Il Vangelo odierno: In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2, 1-14 – Natale).
Nel 1954 Romano Guardini si chiedeva, in uno stupendo libretto (appena riedito: Natale e Capodanno. Pensieri per fare chiarezza, Morcelliana 2023): “Che cosa significa dunque Natale?”. Settant’anni dopo la domanda ha ancora più pregnanza perché a celebrare il Natale sono un po’ tutti dando ad esso il significato che vogliono. Già allora Guardini ne dava una precisa lista: “una festa dei doni scambiati, festa della famiglia o dei bambini, festa della luce rinata, festa del Salvatore che si fa carne, festa della pace”. Certo che festa è e ognuno è libero e va rispettato per il significato che da al Natale. E quindi, al di là del significato, bisogna solo augurarsi che sia una festa che faccia bene a chi la celebra e magari porti bene a chi è intorno, specie a chi non ha tanti mezzi per celebrarla; perché non ha doni, un pranzo migliore o un momento di relax condiviso.
Il Natale, direbbero i cristiani, è però nella pagina di Luca (2, 1-14 e paralleli): il Figlio di Dio si fa carne nel grembo della Vergine Maria, in un preciso momento storico, Maria e Giuseppe hanno cura di lui tra tante difficoltà, cielo e terra partecipano a questo evento, Egli è colui che si è fatto carne per ricondurci al Padre con la sua vita, morte e resurrezione, ma non tutti sono coinvolti da questo evento. O come, direbbe Giovanni, “Il Verbo di Dio venne tra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto” (1, 11).
Quindi abbiamo un Natale cristiano, che chi crede continua e celebrare, e un Natale scristianizzato che (forse) si basa sul detto crociano “non possiamo non dirci cristiani”. Certamente non è tempo di crociate, cioè di cristianizzazioni forzate; né di insensate proposte di presepi obbligatori in un Paese che è e resta laico, rispettando religioni, culture e tradizioni di tutti e cercando modi perché queste vivono la “convivialità delle differenze” (Tonino Bello).
I due Natali sono due rette parallele? Si incontrano solo nell’infinito? Guardini sembra dare una risposta che può aiutarci a farli incontrare, non a confonderli, ma ad avviare un proficuo dialogo. Il tema, ovvero il nodo fondamentale è quello dell’Incarnazione. Il Natale cristiano è Gesù che si incarna: il Figlio di Dio si fa carne e diventa uno come noi. E nel Natale laico chi o cosa si incarna? Un valore, un principio etico, un augurio, un desiderio, una speranza? Non saprei rispondere bene, anche se ho ascoltato diverse e profonde riflessioni su questa “incarnazione laica”.
L’incarnazione cristiana si scopre attraverso “segni”. Gli angeli dicono ai pastori: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. Mi chiedo quali i segni laici dell’incarnazione di “ciò che crede colui che non crede”, direbbe Carlo Maria Martini?
Di alcune cose sono certo e credo che valgano per tutti, cristiani e non. I “segni” non sono il nostro IO, sono in noi e attorno a noi, ma non si identificano con la nostra persona. I “segni” sono in ogni angolo di mondo e in ogni frangente di tempo, in ogni cultura e in ogni religione. I “segni” sono pienezza di umanità e mai la sua distruzione; sono dono e non avarizia; sono cura degli altri e non rifiuto di essi; sono responsabilità e non assoggettamento a denaro e poteri perversi. I “segni” sono una fatica e una gioia. Ma vale sempre la pena spendersi per essi. Buon Natale!
Rocco D’Ambrosio [presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]