sentenza, senza appello, è sempre un’altra: colpa degli immigrati. C’è un clima troppo burrascoso con tattiche e strategie inquinate a dirigere il gioco. Bergoglio si è messo di traverso. A Marsiglia ha precisato che la Chiesa lo fa da 50 anni, tempo della Populorum progressio di Paolo VI. Oggi è solo tutto più convulso, avvelenato e crudele.

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