MINACCIA ALLA DEMOCRAZIA GLOBALE, DI MAURIZIO BONGIOANNI

Le multinazionali hanno acquisito un potere tale da rappresentare una seria minaccia per la democrazia moderna. È quanto denuncia l’ITUC (Confederazione sindacale internazionale) in un’analisi pubblicata lo scorso 23 settembre, evidenziando le pratiche antisociali, antidemocratiche e antiecologiche di sette colossi, indicati in ordine di minaccia: Amazon, Blackstone, ExxonMobil, Glencore, Meta, Tesla e Vanguard.

La crescente influenza di queste grandi imprese rischia di destabilizzare le società democratiche, attraverso un uso aggressivo delle attività di lobbying e la manipolazione del dibattito pubblico. Secondo l’ITUC, che rappresenta oltre 200 milioni di lavoratori a livello globale, questi giganti economici non solo minano i diritti umani e sindacali, ma compromettono anche le politiche ambientali.

Amazon, Meta, Tesla, ExxonMobil, insieme ai fondi d’investimento Blackstone e Vanguard e alla compagnia mineraria Glencore, sono identificati come i principali responsabili del degrado delle democrazie, del mondo del lavoro e dei diritti umani. Le accuse mosse dall’ITUC sono pesantissime, ma per lo più ignorate dalle multinazionali citate. Queste ultime continuano a sfruttare il loro potere economico per influenzare le politiche a proprio vantaggio, a scapito dei diritti sociali e ambientali.

Glencore ed ExxonMobil, ad esempio, sono accusate di condurre campagne contro i diritti delle popolazioni indigene e di finanziare iniziative di disinformazione e negazionismo climatico. Secondo l’ITUC, queste strategie di lobbying non fanno altro che rallentare l’adozione di politiche progressiste, contribuendo ad accrescere le disuguaglianze globali.
Il potere delle multinazionali si estende anche alla sfera politica. Il rapporto dell’ITUC evidenzia come molte di queste imprese sostengano apertamente partiti di estrema destra in vari Paesi, influenzando l’orientamento delle politiche nazionali. Blackstone, ad esempio, è associata al finanziamento di campagne per candidati repubblicani negli Stati Uniti.

In questo senso, Elon Musk rappresenta un caso emblematico. Da un lato, ha utilizzato milioni di dollari per influenzare politici in tutto il mondo, dall’altro è diventato un eroe dell’estrema destra. Quando un utente di X (ex Twitter) lo ha accusato di supportare il colpo di Stato in Bolivia (Paese ricco di litio, risorsa preziosa per la produzione di veicoli elettrici come quelli di Tesla), gli ha risposto così: «Faremo un colpo di Stato a chi vogliamo. Fattene una ragione!». Musk si è inoltre impegnato a donare 45 milioni di dollari al mese a un comitato politico per sostenere la campagna di rielezione di Donald Trump, coltivando strette relazioni con altri leader di estrema destra come l’argentino Javier Milei e l’indiano Narendra Modi. Da quando è proprietario di X, ha anche riabilitato e sostenuto apertamente account nazionalisti bianchi, antisemiti e anti-LGBTQ+.

Meta è la società madre di Facebook, WhatsApp, Instagram, Threads e Messenger. Insieme, queste piattaforme social raggiungono quasi quattro miliardi di utenti, lo stesso numero di persone che si stima voteranno a livello globale nel 2024. Il modello di business di Meta sfrutta enormi quantità di dati personali per offrire pubblicità mirata, rendendola un bersaglio ideale per le violazioni dei dati e un canale privilegiato per la propaganda politica.

Negli Stati Uniti, milizie di estrema destra usano Facebook per reclutare nuovi membri, mentre in Germania l’AfD ha sfruttato la piattaforma per alimentare l’odio anti-immigrati, ottenendo successi senza precedenti nelle elezioni parlamentari europee. Zuckerberg non è mai intervenuto per fermare questi abusi. La facilità con cui Meta permette la diffusione di propaganda di estrema destra non è limitata al Nord del mondo: esempi significativi si registrano anche in Brasile, India ed Etiopia, dove la piattaforma è stata utilizzata per fomentare odio etnonazionalista.
Amazon, il più grande rivenditore online e servizio di cloud computing al mondo, è diventata celebre per la sua resistenza ai sindacati, i bassi salari e le condizioni di lavoro sfavorevoli. Solo negli Stati Uniti, il tasso di infortuni tra i suoi lavoratori è doppio rispetto a quello di aziende simili e il colosso ha accumulato oltre 250 milioni di dollari di multe per violazioni legate a privacy, salute, sicurezza sul lavoro e ambiente. Nonostante le pressioni, Amazon si è rifiutata di aderire all’Accordo internazionale per la salute e la sicurezza nell’industria tessile e dell’abbigliamento.

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