Forse la stiamo buttando troppo sul sentimentale. Affetti, relazioni, amori e relativa tossicità. Tutto giusto, per carità. Ma a patto di non perdere di vista la «big picture», il contesto in cui avvengono le cose. E il contesto, quando si parla di donne, è una spietata lotta di potere tra i sessi. Una battaglia sociale e politica. Una guerra culturale che ci entra in casa, che ci riguarda tutti, anche se non lo sappiamo, e magari pensiamo che i nostri comportamenti siano individuali, mentre sono sempre parte di un tutto, della «weltanschauung» del mondo in cui viviamo.
Quella femminile è stata la Rivoluzione più importante del secolo scorso. Lasciate perdere la Rivoluzione bolscevica, che è durata appena settant’anni e ha fatto la fine che ha fatto. L’emancipazione delle donne in famiglia e sul lavoro, e la separazione tra sesso e procreazione avvenuta grazie alla pillola, hanno cambiato il mondo ben più dell’Ottobre rosso o del Maggio francese. La Rivoluzione delle donne ha creato un prima e un dopo in una storia millenaria di rapporti sociali. E continua ogni giorno a produrre i suoi effetti. Nessuno di noi sa ancora come e quando finirà.
Di fronte a uno sconvolgimento di queste proporzioni, di fronte a una vera Rivoluzione, nella storia c’è sempre stata una Reazione. Le idee e gli interessi colpiti dal cambiamento si organizzano, si ribellano, si vendicano. È ciò che sta succedendo. L’epidemia di femminicidi è l’equivalente della Vandea durante la Rivoluzione francese. Anche senza saperlo, ognuno degli uomini che odiano le donne fino al punto di ucciderle sta reagendo a una perdita di status, alla fine di un diritto di possesso, di una licenza senza vincoli, che non sa accettare. Tenta confusamente e violentemente di riprendersi il potere che aveva, o che gli hanno fatto credere avrebbe avuto.
Non interpretiamo dunque i femminicidi come una sopravvivenza del passato, come un rigurgito della società patriarcale, come frutto di ignoranza e arretratezza. Altrimenti non ci spiegheremmo perché sono commessi da giovani come da anziani, da ricchi e da poveri, da figli di famiglie «perbene» e da figli dell’emarginazione, al Nord e al Sud. Non ci spiegheremmo perché nei concerti, magari un attimo dopo il minuto di silenzio per Giulia, si canti la misoginia, «sei soltanto mia, mai più di nessuno… dimmi che sei sincera, per te vado in galera». E non ci spiegheremmo perché le statistiche della violenza di genere in Svezia, Norvegia, Islanda o Finlandia non sono certo migliori delle nostre.
Si tratta di un fenomeno moderno perché è una reazione alla modernità; non condannato perciò all’estinzione man mano che il progresso avanza, ma anzi forse destinato ancora a crescere. È un po’ come avvenne col fondamentalismo religioso: pensavamo che fosse patrimonio di un passato oscurantista e medievale che la globalizzazione, i voli intercontinentali, Internet, i social, avrebbero eliminato. O come l’antisemitismo, che credevamo una roba per nostalgici del nazismo. E invece…
Se questa lettura è corretta, allora si può concludere che la Reazione sarà vinta quando la Rivoluzione finirà perché avrà raggiunto i suoi scopi; quando la ragione per cui è cominciata sarà iscritta nelle società che ha cambiato; quando i suoi risultati non saranno più modificabili o a rischio. Ogni Rivoluzione nasce dal bisogno di adeguare i tempi a nuovi bisogni, compressi da vecchi rapporti. Poi arriva il momento in cui il nuovo equilibrio è raggiunto, e la lotta per un po’ si interrompe. Ma questa speranza non può certo esserci di conforto. Perché la Rivoluzione femminile è ancora molto lontana dall’aver raggiunto il suo fine.
L’indice elaborato ogni anno dal Global Gender Gap dice che mancano 135 anni alla piena parità tra uomo e donna. Magari ci fermeremo prima. Ma finché i datori di lavoro pagano le donne meno di un uomo, finché le donne sono ancora molestate negli uffici e per le strade, finché i maschi si distribuiscono tra di loro gli incarichi di comando, perché mai ci si dovrebbe meravigliare se Filippo non voleva che Giulia si laureasse prima di lui?
La verità è che noi trattiamo le donne nella vita di ogni giorno come figlie di un dio minore. E la violenza da che mondo è mondo si è sempre abbattuta sulle persone in condizione di inferiorità. Le due cose, la regola e l’eccesso, si tengono. Impossibile sfuggirne. Ecco perché la difesa e l’espansione dei diritti delle donne devono restare il prioritario obiettivo civile, politico e culturale delle nostre società. I diritti contano tutti. Ma quelli delle donne, in questo momento, di più.
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