“Ho sostenuto che Hegel appartiene alla tradizione liberale e che esprime quello che può essere chiamato un liberalismo della libertà – scrive John Rawls nelle sue Lezioni di storia della filosofia morale –. Sennonché – continua – fino a tempi piuttosto recenti, le dottrine politiche di Hegel sono state pesantemente fraintese”.
Un esempio illuminante di questo fraintendimento ce lo fornisce Karl Popper che nel secondo volume de «La società aperta e i suoi nemici» definisce l’hegelismo come “la rinascita del tribalismo – sottolineando come – l’importanza storica di Hegel può essere vista nel fatto che egli rappresenta l’«anello mancante», per così dire, fra Platone e la forma moderna del totalitarismo. La maggior parte dei totalitari moderni (…) sono consapevoli del loro debito verso Hegel e tutti sono cresciuti nella chiusa atmosfera dell’hegelismo. Ad essi è stato insegnato di venerare lo stato, la storia e la nazione”.
Come si vede questi giudizi sulla filosofia politica di Hegel, esemplificativi di posizioni molto diffuse tra gli interpreti, non potrebbero essere più distanti. Certamente un ruolo importante nella critica liberale della dottrina hegeliana a partire da Popper in avanti lo ha giocato il concetto di Stato che il filosofo tedesco pone al centro, anzi per meglio dire, a compimento della costruzione della sua Sittlichkeit, della vita etica e, quindi, della sua idea di libertà.
“Una comunità in cui il bene si realizza nella vita sociale” – come afferma Charles Taylor (Hegel. Cambridge University Press, 1975) – dove “la soggettività individuale pienamente sviluppata [viene riconciliata con] l’universale”.
Dopo la famiglia, spazio della naturalità e la società civile, luogo degli interessi individuali, dello scambio ma anche della solidarietà corporativa, troviamo lo Stato, il fine ultimo dell’eticità, “l’effettività della libertà concreta”, come si legge nel par. 260 dei Lineamenti di Filosofia del Diritto. È importante premettere che quello che Hegel ha in mente non è uno Stato realmente esistente.
“Non si devono avere dinanzi agli occhi – scrive il filosofo – Stati particolari, non particolari istituzioni, si deve piuttosto considerare per sé l’idea”. Andando più in profondità scopriamo che Hegel ha in mente una forma di Stato molto simile ad una monarchia costituzionale nella quale è possibile individuare tre poteri: la monarchia, appunto, il potere esecutivo e quello legislativo. La monarchia è di natura ereditaria. Questo è necessario, secondo Hegel, per eliminare dalle sue radici qualunque riferimento alla natura contrattualistica che si fonda, come si sa, sulla mutua soddisfazione dei bisogni dei cittadini.
Stato e Governo
In questo Hegel non potrebbe essere più distante dalle posizioni hobbesiane. Lo Stato si forma non per necessità ma come risultato razionale della maturazione etica dei cittadini e di questa eticità esso si nutre. Al sovrano spetta l’ultima parola sulla nomina dell’esecutivo e su tutti gli atti concreti dello Stato, ma tale potere viene esercitato in maniera non arbitraria in quanto dev’essere guidato da comitati consultivi formati da esperti che lo affiancano e ne supportano l’azione.
Il governo, invece, si occupa della “applicazione delle decisioni del principe” e, più in generale di “mantenere in buon ordine ciò che è già deciso, le vigenti leggi, organizzazioni, istituzioni”. Il governo ha una funzione di “sussunzione”, come la definisce Hegel, cioè di far rientrare i casi particolari nelle leggi più generali. Al potere esecutivo fanno capo anche il potere giudiziario e quello di polizia, “i quali più immediatamente hanno relazione con l’elemento particolare della società civile”. Le cariche che fanno riferimento al potere esecutivo sono aperte ad ogni cittadino. Questa apertura rappresenta una novità riformista nel panorama del governo prussiano dove l’accesso alle cariche pubbliche era tradizionalmente riservato alla nobiltà e avveniva per via ereditaria.
Potere legislativo
Il terzo potere è quello legislativo che rappresenta il popolo, quasi tutto; contadini, operai e donne, infatti, com’era in uso, sono esclusi. La questione della rappresentanza è complessa. Infatti, Hegel era avverso alla democrazia diretta e proponeva un sistema piuttosto indiretto, possiamo dire. I cittadini eleggono i loro rappresentanti ma non in quanto cittadini, bensì in quanto appartenenti alle differenti classi sociali: la nobiltà terriera, la classe dell’industria e, infine, quella dei funzionari statali.
L’articolazione dei poteri prevista da Hegel ha una ragione profonda anche se presenta non pochi problemi interpretativi; uno per tutto la rottura con il principio già allora ampiamente accolto della separazione dei poteri. Questo, nell’articolazione dello Stato hegeliano, sembra saltare. Al di là di tali pur importanti questioni interpretative ciò su cui occorre concentrarsi maggiormente è lo scopo fondamentale che il filosofo assegna allo Stato, il suo ruolo precipuo e cioè la creazione di un luogo nel quale trova espressione la “libertà concreta”.
Tale finalità viene enunciata chiaramente all’inizio della sezione dei Lineamenti dedicata al “Il diritto statuale interno”. Scrive Hegel: “Lo Stato è la realtà della libertà concreta; ma la libertà concreta consiste nel fatto che l’individualità personale e i di lei particolari interessi tanto hanno il loro completo sviluppo e il riconoscimento del loro diritto per sé (nel sistema della famiglia e della società civile), quanto che essi, o trapassano per se stessi nell’interesse dell’universale, o con sapere e volontà riconoscono il medesimo e anzi come loro proprio spirito sostanziale e sono attivi per il medesimo come per loro scopo finale”.
Lo Stato, dunque, rende possibile la libertà concreta perché mette i cittadini nelle condizioni di soddisfare i loro bisogni così come emergono naturalmente nell’ambito della famiglia e nel cosiddetto “sistema dei bisogni” della società civile. Ma questi interessi nell’ambito dello Stato, “trapassano nell’interesse universale”, continua Hegel.
Ciò significa che tali interessi perdono la loro pura individualità perché i cittadini comprendono che il loro soddisfacimento non è solo una questione di scambio fondato sul mutuo vantaggio, come nel caso del sistema economico che abbiamo visto operare nella società civile; in questa fase i cittadini realizzano che la loro individuale soddisfazione non può pensarsi disgiunta da una visione condivisa di bene comune, di giustizia e di appartenenza ad un progetto.
Universalità delle istituzioni
Questo spostamento di prospettiva dall’individuale all’universale è ciò che caratterizza il “trapasso” di cui leggiamo del brano citato. Per questa ragione è solo nell’universalità delle istituzioni che compongono lo Stato che la libertà dei singoli può effettivamente diventare concreta.
Da una parte, dunque, per Hegel lo Stato viene prima dei cittadini, nel senso che esso non scaturisce strumentalmente come mezzo per il soddisfacimento dei bisogni dei singoli, ma anzi, questi trovano senso come membri dello Stato. Dall’altra però Hegel è esplicito nel riconoscere i diritti dei singoli – alla libertà, alla sicurezza, il diritto di proprietà, etc. – se tali diritti non venissero tutelati lo Stato non sarebbe giusto. Ma il filosofo si spinge ancora oltre perché nel suo approccio la giustizia non rappresenta solo una garanzia della titolarità dei diritti. Ciò non è sufficiente. Possedere un diritto, infatti, significa poterlo esercitare concretamente e tale esercizio è una faccenda collettiva perché la possibilità di espressione dei diritti individuali dipende dal riconoscimento che a questi diritti viene dato da tutti gli altri cittadini. Perché le loro azioni possono favorire o ostacolare tale espressione concreta.
C’è giustizia quando viene garantito il fatto che il diritto di una persona non possa essere espresso più facilmente di quello di un’altra.
“Il principio degli stati moderni – prosegue Hegel concludendo il paragrafo – ha questa enorme forza e profondità, di lasciare il principio della soggettività compiersi fino all’estremo autonomo della particolarità personale, e in pari tempo di ricondurre esso nell’unità sostanziale e così di mantener questa in esso medesimo” (in corsivo è nel testo originale).
Si diventa pienamente cittadini, si sostiene, solo quando, nell’adesione alla vita etica, la Sittlichkeit, la nostra individualità fatta della naturalità dei sentimenti e delle emozioni familiari e dei bisogni che emergono nella società civile, viene portata alla sua massima autonomia e, contemporaneamente, ricondotta all’unità di una vita sociale che diventa, in questo modo, occasione e, al tempo stesso, precondizione della manifestazione della libertà individuale.
Interpretando questo ultimo passaggio Rawls nelle sue «Lezioni di Storia della Filosofia Morale», suggerisce che “questo interesse universale non raggiunge né la sua validità né il suo compimento senza l’interesse, la conoscenza e l’accettazione dei singoli individui della società civile (…). In quanto cittadini, infatti, essi si interessano al tempo stesso al fine universale – in quanto guidato da una concezione del bene comune della giustizia”. Ciò significa che il riconoscimento da parte dei singoli dell’interesse universale come “spazio” del soddisfacimento degli interessi individuali rappresenta il compimento del progetto di “conciliazione” cui tutta la filosofia hegeliana è volta.
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