È proprio incredibile che un governo il quale predica la centralità della nazione voglia condurci alla disgregazione dell’Italia. È vero che siamo un Paese dalle mille contraddizioni, in cui spesso chi sbaglia non è punito e chi merita non è premiato (ed in questo è riscontrabile una certa…coerenza); ma a tutto dovrebbe pur esserci un limite. Il progetto di legge di autonomia regionale differenziata (o differenziante?) è un chiaro attentato all’unità d’Italia (poveri Mazzini e Garibaldi!) pur sancita solennemente dall‘art. 5 della Costituzione che solo sulla base di una «Repubblica unica e indivisibile» «riconosce e promuove le autonomie locali».
«La Gazzetta del Mezzogiorno», a partire dai documentati e incisivi editoriali di Lino Patruno, non si stanca di mettere in guardia i suoi lettori dai gravissimi danni che si determinerebbero, soprattutto al Sud, ove questo vergognoso tentativo di sostanziale dissoluzione del nostro Paese fosse portato a compimento. D’altronde non va dimenticato che l’originaria base ideologica dell’autonomia «rafforzata» è quella della secessione padana.
Si tralascia, inoltre, che alla potestà legislativa attribuita dalla Costituzione alle Regioni (oltre che allo Stato) sia l’art. 114 che l’art. 117 pongono comunque i limiti fissati dai principi generali dalla Costituzione stessa. E fra questi l’art. 3 sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, elencando una serie di divieti specifici di discriminazione fra i quali le condizioni personali e sociali. Il secondo comma stabilisce, altresì, la c.d. uguaglianza sostanziale ordinando la rimozione degli «ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Ora, è fuor di dubbio che una nuova organizzazione dello Stato fondato su una palese e progressiva discriminazione di territori e cittadini, nell’ambito di un sistema che dovrebbe essere unitario non solo formalmente, è del tutto irragionevole e stravolge questi principi. Siamo tuttora ancorati a una spesa storica punitiva per il Sud invece di essere basata sui fabbisogni standard.
La sbandierata assicurazione di rivedere i famosi «Livelli essenziali delle prestazioni» (Lep), da sempre ignorati, non inganna più nessuno. D’altronde, le indispensabili e ingenti risorse finanziarie per assicurarne la effettiva realizzazione sono ad oggi del tutto sconosciute e misteriose. La presunta vocazione federalista di questo progetto, fra l’altro, rischia di svuotare il vero centro motore dello sviluppo e della partecipazione democratica che sono città e municipi, così indebolendo il complessivo sistema di bilanciamenti di poteri e competenze già aggravato dall’erroneo svuotamento delle funzioni delle province.
Si tratta quindi di un progetto «antitaliano» e, nel contempo, «antieuropeo». Del resto, sottotraccia c’è sempre l’ideologia che propugnava la rinuncia all’euro ed anche l’uscita 2 dall’Unione, divenute per fortuna oggi improponibili soprattutto dopo il vero e proprio salvataggio dal fallimento che essa ci ha regalato a seguito della crisi pandemica. L’UE ha quale pilastro la coesione economica, sociale e territoriale con l’obiettivo di ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle sua varie regioni. A tal fine vengono destinate ingenti risorse dirette, nel quadro della solidarietà fra Stati membri, a rafforzare l’omogeneità e l’unità dell’Unione; questa rientra tra i suoi principi istitutivi nella misura in cui favorisce lo sviluppo equilibrato del territorio comunitario, la riduzione dei divari strutturali tra le regioni degli Stati membri nonché la promozione di pari opportunità reali tra i cittadini. Il relativo strumento attuativo, come è noto, è dato da molteplici interventi finanziari, soprattutto nell’ambito dei Fondi strutturali e del Fondo di coesione.
In questi anni tale esigenza di carattere inizialmente «economico» ha effettuato un deciso salto di qualità proprio attraverso la piena applicazione del principio di solidarietà (emblematico il sopralluogo sui luoghi dell’alluvione della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen con Giorgia Meloni) su cui costruire fra gli Stati disponibili la futura integrazione di carattere politico, ardua ma indispensabile.
Risulta evidente, quindi, che una riforma legislativa avente la conseguenza di ampliare il divario di sviluppo all’interno dell’Italia si muove in una direzione del tutto opposta ed è foriera di serie preoccupazioni anche in sede europea.
Mi auguro che almeno la destra del meridione, nella quale sono presenti personalità di indubbia qualità e serietà, non consenta che venga inferta sì grave lacerazione al territorio che essi rappresentano e, di conseguenza, all’intero Paese. Sarebbe, fra l’altro, porre una pietra tombale sul futuro dei nostri giovani.