Medio Oriente, ci sono segnali per una svolta, di Giorgio Ferrari

Si può parlare di pace, ora che “il lavoro” di Netanyahu, come lo chiama Donald Trump, è sostanzialmente finito? Si può ricominciare a pronunciare quella parola da troppi mesi sepolta sotto cumuli di macerie, cataste di morti, violazioni territoriali, sfregi di siti, luoghi, memorie civili e religiose? Si può? Sì, si può, anzi, si deve, sebbene la prudenza e – non neghiamolo – un educato disincanto ci avvolgono e ci condizionano. Troppe parole di pace andate perdute, troppe illusioni falcidiate dai lampi di guerra. Troppe guerre, troppi fuochi, troppi incendi, troppo di tutto.
Ma guardiamo i fatti, le nude cose. Per la prima volta Hamas ha comunicato ai mediatori che accetterà di consentire all’Idf, le forze israeliane, di rimanere temporaneamente a Gaza dopo l’entrata in vigore di un accordo di cessate il fuoco e il contemporaneo rilascio di una trentina di prigionieri in cambio della liberazione da parte di Israele di detenuti palestinesi e dell’ingresso di maggiori aiuti umanitari a Gaza. Non proprio una pace durevole, ma qualcosa che tenta di assomigliargli.
Pace, si fa per dire, anche nel devastato quadrante libanese e siriano. Il compito dei cannoni, degli incursori, dell’aviazione di Tsahal sembra concluso. Dimezzata e pesantemente amputata la forza militare di Hezbollah, distrutti e colpiti al cuore i “santuari” di confine attraverso i quali l’Iran faceva passare armamenti e rifornimenti al Partito di Dio, smembrata e smozzicata anche quell’autostrada sciita che da Teheran penetrava come una lama attraverso Siria e Iraq fino al Bahrein e allo Yemen: quella siriana è ora capitale finalmente decapitata del cinquantennale regno alauita che fu del Leone di Damasco Hafez al-Assad e poi del suo sanguinario secondogenito Bashar.
Pace? Non proprio. Promesse, quelle sì, ma guerra al momento no, non più. Come chiamarla? Pax Israeliana? Entente cordiale fra Russia, Turchia e Iran (si chiamerebbe “Formato Astana”, ma di fatto non è poi così dissimile da quella Triplice Intesa conclusa centovent’anni or sono) sulle spoglie di una nazione che non esiste più e con un vantaggioso tornaconto per ciascuno? Sicuramente in parte sì. Erdogan che impedisce la creazione di un Kurdistan siriano e si libera di milioni di profughi che ritornano in Siria; Putin che cauterizza i confini delle proprie basi navali sul caldo mare Nostrum. Perfino Trump si vedrà costretto a modificare la dottrina del disimpegno mediorientale mantenendo una presenza militare americana nella regione.
È una pace? Certamente no. È una vittoria strategica di Israele, che di fatto ha ridisegnato la carta geografica del Medio Oriente, prolungando la vita politica del suo leader e mettendo un’ipoteca sul futuro della regione. Ma se tacciono i cannoni non tace il dolore per le ferite e i lutti inferti da due guerre – quella di Gaza e dintorni e quella in Ucraina – che solo ora, in remoti barbagli, sembrano avviarsi a una tregua.
Duro e impietoso in questo senso è stato l’appello di Emergency, Medici Senza Frontiere, Oxfam, l’associazione Fermatevi! e #StopCrimesinPalestine, che ieri hanno denunciato il disastro umanitario e i crimini che si stanno consumando a Gaza, chiedendo al governo italiano di lavorare per un cessate il fuoco immediato. Un appello che ha coinvolto oltre 500mila cittadini e relative firme.
E la pace? Solo un cospicuo groviglio di interessi può davvero promuoverla. Per questo tutti – anche se fingono noncuranza – attendono il 20 gennaio 2025, quando Donald Trump riprenderà possesso dello Studio Ovale. La Cina sarà la sua prima preoccupazione, Ucraina e Medio Oriente un problema collaterale mitigato dagli Accordi di Abramo che riavvicinano Israele, Arabia Saudita, emiri del Golfo, egiziani e maghrebini. Affari, insomma, più che ideali. Un ramo nel quale The Donald è maestro.
Costa dirlo, ma a bassa quota, molto al di sotto degli sforzi nobili di chi nelle guerre non ha mai creduto, la pace passa anche dal portafoglio e dalle convenienze di tutti gli attori e i comprimari del Great Game. Che, come si vede, non ha mai smesso un istante di attirare al proprio tavolo i suoi eterni giocatori.

avvenire.it/opinioni/pagine/medio-oriente-ci-sono-segnali-per-una-svolta

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