C’è un masso tra noi e il Cristo. Quello del giorno della Resurrezione lo conosciamo: la pietra che fungeva da porta per la tomba di Gesù era di dimensioni enormi, difficili da spostare. Non a caso Marco ci parla dei discepoli che si chiedevano su chi mai la potesse far rotolare per aprire il sepolcro. Per Matteo c’è un terremoto e un angelo che provvede a rimuovere l’ostacolo. E per noi? Sembra che una pietra enorme resti li: non abbiamo forza personale, né aiuto di altri, né eventi straordinari che ci aprano il sepolcro. Si perché la domenica di Pasqua non è una festa sdolcinata e romanticizzata (come molto del Natale) da darci l’illusione di aver celebrato qualcosa di “religioso”. No questa festa non ammette aree ambigue, “terre di mezzo”, non tollera il non decidersi e il restare nel limbo. Questa festa inizia con il rotolare il masso per scoprire cosa il Risorto vuol dirmi e dove vuole inviarmi.
Sarebbe facile – e anche un po’ banale – iniziare a pensare ai “massi” davanti al sepolcro come al solito elenco di peccati e infedeltà della mia vita. Essi certamente contribuiscono, ma non sono tutto, anzi rischiano di farci rifugiare ancora più in un intimismo di fede poco fecondo. Allo stesso modo pensare che i massi siano solo i grandi drammi globali (guerre, terrorismo, malattie, tratta di persone, specie minori e donne, criminalità, corruzione e via discorrendo), paradossalmente ci fa cascare nello stesso atteggiamento intimistico: che ci posso fare io? Il mondo non lo si può cambiare… al massimo posso pregare un po’ e peccare di meno.
Quindi la pietra del sepolcro va rotolata e, prima di essa, tutte le altre che sono sulla strada. Ha scritto Tonino Bello:
«Vorrei che potessimo liberarci dai macigni che ci opprimono, ogni giorno:
Pasqua è la festa dei macigni rotolati. E’ la festa del terremoto.
La mattina di Pasqua le donne, giunte nell’orto, videro il macigno rimosso dal sepolcro.
Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme messa all’imboccatura dell’anima che non lascia filtrare l’ossigeno, che opprime in una morsa di gelo; che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l’altro.
E’ il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell’odio, della disperazione del peccato…”.
Quello che più fa pensare e preoccupare in questo tempo è una sorta di assuefazione a tanti situazioni che si ripetono come sassi che cadono in acque stagnanti: i profughi che muoiono in mare, le vittime della guerra, la politica del far carriera e consenso a costo di tutto, il razzismo e l’omofobia crescenti, il malaffare imperante. E non si dica che queste cose ci sono sempre state. Sì, ci sono sempre state ma quale contrasto si opera contro di esse? L’assuefazione, l’inerzia, il rifugio nel privato, il “tengo famiglia” sono tutte vie per peggiorare la situazione. L’Italia non rischia di diventare fascista – grazie ai Costituenti che hanno blindato bene la Costituzione. Tuttavia rischia fortemente di chiudersi in una cultura gretta e razzista, sprezzante della democrazia e delle sue regole, succube di personalità idolatre del proprio IO, insofferente verso tutte le forme di solidarietà. Tutti questi sono macigni, che più si ignorano e più crescono.
“Siamo tombe alienate – continua Tonino Bello. Ognuno con il suo sigillo di morte. Pasqua allora, sia per tutti il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l’inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi e se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adopererà per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterà finalmente il miracolo che contrassegnò la resurrezione di Cristo».
- Il Vangelo qui commentato è Mt 28,1-10
- Rocco D’Ambrosio, presbitero, docente PUG Roma, pres. Cercasi un fine, Cassano, Bari