La scelta di rinnovare il mandato a Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea ha solo in parte calmierato i risultati delle elezioni. Ottenuta con la stessa larga maggioranza del primo mandato – Popolari, Socialisti e Liberali, cui si sono aggiunti i Verdi – non deve però farci dimenticare quanto successo. L’Europa ha virato pesantemente a destra. Non solo perché le forze euroscettiche e della destra radicale, alcune con chiari riferimenti al neofascismo e al neonazismo, sono cresciute in maniera importante. Un trend in costante aumento: basti pensare che a inizio secolo rappresentavano poco più del 7% dell’Europarlamento e oggi ne occupano il 26%. Più di un quarto. Ma anche perché la stessa “maggioranza Ursula” è tutto fuorché progressista.
I problemi però non finiscono qui. Perché, oltre a un Parlamento spostato verso l’estrema destra, ci toccherà fare i conti con le lobby. Ovvero la pressione sui politici dei gruppi di interesse economici e finanziari. Una ricerca di Agir pour l’Environnement ha infatti scoperto che le grandi multinazionali della tecnologia e dei combustibili fossili investono una quantità abnorme di denaro sui gruppi di pressione che promuovono e difendono i loro interessi. Ha infatti calcolato che in soli dodici mesi, nel 2023, sia stato speso più di 1 miliardo di euro nelle attività di lobbying. Impiegando per queste l’equivalente di 7.621 dipendenti a tempo pieno. Con una media allucinante di 10,8 lobbisti per deputato. È evidente che c’è qualcosa che non va.
I gruppi di pressione investono per ogni deputato quattro volte il suo stipendio
Il report di Agir pour l’Environnement si concentra ovviamente sui grandi lobbisti e, analizzando il Registro per la trasparenza, scopre che i primi cento enti interessati a fare pressioni politiche attraverso i loro intermediari hanno speso tra i 265 e i 297 milioni di euro lo scorso anno. In pratica è come se, da soli, avessero speso una media di 398.936 euro per eurodeputato ogni anno. Quasi quattro volte il suo stipendio lordo. È evidente la disparità di potere economico messo in campo, e la facilità con cui queste multinazionali riescano a ottenere i voti a loro più favorevoli. Al di là del fatto che si tratti di corruzione o di attività giuridicamente regolamentata.
A fare la parte del leone nell’attività di lobbying, con dieci milioni di euro erogati in un solo anno, è il Consiglio europeo delle industrie chimiche (Cefic) di cui fanno parte circa trentamila grandi, medie e piccole società europee del settore. E risulta quindi evidente quali sia il loro orientamento nei confronti della transizione ecologica e del rispetto delle norme climatiche e ambientali. Mentre a seguire ci sono le Big Tech come Meta, Apple, Microsoft e Google. E qui risulta altrettanto evidente quali siano i loro interessi in campo, per quel che concerne la legislazione europea sulla privacy nel limitare l’estrazione e l’utilizzo dei big data così necessari alle piattaforme tecnologiche.
Dominano le lobby della tecnologia, della chimica e dei combustibili fossili
Manca Amazon ma solo perché, dallo scorso febbraio, l’Unione europea le ha impedito di fare lobbying a Strasburgo e a Bruxelles dopo che la piattaforma si era rifiutata di rendere pubbliche le condizioni dei suoi lavoratori. Solo Monsanto aveva subito questa sorte nel 2017, quando si rifiutò di testimoniare sul glifosato. Ma, per tutte le altre, è via libera. I lobbisti, con tanto di cartellino su cui è segnato il nome della società per cui lavorano, possono entrare tranquillamente nel cuore della democrazia europea per influenzarne la direzione in accordo con i desideri delle multinazionali che li pagano.
In assoluto sono quindi le piattaforme quelle che investono di più nei gruppi di pressione al Parlamento europeo, con una spesa quantificabile tra i 42 e 47 milioni di euro e oltre un centinaio di dipendenti a testa. A seguire la chimica appunto, per un totale di 30 milioni circa spesi, compresi i 10 milioni investiti dal leader Cefic. Al terzo posto invece troviamo il settore energetico, con le grandi multinazionali delle fonti fossili come Shell, ExxonMobil, TotalEnergies ed Equinor. Insomma, a muoversi nei corridoi di Strasburgo e Bruxelles ci sono le grandi multinazionali e i grandi fondi che controllano il Pianeta, inquinandolo e devastandolo. Abbiamo un problema con l’estrema destra, certo. Ma forse ne abbiamo uno ancora maggiore con le lobby.
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