La tregua olimpica, di Giampaolo Mattei

Giochi di guerrra. A Parigi si apre un’edizione olimpica che deve per forza fare i conti con conflitti, tensioni e ingiustizie — anche a riflettori spenti — su scala mondiale: la proposta della tregua olimpica — sostenuta più volte da Papa Francesco, fin dallo scorso 13 gennaio con la “sua” Athletica Vaticana — e la partecipazione in gara del Team dei rifugiati sono proprio due proposte di pace che il mondo sportivo rilancia in un tempo buio per l’umanità.
Le Olimpiadi — e dal 28 agosto le Paralimpiadi — sono anzitutto storie di donne e di uomini che oggi non riescono a fermare «la terza guerra mondiale a pezzi» ma suggeriscono la possibilità di un’umanità più fraterna. Attraverso il linguaggio del dialogo sportivo, popolare e a tutti comprensibile.
In particolare da Monaco 1972, con la sanguinosa incursione terroristica, la priorità per i Giochi è la sicurezza. Poi la serie di boicottaggi, e anche la pandemia, hanno reso sempre più fragile l’esperienza olimpica. Eppure, rifacendosi all’antica Grecia, lo sport ha in sé una proposta di pace. Thomas Bach, presidente del Comitato olimpico internazionale, non ricorre a giri di parole: «L’idea di promuovere la speranza di pace attraverso lo sport risale agli antichi Giochi in Grecia, alla Ekecheiria, ed è stata ripresa proprio qui a Parigi da Pierre de Coubertin quando ha rilanciato le moderne Olimpiadi».
Per Bach, le Olimpiadi sono «un pellegrinaggio nel passato e un atto di fede nel futuro». Concorda in tutto e per tutto con la proposta della tregua olimpica e ringrazia il Papa per il sostegno al mondo dello sport che vuole la pace. «Oggi i Giochi sono l’unico evento che riunisce il mondo intero in una competizione pacifica», non c’è nessun’altra espressione sociale o culturale così strettamente legata alla pace come è appunto lo sport, nella sua più alta espressione. A Parigi, davanti al cosiddetto “muro della pace” — gli atleti possono mettere la loro firma sotto l’auspicio di una tregua nel periodo olimpico e paralimpico — il presidente del Cio fa presente il vero messaggio sportivo: «Si può competere, persino ferocemente dal punto di vista agonistico, gli uni con gli altri ma, con lo stesso spirito, si può convivere pacificamente gli uni con gli altri» costruendo relazioni di amicizia e di rispetto, pur proveniendo da storie e strade diverse e avendo culture e religioni differenti.
Tra guerre e tensioni, che generano paure, lo sport può essere una speranza: «L’umanità oggi desidera vivere qualcosa che unisca, qualcosa che ci dia speranza» rilancia Bach. «Lo sport, perché è di tutti e alla portata di tutti, può essere questo punto di unità. Le persone sono stanche di vivere tempi difficili, le guerre sono in aumento, ci sono ogni giorno esperienze di aggressività e notizie negative». Le Olimpiadi possono essere un’opportunità di speranza per costruire, insieme, la pace. Già, insieme: questa parola è stata aggiunta — a Tokyo nel 2021 — al celebre motto olimpico coniato per de Coubertin dal domenicano francese Henri Didon (“Più veloce, più in alto, più forte”). “Communiter – together – ensemble” ripete Bach. Come a dire “o tutti insieme o non funzionerà!”.

osservatoreromano.va/it/news/2024-07/quo-169/la-tregua-olimpica.html

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