Lo Spirito in forma corporea, di Rocco D’Ambrosio

Il Vangelo odierno: In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento»
(Lc 3, 15-22 – Battesimo del Signore C).

Ogni racconto evangelico ha particolari che altri non hanno. E sui particolari ricordiamo bene quanto Flaubert scriveva: “Il buon Dio è nei dettagli”. Un particolare in questo brano è la “forma corporea” dello Spirito che scende. Del resto tutta la scena ha particolari molto “corporei”, cioè tangibili e visibili: acqua, fuoco, cielo, colomba, voce. 

Il Battesimo di Gesù è una delle tre manifestazioni, insieme all’Epifania e alle nozze di Cana. Solo  una persona che ha perso il contatto con la realtà può immaginare una manifestazione che non sia tangibile e visibile. Su questo il discorso sarebbe un po’ lungo e la domanda di fondo si porrebbe così: quanto la nostra fede è diventata “idealista”, staccata dalla realtà? L’Incarnazione di Gesù, e le sue successive manifestazioni, sono tutt’altro che ideali, quasi opposte a un “reale”, di cui parlano alcuni filosofi. 

Allora la contemplazione del Battesimo di Gesù, la riscoperta del nostro Battesimo devono passare attraverso un’esperienza corporea, tangibile e visibile. Che significa tutto questo? L’ha scritto l’apostolo Giovanni: “Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò…” (1Gv 1). Non riesco a capire chi potrebbe vivere un’esperienza di fede – come anche umana – senza sperimentare quanto la fisicità, l’emotività, la comunicazione sensitiva siano elementi costitutivi dell’essere umano. E così è anche per la fede. Questa convinzione di fede va ribadita ancor più oggi quando, come afferma William Davies “il corpo è diventato una delle principali aree di scontro degli esperti e delle loro prospettive morali, emotive e politiche”.

Il Battesimo di Gesù è una manifestazione sensibile, essenziale, precisa, straordinaria. Forse tutto potrebbe essere sintetizzato in quel verbo, da noi tanto abusato e offeso: l’amare. Il Padre chiama il Figlio “l’amato”. Definire l’altro “l’amato” è una sorta di attività abituale in una forte relazione affettiva. Stabilisce una specie di circolarità del piacere: per comprenderlo meglio si pensi all’amicizia o all’esperienza di coppia o di genitori. L’altra persona – amico/a, sposo/sposa, figlio/a, madre/padre,  – è posta in un circolo di affetto e piacere dove si dà e riceve, senza più confini tra l’uno e l’altro gesto. E dove anche pubblico e privato assumono confini labili e ridefiniti o rinegoziati spesso.

Il buon Dio esprime il suo amore e la sua compiacenza nel battesimo del suo Figlio. La riflessione si sposta naturalmente sul nostro battesimo. La domanda diventa allora: sento il mio essere figlio di Dio come un continuo atto del buon Dio che mi ama? Certamente non aiutano sensi di colpa, scrupoli, falsa umiltà e concezioni pessimistiche di se stessi. In questo periodo di (post) pandemia in cui siamo anche impegnati a ricostruire e rinnovare le relazioni dobbiamo aver chiara la finalità dei tanti nostri legami. E’ il tempo in cui dobbiamo scoprire o riscoprire la misericordia di Dio, la sua tenerezza, la sua forza nel rinnovarci. Come ha scritto Lutero: “Dio non ci ama perché siamo buoni e belli, Dio ci rende buoni e belli perché ci ama”. E ci definisce “amati”. E ci sostiene con il suo amore e con la bellezza e forza che ispira nella nostra vita e nelle nostre relazioni.

Rocco D’Ambrosio

[presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]

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