La locomotiva è l’Europa, di Gabriele Junior Pedrazzoli

Matthij e Meunier scrivevano su Foreign Affairs nel 2023: “Quando Ursula von der Leyen si è insediata nel 2019 e ha annunciato che la sua sarebbe stata una ‘Commissione geopolitica’, il range delle reazioni a Pechino, Londra e Washington è andato da un educato scetticismo ad un chiaro scherno: la sicurezza nazionale è per definizione una questione nazionale e l’UE semplicemente non è nel business della geopolitica, certamente non quando si tratta di sfruttare strumenti economici per finalità politiche. Quattro anni dopo, la von der Leyen ha trasformato Bruxelles da un segretariato burocratico che attua la volontà dei leader nazionali europei in un importante attore macroeconomico e geoeconomico a sé stante. Di conseguenza, il blocco è oggi più coeso e meglio preparato a gestire le crescenti rivalità geopolitiche”.
Con la scelta dei commissari per la nuova Commissione, Ursula Von der Leyen ha reso evidente che quello che da molti era percepito come punto d’arrivo era solo la prima parte di un progetto più grande. L’invasione russa dell’Ucraina ha reso evidente la mancanza di coesione tra gli Stati membri dell’Unione Europea. I Paesi più dipendenti dalla Russia per la fornitura di idrocarburi sono stati più riluttanti nell’imporre sanzioni, il Belgio, a causa delle ripercussioni che queste avrebbero avuto sul mercato di Anversa, ha rallentato le sanzioni sui diamanti, Ungheria e Slovacchia hanno attuato più volte politiche in contrasto con le decisioni comunitarie. Ecco la necessità di una politica estera comunitaria che permetta di affrontare le sfide di questo nuovo ordine regionale.
Nel contesto di crisi in cui versano i tradizionali partner europei (particolarmente evidente nei casi di Francia e Germania) il gruppo baltico che da anni ha posto in essere una precisa politica estera volta al contenimento della Russia, costante nelle sue linee direttrici a prescindere dall’alternanza partitica al governo, ha assunto una centralità che storicamente non ha mai avuto. A dare vigore alle ambizioni di centralità delle Repubbliche è stata poi la ritrovata leadership di Donald Tusk, che dopo anni di governo PiS ha riallineato la Polonia all’ottica comunitaria. In estrema sintesi la politica della nuova Commissione consisterà nella valorizzazione dell’approccio strategico dei Paesi del Baltico.
Essenzialmente tale strategia si articola a partire da due principi cardine: una forte (se non esasperata) opposizione a Russia e Bielorussia e la prevalenza delle esigenze politico-securitarie rispetto a quelle economiche.
Per quanto riguarda il primo pilastro le nomine chiave nella nuova Commissione sono quelle di Kaja Kallas (Estonia) come Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza e di Andrius Kubilius (Lituania) come Commissario alla Difesa. Già il fatto che sia stata istituita (per la prima volta) una Commissione alla Difesa è emblematico del cambio di passo rispetto all’integrazione in questo settore, ma la nomina di un lituano è una presa di posizione ancora più forte. La Lituania più di ogni altro Paese ha mostrato fermezza nelle sue politiche nei confronti della Russia, ospita la quasi totalità dell’opposizione al regime di Lukashenko in esilio (Svjatlana Cichanouskaja su tutti) e ha sempre garantito stabilità al ministero degli esteri a prescindere dalla coalizione al governo. La nomina agli esteri di Kęstutis Budrys per sostituire Gabrielius Landsbergis è da leggere in questo senso: il partito socialdemocratico che ha formato una coalizione di governo con i populisti di Zemaitaitis -la cui posizione sulla Russia è ambigua– intende proseguire con la linea politica sostenuta nei quattro anni precedenti dal partito “Unione della Patria” da cui proviene proprio il Commissario Kubilius.
La linea dura della nuova Commissione sarà messa alla prova già a gennaio in occasione delle elezioni presidenziali in Bielorussia, definite da Budrys una “manifestazione del regime per la riconferma di Lukashenko”. Nel mentre ci si può aspettare un intensificazione del pattugliamento del mar Baltico, come auspicato dal ministro della difesa polacco Kosiniak-Kamysz. Gli F-35 norvegesi sono già stati schierati a seguito dei sabotaggi dei cavi di comunicazione sottomarini nelle ultime settimane.
Il russocentrismo della politica estera dell’Unione deve poi essere inquadrato all’interno della cornice NATO. Le Repubbliche Baltiche non sostengono un’Europa indipendente dal Patto Atlantico, il rafforzamento delle capacità di difesa è necessario per permettere agli Stati Uniti di concentrare risorse in altri contesti di crisi quali Taiwan e il Medio Oriente. Il ministro della difesa lituano Dovilė Šakalienė ha dichiarato a Reuters di essere consapevole che l’Europa non può essere una delle prime tre priorità degli Stati Uniti. Quello che si vuole ottenere non è quindi una struttura difensiva parallela alla NATO ma limitata all’Unione Europea, ma la possibilità di adempiere agli obblighi di difesa derivanti dal Patto Atlantico su un piano strategicamente paritario con il partner americano.
Venendo al secondo pilastro della governance baltica Ursula Von der Leyen ha nominato Piotr Serafin (Polonia) al budget e Valdis Dombrovskis (Lettonia) all’economia. Serafin, fedelissimo di Tusk, dovrà fare spazio nel bilancio alle politiche securitarie poste in essere da Kubilius e Kallas. Coerentemente con la visione del Primo Ministro polacco il principale obiettivo del suo mandato sarà irrobustire la capacità di risposta europea alle sfide geopolitiche immediate. Ancora più importante sarà il ruolo di Dombrovskis. Valdis Dombrovskis è stato il più longevo primo ministro della Lettonia, ma ricopre il ruolo di Commissario europeo già dal 2014 (Commissione Junker), la sua nomina ha la duplice funzione di rassicurare i mercati finanziari (“When Valdis speaks, financial markets calm down”) e di garantire il rispetto della gerarchia delle priorità come concepita dai Paesi Baltici. Fautore di una politica fiscale molto rigorosa già come Primo Ministro, Dombrovskis opererà tagli alle spese in settori non strategici, in questo senso sarà interessante osservare l’equilibrio che si formerà tra politiche occupazionali e green deal, entrambe in secondo piano rispetto alle esigenze derivanti dalla politica internazionale.
La seconda Commissione Von der Leyen ha reso chiaro il suo collocamento in un mondo sempre più polarizzato, adesso si tratta di trasformare quella che è solo un’elaborazione teorica nel motore di un’integrazione definitiva.

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