Medio Oriente: Ramadan senza tregua, di Alessia De Luca

Il mese sacro di Ramadan è iniziato senza la tanto attesa tregua nella Striscia di Gaza, dove cinque mesi di combattimenti, raid aerei e una crisi umanitaria senza precedenti hanno portato finora alla morte di oltre 31mila persone, la maggior parte dei quali donne e bambini. Il nord della Striscia, in particolare, è  sull’orlo della carestia : almeno 25 bambini finora sono morti di fame e disidratazione, mentre le famiglie mangiano erbacce e mangimi per animali, suscitando l’allarme internazionale. E mentre Unione Europea e Stati Uniti progettano di aprire un corridoio di assistenza via mare – operativo, però, non prima di due mesi – prosegue la consegna di aiuti per via aerea da parte di vari paesi. Nel fine settimana, tuttavia, la distribuzione di aiuti nel nord della Striscia ha provocato la morte di almeno cinque persone, dopo che i paracadute che reggevano alcuni pacchi non si sono aperti. La vicenda ha sollevato numerose critiche da parte delle organizzazioni umanitarie nei confronti della comunità internazionale, Stati Uniti in primis, per aver accettato le limitazioni volute da Israele, che ha imposto sul territorio quello che, di fatto, è un embargo totale.
Medici senza frontiere ha accusato Washington di aver improvvisato delle operazioni di “distrazione”, rinunciando di fatto a usare la propria influenza nei confronti di Israele, in qualità di alleati e fornitori di armi, per provare ad aumentare le consegne via terra, l’unico metodo secondo l’Onu per poter evitare la carestia imminente. Anche quando atterrano in sicurezza, infatti, non è detto che gli aiuti raggiungano i più vulnerabili, senza contare che un solo camion può trasportare tra le 20 e le 30 tonnellate di aiuti, 10 volte la quantità trasportata da un aereo.

Ramadan di lutto? 
Alla luce della situazione nella Striscia, quello che i musulmani si apprestano a celebrare sarà per forza di cose un Ramadan diverso, soprattutto a Gerusalemme. Nella città santa, terzo luogo più sacro dell’Islam, che ospita la Moschea di Al-Aqsa, i negozi palestinesi sono chiusi e per le strade mancano le caratteristiche decorazioni. “Questo Ramadan sarà difficile. Come faremo a interrompere il digiuno e a mangiare, pensando ai nostri compatrioti a Gaza?”, si chiede un palestinese intervistato da Bbc.  Per molti sarà un Ramadan di lutto, mentre le tensioni rischiano di accendere nuove scintille di violenza: più volte in passato, infatti, gli scontri alla spianata delle moschee hanno segnato l’inizio di vere e proprie escalation militari, compreso il lancio di razzi di Hamas che scatenò una breve guerra con Israele nel 2021. Quest’anno l’escalation è già in atto da cinque mesi e la tensione è alle stelle. Basta poco a innescare la miccia. Nella serata di ieri, le forze israeliane hanno impedito a un gran numero di fedeli palestinesi di entrare nel complesso della moschea di Al-Aqsa per le tradizionali preghiere alla vigilia del Ramadan. Inoltre, il governo dislocherà nella Città Vecchia centinaia di agenti di polizia e della Guardia di frontiera per tutto il mese. Mentre, per far fronte a possibili situazioni di emergenza in occasione delle preghiere del venerdì, solitamente molto affollate, alle forze dell’ordine si aggiungeranno le unità speciali.
Colloqui in stallo? 
Intanto, sarebbero ripresi ieri al Cairo i negoziati per tentare di raggiungere un cessate il fuoco in cambio del rilascio degli ostaggi israeliani. Agli incontri, però, partecipano solo rappresentanti di Egitto, Qatar e  Stati Uniti, con una delegazione di Hamas. Fin dal principio, le speranze di raggiungere un accordo nella capitale egiziana sono state fiaccate dalla decisione di Israele di non inviare i propri rappresentanti, dopo il rifiuto del movimento islamista di fornire un elenco dettagliato degli ostaggi ancora vivi. Secondo fonti egiziane, gli Stati Uniti starebbero tentando di favorire una breve tregua di 2-4 giorni in modo da riprendere i negoziati e aumentare l’ingresso degli aiuti nell’enclave. In cambio, Washington avrebbe chiesto a Hamas di fornire una lista con i nomi degli ostaggi sotto il suo diretto controllo e informazioni sugli altri detenuti in mano ad altre fazioni. Al momento, tuttavia, non ci sono riscontri ufficiali. Ieri, le Brigate Ezzedin al Qassam, braccio armato di Hamas, hanno pubblicato un video con i nomi e le foto di sette ostaggi che sarebbero stati uccisi dai bombardamenti di Israele sulla Striscia di Gaza.
Rafah non è una linea rossa? 
In un’intervista rilasciata nel fine settimana alla Msnbc, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dichiarato che “Benjamin Netanyahu sta facendo più male che bene a Israele” e che l’invasione di Rafah “è una linea rossa” ma che gli Stati Uniti “non abbandoneranno mai Israele” la cui difesa è ancora cruciale. Parole contraddittorie, ma che mostrano come, sul conflitto in Medio Oriente, la tradizionale alleanza tra lo Stato ebraico e Washington sia messa a dura prova e che la relazione tra il presidente Usa e il premier israeliano sia ormai ai minimi termini.
Joe Biden “si sbaglia” ha detto chiaro e tondo Netanyahu in un’intervista al quotidiano Politico in parte anticipata dai media israeliani. “Se intendeva dire che conduco una politica contro la maggioranza dell’opinione pubblica israeliana e che ciò che faccio danneggia gli interessi di Israele, allora ha torto su entrambe le cose”. Il premier israeliano ha affermato che la prossima fase dell’offensiva su Gaza resta l’occupazione della città di Rafah, al confine con l’Egitto, dove attualmente vivono assiepati circa un milione e mezzo di palestinesi in fuga dai bombardamenti. Funzionari israeliani hanno detto ai media che se non verrà raggiunto un accordo con Hamas per la liberazione degli ostaggi ancora in mano alle milizie, l’operazione per “bonificare Rafah” potrebbe iniziare ad aprile. Secondo il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock, in queste condizioni l’avanzata dell’esercito israeliano sulla città nell’estremo sud di Gaza provocherebbe “una catastrofe umanitaria”.
Il commento, di Raffaella Baritono, Professoressa Università di Bologna
Joe Biden ha un doppio problema con cui confrontarsi: sul fronte interno, nel pieno della campagna elettorale, deve arginare le perdite di consenso presso un elettorato sempre più preoccupato per la crisi in corso in Medio Oriente e l’altissimo numero di vittime civili, mentre sul fronte esterno fatica a ricucire le fila di una leadership americana in evidente affanno, in un panorama internazionale sempre più disgregato”.

www.ispionline.it/it/pubblicazione/medio-oriente-ramadan-senza-tregua-166431

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