La nuova frontiera della solidarietà ha assunto la forma del “lascito”. Il “dopo di noi” è adesso la nuova frontiera di un impegno solidaristico che viene sollecitato a rinnovarsi anche dopo la morte. Si sono ormai moltiplicati gli appelli di associazioni onlus che si dedicano alla sofferenza umana attraverso lo studio e la ricerca scientifica ovvero attraverso un concreto e diretto impegno di cura e assistenza.
Sappiamo bene che il sostegno economico esprime una modalità significativa della generosità del popolo italiano, di una larga parte del popolo italiano. Non si tratta di un coinvolgimento a distanza, della partecipazione al dolore e alla sofferenza degli altri che impegna il cuore solo in maniera superficiale, distaccata. Papa Francesco insegna che la vera carità si fa quando, mentre si dona qualche spicciolo, si tocca la mano del povero, del barbone, anche quando dovesse essere, così come spesso accade, sporca, sudicia, maleodorante.
Non si tratta, dunque, di un atteggiamento di distacco che serve a mettere in pace il cuore, a tacitare la coscienza. Spesso questo tipo di solidarietà è frutto di coinvolgimento pieno ed è conseguenza di sacrifici, di rinunce. A sostenere il servizio di chi si impegna nella ricerca scientifica e nel servizio di cura è la persona abbiente ed anche la persona che è priva di risorse importanti. Nel tesoro di queste associazioni versano il loro contributo sia il ricco che la donna di evangelica memoria, capace solo di un contributo di due spiccioli, corrispondenti al tutto a sua disposizione.
Dunque, è veramente interessante oltre che edificante immergersi nelle pieghe di un vissuto che è intriso della bellezza della solidarietà, esperienza che dice di uno stile di vita che esprime una indicibile forza di trasformazione dei rapporti umani e civici, facendoli divenire fraterni. Eppure il continuo appello, soprattutto televisivo, al lascito quale segno di una solidarietà che travalica la soglia della morte e dona, così spesso ripetono gli slogan promozionali, una sorta di immortalità, sembra portare in sé un problema veramente significativo.
In genere il lascito rimanda all’idea di eredità che un avo lascia ai suoi discendenti. E questa consolidata modalità di trasmissione di beni materiali ed anche immateriali è stata giuridicamente normata. La famiglia è stata l’istituzione all’interno della quale la norma ha principalmente radicato il senso del lascito. Certo non sono rari gli esempi di testamenti che “lasciano” ingenti fortune a istituzioni come la Chiesa ovvero ad enti benefici che si occupano di cura della persona.
Tuttavia, parlando di lasciti, quello che oggi sembra colpire è il riferimento ad un non detto che appare essere realtà che non può non fare pensare. Il lascito sembra andare a braccetto con la solitudine di molti. Non ci sono figli ai quali lasciare beni; mancano eredi indiretti ai quali fare dono di quel poco o quel molto che si è messo da parte lavorando per lunghi anni o perché frutto di una eredità ricevuta. Si sono rotti i legami? Forse. Mancano i legami familiari? Probabilmente. E allora il lascito diventa non soltanto una modalità di esercizio di solidarietà, ma anche una possibilità di vivere oltre la morte, nella speranza che il nome del donatario sia ricordato come vengono ricordati i nomi dei benefattori.
Lasciti e solitudine sono forse due facce di una stessa moneta oggi in circolazione nel nostro tempo, quella di famiglie formate da una sola persona. Così le relazioni da costruire, da tessere, da tenere vive passano attraverso un solidarismo che è certamente slancio del cuore, stile di vita, ma anche esigenza psicologica. Cosa lasciare di sé dopo la morte? A chi lasciare un segno del proprio passaggio su questa terra? Se mancano i figli e i nipoti a chi consegnare se non un retaggio almeno una eredità? Ecco, la campagna del “lascito” che, sotto forma di spot pubblicitari, attraversa tutti i canali televisivi, racconta della solitudine di molti, condizione sociale diffusa più di quanto si potrebbe immaginare.
Si è soliti dire che la carità fa bene non soltanto a chi la riceva, ma anche a chi la fa. Potemmo allora dire che la solidarietà diviene culla accogliente per solitudini che nel gesto del lascito non lasciano spazio al ripiegamento su se stessi e scorgono nel bene, che si immagina generato da quella scelta, una concreta possibilità di legame ereditario con figli e figlie che non hanno un volto conosciuto, ma certamente hanno un cuore che è tanto amato.
*Docente, v. presidente AC Giardini Naxos