La fretta di fare del bene, di Rocco D’Ambrosio

Il Vangelo odierno: In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1, 39-45).

Anche nel Vangelo c’è… la fretta! La nostra, in questi giorni, è forse quella di preparare le feste (banchetti, regali e compagnia cantando). Quella di Maria era diversa: prestare un servizio all’anziana Elisabetta, incinta come lei. Abbiamo fretta per molte cose. Ma abbiamo la fretta di fare del bene a persone che hanno bisogno? Spesso no. Se si chiede di dedicare un’ora settimanale di volontariato, diversi rispondono: non ho tempo! Non è proprio vero: abbiamo tutto il tempo del mondo (cantava Louis Armstrong), solo che lo dedichiamo ad altro o lo sprechiamo in stupidaggini, dimenticando che il tempo è un dono da utilizzare per fare del bene agli altri (lavoro, relazioni e volontariato) e a stessi (riposo, meditazione e rigenerazione).

Ma torniamo a Maria ed Elisabetta. Il loro incontro è un momento semplice, essenziale, ordinario, ma che manifesta un amore senza misura. Semplicità e amore qui sono un tutt’uno, tanto da poter affermare che Dio c’è, senza ombra di dubbio. Dio c’è nella sollecitudine di Maria, nella sorpresa di Elisabetta, nel sussulto del Battista in grembo a sua madre, nel silenzio di Gesù nel grembo di Maria. Dio c’è perché c’è semplicità e amore di qualcuno che non si è rinchiuso nelle mura del suo egoismo e si è aperto agli altri.

Per noi è, e resta questo, il Natale. Poi ci sono tante polemiche: chiacchiere inutili sulle guerre e violenze, strumentalizzate da politici inqualificabili, migranti usati ancora per giustificare ideologie razziste e nazionalfasciste, significati da attribuire al Natale, discussione su come chiamare queste feste. Quante chiacchiere. Quante strumentalizzazioni. Una politica morta e asfittica si aggrappa a tutto pur di guadagnare consenso. Se Elisabetta, Maria e i loro piccoli e famiglie avessero ascoltate tutte queste chiacchiere inutili, certamente avrebbero cambiato località per far nascere i loro bimbi. Ma forse queste vergogne c’erano già all’epoca, visto che Dio previde per il Suo figlio una stalla fuori città.

E’ Natale così. In una visita. Nell’accoglienza, nel servizio a chi ha meno di me, a chi ha bisogno di me, a chi mi tende la mano. Il resto sono chiacchiere da bar o da ipocriti e falsi, professionisti nel distruggere o giustificare egoismo e cattiverie varie. Sono ancora quelli che Beniamino Andreatta acutamente definiva “atei devoti”. Il Natale è qualcosa per credenti (se non proprio cristiani almeno credenti nella giustizia e nella pace tra tutti). Il Natale, come insegna Maria si “porta” in grembo e lo si dona al mondo perché si ha fretta di fare del bene.

Rocco D’Ambrosio

[presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]

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