«Si assiste a una intollerabile serie di manifestazioni di violenza: insulti, volgarità di linguaggio, interventi privi di contenuto ma colmi di aggressività verbale, perfino effigi bruciate o vilipese, più volte della stessa Presidente del Consiglio, alla quale va espressa piena solidarietà». Alla fine a ricordare ai rappresentanti delle istituzioni la necessità di affrontarsi in un dibattito più civile e consono ai ruoli e ai luoghi istituzionali per i quali si fa campagna elettorale è stato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella rispondendo alle domande di un gruppo di studenti: «Il confronto politico, la contrapposizione delle idee e delle proposte, la competizione, anche elettorale, ne risultano mortificate e distorte».
«Ne viene travolta la dignità della politica che scompare, soppiantata da manifestazioni che ne rappresentano la negazione. Mi auguro che la politica riaffermi sempre e al più presto la sua autenticità, nelle sue forme migliori». Il riferimento esplicito è a un manichino con le sembianze di Giorgia Meloni che sarebbe stato bruciato nel corso della manifestazione del 21 febbraio nel quartiere Montesacro a Roma, in occasione della commemorazione per la morte di Valerio Verbano, militante della sinistra extraparlamentare ucciso nel 1980.
Ma è evidente che le parole del Presidente si riferiscono a un degrado che non comincia e non finisce lì e che ha trasceso nell’ultimo periodo, e di parecchio, la disciplina e l’onore che l’articolo 54 della Costituzione chiede a chi si assume l’onere di rivestire cariche pubbliche. È un fatto che sia, e da tempo, passata di moda la politica che parlava forbito, al punto da riuscire oscura al popolo sovrano che avrebbe dovuto rappresentare, ma tra gli estremi delle «Convergenze parallele» di Aldo Moro e l’eloquio del sindaco di Terni Stefano Bedecchi che fa notizia per un gergo a base di volgarità a sfondo sessuale, anche nell’aula consiliare, si potrebbe chiedere, e forse pretendere, un sano giusto mezzo che, nelle ovvie contrapposizioni della campagna elettorale, eviti di scadere nel linguaggio da trivio e in concetti degni della clava di Fred Flinstone.
E invece sono di poche settimane fa le offese di Vittorio Sgarbi al conduttore di Report, pronunciate rincarando la dose delle parole con l’atto di sbottonarsi i pantaloni. Ancor più di recente ha tenuto banco lo scambio di “gentilezze” tra Giorgia Meloni, che aveva accusato pubblicamente il Presidente della Campania Vincenzo De Luca di non essere «collaborativo», aggiungendo: «Se invece di fare le manifestazioni ci si mettesse a lavorare forse si potrebbe ottenere qualche risultato in più». Sortita che ha avuto in risposta un “fuori onda” – carpito forse da un cellulare – a base di: «Lavora tu», seguito da un insulto da strada. Ed è di poche ore fa l’apostrofe del consigliere di opposizione, leghista, Alessio Ercoli alla candidata sindaca Pd di Biella, Marta Bruschi, accusata di non essere all’altezza di fare il sindaco per essersi assentata alle 21.30 per allattare la sua bimba di 8 mesi. L’articolo 54 della Costituzione pare in soffitta e anche con l’articolo 3 e con la parità a quanto pare, a 76 anni dall’entrata in vigore, ancora non s’è fatta pace. E intanto il partito più rappresentato è sempre l’astensione – comunque una sconfitta della democrazia -, e chissà che non vi abbia un peso questa povertà di linguaggio che sembra riflettere povertà di argomentazioni, di idee e di soluzioni. Eppure chi dibatte con questo tenore, lontanissimo (non solo in Italia) dalle sfide di un mondo che pone problemi sempre più urgenti e complessi, troppo occupato a prendere l’avversario a pesci in faccia, non sembra preoccuparsene.
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