L’illusione di Trump: a pagare dazio saranno gli americani, di Leonardo Becchetti

La decisione del presidente Usa Donald Trump di scatenare una guerra commerciale con quasi tutti i Paesi del mondo mette a dura prova la globalizzazione. Abbiamo vissuto un’epoca nella quale si è prodotto, senza badare a questioni politiche, nei Paesi dove era più conveniente farlo. La crescita dei commerci e del Pil globale è stata straordinaria. L’accordo implicito con la Cina – e con altre nazioni asiatiche – l’ha resa la “fabbrica del mondo”, assicurando a noi un lungo periodo di assenza d’inflazione, a Pechino il più grande successo di lotta alla povertà mai registrato nella storia.

Dall’era della cooperazione siamo improvvisamente balzati in quella del conflitto (esplicitamente bellico o solo commerciale), e le decisioni di Trump sembrano ulteriormente spingere in questa direzione.
Ci siamo consolati in questi mesi dicendo che se il presidente degli Stati Uniti fosse stato economicamente ben consigliato e avesse avuto a cuore il bene degli americani avrebbe usato i dazi solo come minaccia per ottenere qualche risultato, salvo poi desistere dal proposito. Ma a questo punto è lecito dubitare di entrambe le ipotesi: Trump è evidentemente mal consigliato, e non è neanche detto che abbia a cuore l’interesse degli americani.
Nel mondo dei social media, l’obiettivo del leader degli Stati Uniti (che al secondo mandato, salvo ulteriori sorprese, non deve neanche preoccuparsi della rielezione) potrebbe non essere di natura economica, ma quello di essere permanentemente al centro dell’attenzione. E non necessariamente per il fatto di essere un benefattore degli americani.
I costi principali di una guerra dei dazi così congegnata ricadranno infatti – e in misura superiore – proprio sugli Stati Uniti. Anche per il fatto che, mentre loro hanno dichiarato guerra commerciale a tutto il mondo, noi europei siamo stati trascinati nel conflitto da un solo belligerante e cercheremo quindi di rafforzare rapporti commerciali con tutti gli altri partner. I dazi alzeranno negli Usa i prezzi di tutti i beni importanti, creando inflazione. La Fed dovrà probabilmente intervenire, tenendo i tassi d’interesse elevati e favorendo l’apprezzamento del dollaro che ridurrà l’effetto competitivo dei dazi stessi.
Quello che dobbiamo temere in Europa e in Italia è il calo di qualche decimale di Pil. Non dimentichiamo però di essere un Paese straordinariamente forte nella manifattura e nell’export. L’intelligenza relazionale delle nostre imprese (i marchi di origine e consorzi nel settore agroalimentare ne sono un esempio) ha creato nel tempo solidi vantaggi competitivi, vantaggi che ci consentiranno di navigare anche in queste acque tempestose. Le nostre imprese ridurranno i propri margini per continuare a essere competitive nei prezzi sperando che la tempesta passi. I costi della guerra dei dazi si sono già materializzati con il calo vistoso dei mercati azionari, un duro colpo per i risparmiatori degli Stati Uniti, molto più “equity people (esposti sui mercati azionari) che Bot people come noi. E la prima vittima di questa politica dissennata è proprio Tesla, l’azienda automobilistica di Musk, primo consulente del presidente. Nella sua tracotanza Musk ha violato un principio fondamentale per il business nei prodotti di largo consumo: non schierarsi esplicitamente con una parte politica per evitare di alienarsi le simpatie di tutti gli altri e il loro “voto avverso” col portafoglio. È esattamente quello che sta accadendo e che potrebbe minare in modo decisivo la gara competitiva di Tesla verso concorrenti come la Byd cinese, tanto che si vocifera di un prossimo ritiro di Musk dal fronte politico. Sarebbe una vittoria del “voto col portafoglio”, venuto alla ribalta in questi ultimi tempi a partire dalle scelte dei canadesi e delle loro app che suggeriscono ai cittadini di penalizzare i prodotti Usa.
La più grande e importante partita in gioco in questo frangente storico sono i rapporti di forza tra la sovranità popolare e i leader. La piena democrazia vorrebbe che la sovranità fosse nelle mani del popolo, in grado di evitare – momento per momento, non solo con le scelte alle urne – abusi di potere o pericolose avventure. Stiamo imparando che per raggiungere questo obiettivo abbiamo bisogno di molto di più del voto politico. Dobbiamo votare tutti i giorni con le nostre scelte di consumo e risparmio, co-progettare nell’amministrazione condivisa le politiche di welfare con le amministrazioni locali, diventare produttori di energia in un nuovo equilibrio molto più diffuso e decentrato. Se ci riusciremo anche questa tempesta ci aiuterà a costruire un mondo dove la forza tranquilla della stragrande maggioranza dei cittadini saprà garantire le condizioni necessarie per evitare in futuro conflitti e guerre. È una grandissima partita e dobbiamo giocarla tutti insieme.

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