Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti» (Mt 22, 1-14 – XXVIII TO/A).
In tempi di wedding planers, di matrimoni e feste organizzate fin nell’ultimo particolare, dà un po’ fastidio pensare a un re che, a un certo punto, scocciato dal rifiuto degli invitati, rivolga la sua attenzione ai primi che trova per strada, cattivi o buoni che siano. Saltano molti criteri. La cosa non la mandiamo giù, né la capiamo; soprattutto se poi, a fare questo, è il buon Dio nel Regno dei Cieli.
Ma dovremmo porci anche dalla parte del re, cioè del Signore Iddio. Egli non si deve esser sentito molto bene quando ha visto tutti i suoi invitati rifiutare l’invito a pranzo, per giunta all’ultimo momento. Sappiamo bene che la parabola, nel progetto di Matteo, era rivolta sostanzialmente agli ebrei, invitati a entrare nel regno di Gesù ma alcuni troppo occupati in altro e sprezzanti verso il re, cioè Dio Padre, tanto da uccidere i servi inviati, cioè i profeti. C’è sempre chi, viene invitato, ma ha altro da fare: vale nella vita quotidiana come in quella di fede.
Dobbiamo onestamente ammettere che spesso anche noi ci comportiamo come gli ebrei peggiori e non come i giusti di Israele. Siamo meno credenti autentici e più farisei, sacerdoti e dottori della legge: ci sentiamo al di sopra del Re, del padrone, del Signore, chiamiamolo come vogliamo. Ci riteniamo così importanti davanti a Dio da pensare di essere indispensabili per la sua opera. Il Battista rimprovera la nostra presunzione e superbia con quel monito che non dobbiamo assolutamente dimenticare: “non crediate di poter dire dentro di voi: «Abbiamo Abramo per padre!». Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo” (Mt 3, 9).
Se Dio può far nascere suoi figli dalle pietre, se lui può rifare immediatamente la lista invitati, dobbiamo abbassare la testa e stare attenti ad accogliere i suoi inviti, specie quando ce li invia attraverso profeti vecchi e nuovi. Altrimenti perderemo la festa, in questa terra, come nell’al di là. Ammonisce Paolo: “Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio”. (1 Cor 6, 9-10).
E l’abito nuziale? Anche qui la storia è abbastanza seria. “Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti”. Sembrerebbe che il re non chieda molto, ma almeno un abito decente, da cerimonia, diremmo oggi. Gli studiosi ci ricordano che è importante ricordare le usanze orientali: gli ospiti invitati ai grandi banchetti facevano il bagno, si ungevano e vestivano un abito nuovo. In altri termini: il Signore si aspetta che ci prepariamo a incontrarlo, ogni qualvolta ci chiama, in terra come in Cielo. In altri termini la festa è per giusti e operatori di pace e non per corrotti e guerrafondai.
Ho sempre pensato – forse con troppa semplicità – che il Signore non ci chiede abiti di lusso o speciali o originali. Ognuno si mette il meglio che ha. Rischieremo di essere cacciati per questo? Penso proprio di no. Perché qualcosa di nuovo, di giusto, di autentico, lo portiamo addosso, cioè appartiene alla nostra vita. Ovvero ci siamo preparati a incontrarlo, portando qualche frutto di giustizia e di pace. Così come siamo, con tutti i nostri limiti e peccati. Con la nostra storia, in parte bella, in parte brutta. Così, sic et simpliciter, entreremo alla festa.
Rocco D’Ambrosio
[presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]