Nel 2021, secondo le Nazioni Unite, è morto un bambino ogni 4,4 secondi. Per un totale di nove milioni di decessi nella fascia d’età che comprende i nati morti, ma anche i giovani fino a 24 anni. La causa principale è la scarsa qualità delle cure di base o la loro totale mancanza. E la pandemia, anche indirettamente, ha peggiorato le cose. Inoltre, sempre secondo le Nazioni Unite, nel 2023 i bisogni umanitari raggiungeranno livelli record e riguarderanno ben 339 milioni di persone contro i 274 dell’anno scorso. Saranno necessari più di 51 miliardi di dollari di aiuti.
Morto un bambino ogni 4 secondi e mezzo
Solo nel 2021 sono morti cinque milioni bambini con meno di cinque anni e più di due milioni nella fascia 5-24 anni. A questi si aggiungono quasi due milioni di nati morti, per una cifra complessiva intorno ai nove milioni. Nella maggior parte dei casi si tratta di morti che potevano essere evitate con l’accesso a cure di qualità. Ne è la dimostrazione il fatto che negli ultimi vent’anni queste cifre sono diminuite sensibilmente (i decessi nella fascia d’età 0-5 anni addirittura del 50%). E questo è stato il risultato degli investimenti fatti per migliorare l’assistenza sanitaria di base.
L’obiettivo 3.8 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile è proprio quello di «conseguire una copertura sanitaria universale, compresa la protezione da rischi finanziari, l’accesso ai servizi essenziali di assistenza sanitaria di qualità e l’accesso sicuro, efficace, di qualità e a prezzi accessibili a medicinali di base e vaccini per tutti».
Ma dal 2010 i progressi sono rallentati e continuando così si stima che saranno 59 milioni i bambini e i giovani (0-24 anni) che moriranno entro il 2030. E 16 milioni i nati morti. Il motivo principale? Esser venuti alla luce in un posto in cui non è garantito l’accesso a cure di qualità. Non dimentichiamoci che il luogo in cui si nasce è solo una questione di fortuna. E impensabile, nel Terzo millennio, che da questo dipenda ancora la possibilità di sopravvivere di un bambino.
I posti più sfortunati e le principali cause di morte
I luoghi peggiori in cui nascere sono l’Africa subsahariana e l’Asia meridionale. È qui che, nel 2021, si è concentrato il 77% dei nati morti. Ma l’Africa subsahariana è anche la regione, in generale, con il più alto rischio di morte al mondo. Quindici volte quello osservato in Europa e Nord America. E infatti lì sono avvenute il 29% delle nuove nascite, ma ben il 56% delle morti di bambini con età inferiore ai 5 anni.
Dato che tra le principali cause di morte figurano prematurità e complicazioni durante il parto, la maggior parte di queste morti potrebbe essere evitata se le donne avessero accesso a cure di qualità sia durante la gravidanza che al momento del parto. Per questo si dimostrano necessari costanti e ingenti investimenti per l’assistenza sanitaria di base.
Un’altra causa importante di morte dopo i primi 28 giorni di vita sono le malattie infettive come polmonite, diarrea e malaria. Il Covid, invece, non ha aumentato direttamente la mortalità, ma indirettamente ha aggravato la situazione.
La pandemia, infatti, ha ostacolato la fornitura di servizi di nutrizione e l’accesso a quella (seppur poca) assistenza sanitaria disponibile. Oltre ad aver rallentato le vaccinazioni dei bambini contro le malattie infettive. Vaccinazioni che hanno, per questo, registrato il più forte calo degli ultimi trent’anni.
Nel 2023 bisogni umanitari a livelli record
Già lo scorso anno il numero di persone bisognose di assistenza umanitaria era aumentato del 17%, arrivando a 274 milioni. Quest’anno è cresciuto ancora, raggiungendo i 339 milioni (più del doppio rispetto a cinque anni fa). Più della popolazione degli Stati Uniti. In pratica, una persona su 23 ha bisogno di assistenza d’emergenza per sopravvivere.
Il motivo è il peggioramento di una serie di condizioni critiche. Come la fame, che negli ultimi quattro anni è cresciuta a livello globale. E che è responsabile dei due terzi del totale di rifugiati e richiedenti asilo. Nel 2023, ben 222 milioni di persone in 53 Paesi non sapranno se e quando consumeranno un altro pasto. E 45 milioni di persone in 37 Stati rischiano di morire di fame. Un milione solamente in Afghanistan, Etiopia, Haiti, Somalia, Sud Sudan e Yemen.
Anche la povertà è aumentata. Tanto che l’obiettivo di sconfiggere la povertà estrema entro il 2030 non è più raggiungibile, soprattutto considerando che il numero di persone in questa situazione è lievitato di 90 milioni. In più, dato che le donne sono quelle più colpite da povertà e fame, si è allontanato anche il raggiungimento della parità di genere. Per la quale saranno necessari più di 130 anni, ben quattro generazioni, ai ritmi attuali.
Le cause principali? Conflitti, cambiamenti climatici, pandemia
Le guerre sono da sempre uno dei motivi principali. Semmai, la differenza, è che ospedali e scuole vengono presi di mira più di prima (così come gli operatori umanitari). Ma l’anno scorso, ai conflitti prolungati che vanno avanti da anni – come quelli in Siria e in Yemen – si è aggiunta la guerra in Ucraina. Che, oltre ad uccidere e devastare, ha diminuito il numero di persone con accesso ad acqua ed elettricità. Causando forse il più grande numero di sfollati dai tempi della Seconda guerra mondiale.
Non meno importanti sono i cambiamenti climatici. E i Paesi in via di sviluppo – che sono quelli che vi hanno contribuito di meno – sono quelli che ne pagano le conseguenze maggiori. Ne sono una dimostrazione le inondazioni che hanno devastato Nigeria e Pakistan. Tra l’altro, disastri ed eventi climatici estremi – come siccità ed alluvioni – sono responsabili per la maggior parte delle migrazioni forzate.
Da ultimo, anche la pandemia ha contribuito ad ampliare la platea delle persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria. Non solo per aver indirettamente aumentato la mortalità. Ma anche per l’incremento della povertà e l’instabilità economica che ne è conseguita. E accanto alla pandemia di Covid-19, hanno fatto la loro parte anche i focolai di vaiolo delle scimmie e di colera e l’aumento dei casi di Ebola.
Aiuti umanitari: quanti soldi servono e per cosa
Nel 2022 erano stati raccolti 24 miliardi di dollari (solo il 47% di quelli necessari). Che erano andati a beneficio di più di 145 milioni di persone sotto forma di cibo, di aiuto agli sfollati in 46 paesi diversi, di assistenza umanitaria d’emergenza (a più di 40 milioni di persone solo nella prima metà dell’anno).
In Afghanistan sono state aiutati più di 27 milioni di persone (su una popolazione di 40). In Ucraina sono stati trasferiti 1,7 miliardi di dollari di aiuti a più di 6 milioni di persone. E lì, quest’anno, l’Onu ha in programma un piano umanitario e di aiuto ai rifugiati che vada a vantaggio di più di 13 milioni di persone.
Nella Repubblica Democratica del Congo, con un conflitto in corso, sono stati aiutati 5 milioni di persone con cibo, rifugi, medicine e altri beni essenziali. Nello Yemen, anch’esso devastato dalla guerra, ogni mese vengono aiutate più di dieci milioni di persone. Ma questi aiuti sono serviti anche per potenziare e aiutare le organizzazioni femminili locali. Che sono state coinvolte nel progettare i programmi umanitari in Etiopia, Iraq, Myanmar, Palestina, Siria e Yemen.
E quest’anno? Sono ben dieci i Paesi che hanno bisogno di più di un miliardo di dollari. Prima su tutti la Repubblica Democratica del Congo in cui sarebbero necessari 2,3 miliardi di dollari. Poi Afghanistan, Etiopia, Nigeria, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Siria, Yemen e – ovviamente – l’Ucraina. Nel complesso, l’Onu si prefigge l’obbiettivo di aiutare le persone più in difficoltà, ovvero 230 milioni in 69 Paesi diversi. Ma sono necessari 51,5 miliardi di dollari. Sperando che la raccolta quest’anno sia migliore dell’anno scorso.
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