C’è un partito dal destino beffardo: re di tutte le prime pagine fino al momento dello spoglio, sparisce subito dopo. È il partito dell’astensione. È sempre stato normale e anche giusto che fosse così. Ma l’astensionismo questa volta non può essere lasciato sfilare nel dimenticatoio, perché ha conquistato la maggioranza assoluta. E soprattutto dilaga al Sud, dove la gente sa che la “questione meridionale”, posta da Gaetano Salvemini e tanti altri alla base del nostro ragionare politico – tanto che c’era il ministero del Mezzogiorno – è stata per tutti sostituita dalla questione settentrionale. E allora anche il neo-clientelismo, archiviato il Reddito di cittadinanza, non giustifica il voto per un’elezione non amministrativa. Restano in pista “i cacicchi del Pd”, che premiano chi li critica, Schlein.
Ma nel passaggio dalla questione meridionale alla questione settentrionale, entrambe legittime e importanti, spicca un dato culturale che va detto: se in famiglia c’è un parente ricco che ci mantiene ma vuole (e deve) crescere ancor di più e c’è un malato quasi terminale, qual è la questione familiare?
La scomparsa della seconda risposta dall’orizzonte di tutti i partiti disvela un aspetto fondamentale della nostra società: è scomparsa la solidarietà. L’individualismo assoluto (favorito da destra e “sinistra”) che ci ha sedotto da quando è emersa la società dei consumi, si è unito negli ultimi decenni alla privatizzazione dei partiti, divenuti – a mio avviso – cerchie chiuse, ristrette. Così la non partecipazione si misura solo nelle ore del voto, quando il silenzio elettorale impone di non parlare di politica e si può parlare dell’affluenza alle urne, ma poi la partecipazione torna in soffitta già poche ore dopo. Ma se votare è partecipazione, si partecipa quando si fanno le liste? Si partecipa quando si fanno le giunte? Si partecipa quando si elaborano le politiche economiche? Si partecipa quando si valuta se fare un ponte o un ospedale? La politica è un mix di cerchie ristrette, rinchiuse su se stesse. Come pensare alla solidarietà in un contesto del genere? Non può esserci solidarietà nello smartphone. Lì c’è l’apparire, come nella politica.
Un dato però emerge di chiarissima forza in assoluta controtendenza: le parrocchie. Vecchie, arrugginite, alle volte autoreferenti, le parrocchie sono l’unica alternativa, alle volte eroica, alla deriva smartphonista della nostra cultura socio-politica. È un fatto oggettivo, da cui la politica non può prescindere per scoprire la sua malattia; la sindrome post-democratica. Quando si propose, e ottenne, l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti si spalancò questa strada: dovevano diventare privati anche i partiti. Le conseguenze non sono state poche.
Comunicare con noi tramite social può portare qualche consenso tra chi ancora si attarda a votare, ma non riduce il solco di vita, di linguaggio, di priorità culturali, che separa gli odierni partiti dal Paese reale. C’è stata una volta la società liquida, oggi c’è la società polverizzata. È diverso. La società polverizzata sa di essere fatta da mille granelli che fanno una nube, la polvere, ma nella quale ogni granello vive per sé e con sé.
La Chiesa cattolica detiene l’unica alternativa. Lì, permanendo la partecipazione in un contesto che conosce la solidarietà (almeno lo presumo), vive oggi un esempio per ripartire offerto alla politica. La tragedia sarebbe se decidesse di farlo con un nuovo partito cattolico, di cui nessuno, neanche i cattolici, mi sembra che avvertano il bisogno. Consapevole ormai dell’impossibilità di uniformare a sé la società italiana, la Chiesa italiana potrebbe però favorire un rinnovato impegno dei cattolici in politica, per incontrasi e unirsi con i non-cattolici a loro più affini, e ridando partecipazione al Paese, infondere a tutti i partiti in cui fossero attivi un tasso variabile di visione e cultura solidale.
Se alle prossime amministrative ci sarà una possibile risalita della partecipazione, soprattutto al sud, ciò dipenderebbe dal maggiore interesse di poteri oscuri per quelle competizioni più che dal maggior interesse dell’elettore, che ovviamente c’è, per il proprio comune rispetto alla lontana e burocratica Europa.
L’Italia dove rimangono solo le parrocchie per potersi incontrare e parlare di scuola, o di sanità, la domanda se la nostra democrazia non rischi così di diventare post-democratica credo debba porsela. Ma oggi vedo solo la Chiesa come possibile fattore d’inversione (o contenimento) della tendenza di sequestro della politica, e di rilancio della solidarietà. Forse è questa la dimensione straordinaria del prossimo sinodo, ma questa è un’altra storia.
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