Da ragazzina lessi un libro di fantascienza della collana Urania, si intitolava La morte dell’erba, di John Christopher. Era un libro destinato a fissarsi nella mia memoria molto meglio di certi affascinanti romanzi di Asimov. Quel libro fu pubblicato nel 1956, l’anno della mia nascita. Qualcuno allora già immaginava un mondo, il nostro, colpito da un virus che attaccava le graminacee, non gli esseri umani, ma, facendo scomparire tutti i cereali, determinava conseguenze apocalittiche. L’erba è indispensabile alla sopravvivenza umana.
Il glifosato è stato scoperto nel 1950 e “riscoperto” dalla Monsanto nel 1970. Da allora quanti prati colorati di arancio brillante abbiamo visto intorno al mese di marzo? Tantissimi vero? Abbiamo attraversato senza accorgercene 40 anni della nostra vita prima di renderci conto che il glifosato ci facesse male (per carità ancora oggi l’azienda produttrice, che ora si è fusa con la Bayer, sostiene che il glifosato è innocuo per l’uomo). Non c’è niente di più bello che essere rassicurati, specie quando la frittata è fatta, infatti di quella sostanza ne mangiamo da anni alcune piccole quantità nella pasta e nel riso, e nella polenta probabilmente, giusto per fare alcuni esempi di coltivazioni che ancora oggi si avvantaggiano della lotta chimica alle erbe “infestanti”. E ne respiriamo da altrettanti anni quando il nostro vicino diserba oppure quando il trattamento diserbante lo facciamo proprio noi.
Non desidero parlarvi di qualche procedimento legale, anche vinto, contro la Monsanto per conseguenze gravi dell’uso di fitofarmaci sulla salute di alcuni agricoltori. Bensì voglio accennarvi ai decreti del Governo Italiano del 9 agosto 2016, del 6 settembre 2016 e del 20 novembre 2021, ma molto in breve, perché comunque essi sono a disposizione dei lettori digitando sul motore di ricerca le parole “glifosato” o “fitofarmaci” insieme con le date suddette.
In sintesi telegrafica, i due decreti del 2016 vietavano, il primo l’uso del glifosato in terreni non destinati ad uso agricolo, come parchi, giardini, campi sportivi; il secondo ne vietava la commercializzazione, in particolare per uso non professionale. Con il decreto del 2021 si fa un bel passo indietro, e si specifica, nell’introduzione, che lo si fa proprio perché le categorie interessate alla produzione e commercializzazione di tale allettante sostanza chimica, avevano protestato, a causa dell’ingente danno ricevuto in seguito al mancato acquisto del prodotto da parte dei comuni cittadini (che lo volevano usare per il proprio giardino o per il proprio balcone).
Cosicché l’ultimo decreto, a modifica dei precedenti, chiede solo che i prodotti che contengono glifosato o altri fitofarmaci tossici riportino in etichetta i dettagli sulla composizione, sulle eventuali conseguenze per la salute e su quali dispositivi di protezione debbano essere indossati per usarli. Non sono qui per fare valutazioni tecniche, ma solo filosofia, che a me piace tanto.
Mi chiedo: perché una sostanza così inequivocabilmente ed evidentemente ritenuta tossica dai legislatori è stata concessa, in prima istanza, per uso agricolo e non nei “luoghi frequentati dalla popolazione”? Cioè se è tossica per la popolazione e non lo è per gli agricoltori che usano maschere e tute protettive (ma quanti ne ho visti sparare il diserbante senza protezione!), come mai ‘sta roba può finire allegramente nei nostri cibi? Mistero esclusivamente filosofico.
Segue ipotesi filosofica: che certe patologie neurodegenerative in tanti agricoltori e loro familiari o loro vicini di casa e in tanti calciatori o le dermatiti croniche delle stesse categorie di persone, sia da mettere in correlazione con il diserbante chimico glifosato? Che ne so! Io non ne so niente, ma se mi legiferate con tanti piccoli ed infiniti distinguo su questi prodotti, un motivo ci sarà. Oppure in quei giorni avevate solo un po’ di confusione mentale ed avete scritto tre decreti a caso?
Viene il sospetto, solo il sospetto, per carità, che ci troviamo di fronte sempre alla stessa solita diatriba: profitto e occupazione contro salute umana (e magari salute anche delle piante nostre sorelle, grande San Francesco che aveva già capito tutto).
Un conflitto irrisolvibile, lo vediamo da anni con l’Ilva ora ArcerolMittal.
Produzione in sicurezza anziché riconversione e chiusura. Intanto quando passi sul perimetro dell’acciaieria di Taranto non ti basta chiudere i finestrini dell’auto e mettere il riciclo interno dell’aria perché qualcosa ti prende alla gola e ti insegue per chilometri.
Io “filosofa” sono, lo diceva mia madre quando ero piccola, per alcuni sofista. Ma un sogno ce l’ho: quello che, come dice Didier Van Cauwelaert nelle ultime pagine del suo libro “Le emozioni nascoste delle piante”, tanti piccoli davide facciano fuori i golia. Con quale fionda? Con quella del mancato acquisto e del ritorno indietro alle coltivazioni senza aggiunta di alcuna sostanza chimica, perché le piante sanno difendersi anche da sole, eccome! Ho osservato la presenza delle lumache sulle mie bietole. Se le lascio prosperare in salute (parlo delle bietole ma in definitiva anche delle lumache) dopo un certo lasso di tempo le piante ritornano rigogliose e delle lumache non si ha più traccia, sembra inspiegabile, forse le lumache erano sazie al punto da desistere? Oppure, come ci dicono gli studiosi di fisiologia vegetale, le piante producono ad un certo punto qualche sostanza sgradita al parassita o addirittura che ne arresta la riproduzione? Ad un certo punto il parassita scompare, a volte dopo aver danneggiato una sola pianta.
Comprare al mercato bietole bucherellate non ci va, vero? Eppure sono le migliori. Vale anche per gli esseri umani e credo che lo resterà per i transumani del futuro (che con la loro eventuale intelligenza artificiale, raccogliendo dati, ci arriveranno ancor prima di noi). È sempre in chi sa restare piccolo, indifeso, povero o bambino che trovi il segreto della vita. Il resto, l’inseguire l’esclusività di ogni cosa a suon di quattrini, paradossalmente esclude sì, ma non gli altri, piuttosto esclude noi dal segreto della vita e ci getta nella disperazione.
Cercasi un fine è “insieme” un periodico e un sito web dal 2005; un’associazione di promozione sociale, fondata nel 2008 (con attività che risalgono a partire dal 2002), iscritta al RUNTS e dotata di personalità giuridica. E’ anche una rete di scuole di formazione politica e un gruppo di accoglienza e formazione linguistica per cittadini stranieri, gruppo I CARE. A Cercasi un fine vi partecipano credenti cristiani e donne e uomini di diverse culture e religioni, accomunati dall’impegno per una società più giusta, pacifica e bella.