Ogni tanto mi chiedo il motivo per cui “europeista” sia diventata una parolaccia, quasi un tratto di vergogna. Credo che, almeno in Italia, abbia influito l’ascesa dei partiti populisti vicini a Russia Unita – M5S e Lega – che negli ultimi dieci anni hanno imbastito la narrazione dell’Unione Europea nemica degli italiani e di Bruxelles covo di burocrati demoniaci causa di tutti gli affanni delle nostre vite. Effettivamente, se io stesso fossi il leader della Russia, della Cina e persino degli Stati Uniti userei la stessa strategia: distruggere l’Unione Europea dall’interno attraverso infiltrazioni e influenze esterne, renderla irrilevante, o quasi, a livello politico, economico, tecnologico, militare. Certo, l’Unione Europea ha i suoi punti critici, che non si possono imputare esclusivamente ai tentativi di indebolimento della sua gestione perpetrati dagli Stati interni. Le superpotenze mondiali Stati Uniti e Cina, ovvero i due blocchi che segnano il destino del pianeta, ci schiacciano da entrambi i lati e siamo al centro di questi fuochi non solo geograficamente. Siamo difettosi, a volte timidi, non sempre al passo con i tempi. Eppure c’è un fattore che non possiamo sottovalutare: al netto di tutte le problematiche, nascere e vivere in Europa è un privilegio.
Molti aspetti li diamo per scontati. Siamo nati con l’abitudine di una pace tra gli Stati membri e lo percepiamo come un automatismo. Ma la storia europea è caratterizzata proprio da guerre sanguinarie che hanno ridefinito i confini e i tratti genetici dei popoli in questione. Senza per forza tornare indietro di secoli, già solo i nostri nonni ricordano quando i tedeschi bombardavano i francesi, quando Dresda veniva rasa al suolo o le campagne belghe si trasformavano in un mattatoio umano con quegli stessi europei a massacrarsi tra loro. Se questi Stati sono in pace dal termine della seconda guerra mondiale non è per chissà quale congiunzione astrale, ma perché attraverso le comunità europee che sono poi confluite nell’Unione Europea si è scelta la strada dell’unità comunitaria. Sono serviti i trattati di Dunkerque, di Bruxelles, di Parigi, di Roma, di Schengen, di Maastricht e di Lisbona per arrivare a essere ciò che siamo oggi. Dal 1947 sono state politica e diplomazia a portarci a essere certi che domani l’Austria o la Francia non si sveglieranno con la voglia di conquistare il Trentino o la Liguria bombardandole. Sembra un fatto ovvio, nel 2024, ma poi volgiamo lo sguardo altrove e vediamo l’Ucraina in fiamme, Gaza un cimitero a cielo aperto e tanti altri conflitti che noi, per statuto, non abbiamo da più di ottant’anni e non potremo più avere.
Qualcuno potrebbe ribattere dicendo che ci sono tanti altri posti nel mondo dove poter vivere in pace, e che questo sia solo un esercizio di eurocentrismo. Nessuno mette in dubbio che ci si possa trovare bene anche a Chicago, a Kyoto, a Malabo o a Buenos Aires, ma per un’analisi dei continenti e dei singoli Stati non ci si può affidare a un campione soggettivo o alle attrazioni del luogo. Proprio per lo stesso motivo non possiamo definirci fortunati a vivere in Europa solo perché abbiamo città tra le più belle al mondo, una ricca cultura e bellezze da cartolina, ma perché il nostro sistema, seppur con diverse crepe, ci permette di mantenere saldi i principi della democrazia e di conservare gli anticorpi che ci proteggono da derive che possono sfociare nell’autoritarismo o in altri pericoli. Se uno dei nostri Stati membri tenta di raggirare le norme europee, come avvenuto con l’Ungheria di Orbán, interviene la Commissione con una procedura di infrazione e un’azione legale che fermano sul nascere qualsiasi impulso dittatoriale.
Altra possibile reprimenda: questi sono discorsi da europei che non capiscono le altre culture, e i numeri ci dicono inequivocabilmente che la Cina è una potenza economica superiore alla nostra. Bene, ma c’è vita oltre i numeri. La Cina è una realtà basata sulla sorveglianza, sul controllo totale dello Stato sui cittadini. Si tratta di una dittatura in piena regola, e secondo l’art.1 della Costituzione della Repubblica Popolare soltanto il Partito Comunista Cinese può avere la guida politica del Paese, rinnovando la propria classe dirigente attraverso il suo congresso. Possiamo spostarci ancora più a Est, in uno Stato più democratico e che eccelle in tecnologia, innovazione, soft power e potere economico: il Giappone. Il sogno nipponico, soprattutto in seguito alla rivoluzione tecnologica e all’ascesa nella cultura di massa a partire dagli anni Ottanta, sembra all’apparenza intoccabile. Non lo è. Si tratta intanto di un sistema patriarcale, con le donne relegate a un ruolo riconducibile a un loro vecchio detto popolare: “Buona moglie, madre saggia”. Un report del World Economic Forum indica il Giappone come il Paese messo peggio tra gli Stati sviluppati in termini di divario di genere, e tra le nazioni dell’OSCE è sotto solo la Corea del Sud per divario salariale più ampio tra uomini e donne. Inoltre, almeno personalmente faticherei a vivere in un Paese in cui praticamente l’intera esistenza è basata sul lavoro, fino allo sfinimento, dove il fenomeno della pedopornografia viene sottovalutato in maniera preoccupante, come riporta anche l’Unicef, e dove la Yakuza è di fatto una mafia legittimata dalla stessa società.
Se in Africa le condizioni di vita sono precarie soprattutto a causa dell’Occidente che l’ha depredata e lasciata al suo destino, tra colonizzazione selvaggia e sfruttamento delle risorse, nemmeno il Sud America sembra un luogo migliore dell’Europa dove vivere. Natura, architettura e posti incantevoli, ma con governi militarizzati, crisi economiche catastrofiche, dittature, colpi di Stato frequenti e nazioni in mano ai cartelli del narcotraffico. So che il prurito del lettore porta inevitabilmente a una riflessione sugli Stati Uniti, e forse è giusto affrontare l’elefante nella stanza. Non ci sono guerre interne, non c’è una dittatura, è la più grande potenza economica al mondo, la sua influenza raggiunge ogni angolo del pianeta. Sembrerebbero esserci tutti gli elementi per poter essere il posto migliore per vivere, più della vecchia e rattoppata Europa. Ma anche qui, fuori dalle apparenze, la realtà è più problematica di quanto possa sembrare.
Personalmente non sarei tranquillo a vivere nell’unica nazione sviluppata al mondo a non avere un sistema di copertura sanitaria universale. Se fossi un afroamericano dovrei stare attento a ogni posto di blocco per non venire pestato dalla polizia. Mi troverei a disagio per tanti altri aspetti della società americana: le armi vendute al supermercato, le stragi nelle scuole, la pena di morte presente ancora in diversi Stati, l’esasperazione massima del capitalismo come filosofia di vita, la presunzione di basare ogni azione della politica estera su una presunta superiorità morale, fino a “esportare la democrazia” a suon di bombe. Hollywood e la Silicon Valley, ma intanto la California si sta spopolando, New York è in declino e c’è la concreta possibilità che il prossimo presidente sia di nuovo Donald Trump, con nessuna legge federale che gli impedisca di ricoprire quel ruolo anche dal carcere.
Forse preferisco ancora la nostra realtà incerottata rispetto ai sogni degli altri Stati. Ho inoltre la libertà di dire che il mio Paese è governato da fascisti, di criticare la Francia, l’Olanda o qualsiasi altra nazione senza finire in una cella ghiacciata in Siberia. Posso affermare che lo stesso Parlamento Europeo sia ingolfato, quasi un vecchio carrozzone da rifondare per recuperare gli slanci iniziali che hanno dato vita a un’Europa moderna, quella senza dogane, senza cambio di moneta, quella dell’Erasmus. Ed essere orgoglioso come italiano di aver avuto una figura come Altiero Spinelli. Si iscrisse al Partito Comunista l’anno della morte di Matteotti, venne arrestato in quanto avversario politico del regime fascista e passò quasi due decenni tra il carcere e il confino. Proprio a Ventotene, mentre il mondo era alle prese con una guerra distruttiva, scrisse un manifesto sul federalismo europeo anticipando i tempi. Venne espulso dal PCI perché osò criticare Stalin, e fu tra i primi a sinistra a capire l’importanza di un’Europa unita. Quando, nel 1945, diede vita a Parigi alla prima Conferenza federalista europea, accorsero a partecipare personalità come George Orwell e Albert Camus. Passò il resto della sua vita a lavorare in Europa per l’Europa, trasformando le macerie post guerra in un continuo accordo tra popoli. Francia e Germania sullo stesso tavolo, quando sembrava impossibile, deporre le armi, creare una forza economica comune e un pensiero che garantisse la libertà dei singoli Stati all’interno di un progetto ad ampio respiro.
Negli anni alcune scelte politiche scellerate hanno tentato di macchiare la visione di Spinelli e degli altri padri fondatori di quella che oggi consideriamo l’Unione Europea. Abbiamo cicatrici, abbiamo perso il Regno Unito e abbiamo la guerra alle porte. L’estrema destra sta salendo un po’ ovunque e da noi è anche al governo. Eppure, anche il più tenace detrattore dell’Unione Europea non accetterebbe di buon grado il trasferimento in una nazione sotto dittatura e, in generale, non sempre si troverebbe a suo agio in realtà diverse dalla nostra.
Per trasformare di nuovo la parola “europeista” in un vanto e non in un epiteto negativo, forse dovremmo riscoprire l’importanza delle cose che consideriamo scontate, e soprattutto sarebbe importante rafforzarci all’interno invece di affidarci al solito tafazzismo che distrugge e non crea, indebolisce e non rigenera. A partire dalle prossime elezioni europee, dovremmo leggere i programmi delle forze politiche in campo e capire chi è intenzionato a ricostruire l’UE ridandole lustro e chi è complice di quei cerotti che la ricoprono. Soprattutto se lo fanno per conto di terzi. Poi possiamo pure continuare con la nenia di Bruxelles covo del male e di “mezzo Putin meglio di due Mattarella”, ma poi non lamentiamoci se ci continuano a sorpassare, a Est e a Ovest. Il posizionamento è necessario: c’è chi vuole l’Europa di Orbán e chi quella di Spinelli. Nel primo caso, a pagarne le conseguenze saremo tutti noi, e le altre potenze festeggeranno ridendoci dietro, o qualcosa di peggio.
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