Tra le varie ricerche appassionate su Aldo Moro e la sua dimensione cristiana della politica ci si può imbattere in una vera e propria lezione del mai dimenticato Renato Dell’Andro; lezione, quest’ultima, raccolta nei quaderni della Federazione dei centri studi proprio sull’ex Presidente italiano (1992).
La lezione in questione, però, tocca implicitamente Moro perché involge, invece, la dimensione dell’uomo politico nella visione di Don Lorenzo Milani.
Per Don Milani la politica non può che essere anche religione nel senso che deve ragionare da “ultima”.
Cosa strana si direbbe. Come fa la politica ad esser “ultima” quando, piuttosto, occorrerebbe che fosse la prima (cioè all’apice della motivazione esistenziale) a gestire la condizione umana per risolverne i problemi che attanagliano la stessa?
Non è affatto strano se si considera l’intimo senso che Don Milani, tramite l’insegnamento di Renato dell’Andro, ha voluto offrirci.
Il rapporto tra bestia, uomo e santo è la chiave di lettura migliore per comprendere al meglio il concetto di fondo: non si può passare direttamente dalla bestia al santo. Bisogna farsi uomo.
Non si può saltare un anello di congiunzione di questa trinità del cammino politico della persona.
E perché si tratta di “cammino politico” e non di semplice cammino di fede o di semplice cammino che una persona può fare a prescindere dall’essere credente o meno.
Il motivo risiede, incredibilmente, nel ruolo che ha la scuola in tutto ciò.
Posto che la scuola “per ogni cristiano è fonte di rivoluzione” (sempre percorrendo il discorso di Dell’Andro e considerando che più avanti si comprenderà quale senso abbia il termine “rivoluzione” per “l’uomo politico” alla Don Milani) essa è il luogo della persona in cui le differenziazioni sono contestate.
E contestare quanto sopra è la premessa della novella cristiana legata al fare-promuovere l’umanità verso un fine popolare e povero in cui la ricchezza vera è nell’affermazione della cultura quale strumento di ascensore sociale ed al contempo strumento inclusivo (cioè che nessuno lascia indietro).
Don Milani parte dalla scuola come soggetto che deve portare tutti allo stesso livello nel senso spettando all’insegnante predisporre il contenuto per essere uomo nell’umanità (comunitarismo) e non il contrario (individualismo).
Allora è da questo passaggio che Dell’Andro, rifacendosi all’esperienza morotea, finisce per dare alle parole di Don Milani un perimetro anche costituzionale nell’art. 3: l’uguaglianza formale e sostanziale.
Quindi l’uomo, tra l’essere bestia e diventare santo, necessita di una dimensione scuola-cultrice per prepararsi all’essere politico.
È l’uomo politico nell’idea di Don Milani che deve essere ultimo, non il primo degli ultimi.
Perché il politico deve abitare (come direbbe anche Simon Weil) la sofferenza del prossimo per esser rivoluzionario nel quotidiano nella misura in cui vive il tragico, ma non si distacca dal ruolo istituzionale. È il ruolo istituzionale che permette, infatti, di essere contro un certo ordinamento (non è un controsenso), amandolo, impegnandosi nel volerlo conforme alla visione di giustizia tra pari. Quindi cambiandolo. Diversamente si tratterebbe di essere reazionari, sovversivi, eversivi, ecc.
L’uomo politico, pertanto, deve essere uomo di cultura (non intellettuale, ma di cultura) perché viene dall’esperienza di aver visto o vissuto la “bestia sofferenza” passando dalla scuola che lo ha educato alla rivoluzione del bene.
Ecco perché se l’uomo politico è cultura vale anche il contrario: qualsivoglia forma di cultura non può non esser politica nel senso che indirizza verso l’innalzamento morale dell’uomo verso l’umanità.
Da qui il passaggio dall’esser bestia ad esser uomo: quando l’uomo è politico per, davvero, ha un’unica ossessione culturale: avvicinare l’ultimo per renderlo uomo in quanto “non ha avuto dalla vita”.
Cosa non ha avuto? La cosiddetta chance.
Allora la chance che ricrea l’uomo politico è un atto di cultura e al tempo stesso di capacità messa al servizio del dovere per la società.
Dimensione che rende cristianamente perché non c’è una politica senza cultura dell’ultimo.
Se questo è il fine nonché l’origine della “proposta politica” c’è che l’uomo debba incarnarla. Così si avvera la santità dell’opera (non della persona che spetta per altre vie, ma nel quadro religioso).
A prescindere dall’esser credente o meno, rimane comunque un atto di fede. Checché se ne dica.
Il rischio sarebbe il materialismo, il marxismo. E don Milani mette in guardia da questa evoluzione dell’intellettualismo politico che si sostituisce alla cultura dell’ultimo.
Anche Aldo Moro di questo pericolo ne avvertiva tutto il peso.
Non a caso è stato assassinato per la sua irrinunciabile ed ossessionata voglia di risollevare il prossimo. Anche dei suoi uccisori.
[Avvocato, Martina Franca, Taranto]