Considerare la dimensione relazionale come aspetto centrale dell’azione umana offre una prospettiva più ricca per comprendere l’economia. Un’antropologia relazionale è essenziale perché le persone si preoccupino dell’impatto delle loro azioni su altri, sull’ambiente e sulle generazioni future. Come ha sottolineato Giorgio Vittadini nel dialogo con Paolo Bricco apparso su questa testata: «Il benessere collettivo è perseguibile solo se siamo disposti a sacrificare una parte della nostra utilità individuale». Questo implica una revisione delle premesse su cui si basa il sistema economico attuale. Studi comportamentali, come il gioco dell’ultimatum (Güth et al., 1982) e il gioco del dittatore (Forsythe et al., 1994), mostrano che altruismo ed equità prevalgono come motivazione profonda dell’agire rispetto alla mera massimizzazione dell’utilità individuale. Il warm glow (Andreoni, 1990) suggerisce che le persone provano soddisfazione intrinseca e, aggiungiamo, scoprono un senso più compiuto del loro agire quando le loro azioni sono orientate alla dimensione del dare e condividere. Le persone si preoccupano anche dell’ambiente, seguendo una visione di ecologia integrale che riflette un ordine di relazione con la natura. Un sondaggio Nielsen (2019) ha rilevato che il 73% dei consumatori globali è disposto a cambiare abitudini per ridurre l’impatto ambientale. Movimenti come “Fridays for Future” evidenziano l’impegno delle nuove generazioni, mentre culture indigene e concetti come il principio della “Settima Generazione” degli Irochesi o Ubuntu nel Sud globale sottolineano la centralità di una visione relazionale. Studi comportamentali (Zaval et al., 2015) mostrano che presentare le azioni ambientali come benefici per il futuro aumenta la motivazione a comportamenti sostenibili. Ripensare l’economia richiede una ridefinizione della razionalità, passando da una visione unidimensionale e individualista a una razionalità “complessa” e relazionale, basata sul contesto e sulle relazioni. Studi di economia comportamentale e antropologia (Ostrom, Descola) dimostrano che i beni comuni possono essere gestiti efficacemente senza ricorrere a forme di governance schiacciate su un utilitarismo a carattere egoistico.
Questi approcci valorizzano la cooperazione e la costruzione di fiducia come pilastri della sostenibilità economica e sociale.
Come sottolinea Vittadini, «un vero progresso deve essere misurato non solo in termini materiali, ma anche in base alla capacità di migliorare il tessuto relazionale». Infatti, nel momento in cui si allarga la concezione di razionalità, i modelli economici si aprono a soluzioni al tempo stesso più complesse e realistiche, per cui non conta solo la crescita ma anche l’inclusione e la presenza di forme organiche di solidarietà per la condivisione del rischio.
Infine, occorre allineare i sistemi finanziari agli obiettivi climatici, popolando il mercato finanziario di informazioni credibili che permettano agli investitori che lo desiderano di indirizzare le proprie scelte di investimento verso progetti sostenibili. Il rapporto tra investimenti finanziari e sostenibilità è lampante: secondo Swiss Re (2021), l’inazione climatica potrebbe ridurre il Pil globale del 18% entro il 2050. Affrontare questi rischi richiede immaginazione, collaborazione e politiche pubbliche che mettano al centro la dignità umana e la sostenibilità.
Considerare le persone non come atomi isolati, ma come esseri intrinsecamente legati al loro contesto, alla comunità e al pianeta, offre percorsi verso un futuro più giusto e desiderabile.
Kenneth Arrow, premio Nobel per l’economia, aveva ben intuito che solo riconoscendo i desideri socializzanti come parte della trama che sostiene le scelte a valore sociale, sino ai vari gradi di partecipazione democratica, si possono trovare soluzioni che promuovano il benessere collettivo. Le ricerche di Richard Easterlin spesso affrontano la complessità della crescita economica, in particolare l’interazione tra la ricchezza materiale (Pil pro capite) e misure più ampie di benessere, come la felicità o la coesione sociale. Sebbene Easterlin non utilizzi esplicitamente il termine “beni relazionali” (un concetto più comunemente associato a sociologi come Robert Putnam), il suo lavoro implica preoccupazioni simili. Su queste premesse dobbiamo dare il nostro contributo di pensiero per una teoria economia più adeguata. Certamente questo richiede la capacità di interagire in modo organico con altri campi.
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