La fede come pellegrinaggio, di Antonio Musca

La diocesi di Nardò – Gallipoli in “PEREGRINATIO MARIAE”

“sono diventato come un mentecatto, non ho preoccupazioni di nessun tipo, nessun interesse, non soffermerei lo sguardo su niente di mondano, me ne starei sempre in solitudine; per abitudine ormai desidero una sola cosa: recitare ininterrottamente la preghiera e, quando mi ci immergo, mi riempio di gioia. Sa Dio che cosa mi sta succedendo”[1].

 Nella citazione iniziale, ripresa dai racconti di un pellegrino russo, vorrei raccontare: “Chi è il pellegrino russo?

Il pellegrino russo è un uomo come tanti, ha una casa, una moglie. Il fratello, per gelosia, incendia la sua dimora e la malattia gli porta via la moglie. Con la Bibbia nel suo sacco parte e si fa pellegrino alla ricerca di Dio. La guida del suo cammino diventa la preghiera: pregando incessantemente egli sente la pace fiorire nel suo cuore e comprende che Dio non è lontano: vive in lui. L’essere umano è un pellegrino nel mondo verso una patria oppure un pellegrino senza meta. La nostra vita non è altro che un viaggio fatta di tenebre, di amore, di gioia di dolori, di sofferenze, ma anche di emozioni, di cammini uno accanto all’altro e di domande.

Come non ricordare i due viandanti di Emmaus che erano oppressi dalla durezza degli eventi della morte (cfr. Lc24): i due viandanti sono gli uomini e le donne del nostro tempo che spesso conoscono il dolore, vivono con gli occhi appesantiti, il volto triste, immagine di tanti erranti senza meta in fuga, senza cercare la speranza.

Ormai, per la nostra diocesi il mese di settembre è il mese in cui ci si ritrova tutti uniti, Pastore, clero, religiosi/e laici, giovani, anziani per vivere un appuntamento comunitario: tutta la Comunità diocesana si mette in cammino unitamente al suo pastore Fernando, per raggiungere la casa di Maria. Ognuno si mette in cammino con le proprie preoccupazioni, con i piedi gonfi, con gli occhi pieni di lacrime, il cuore lacerato per tante sofferenze. L’essere umano è chiamato a uscire da sé e ad interrogarsi per cercare la vera patria, per trovare rifugio e protezione nelle mani, negli occhi della nostra mamma la Vergine Maria. Lei ci attende, ci accoglie ci fa accomodare nella sua casa, ci prende per mano e ci invita a riposare dopo la stanchezza. Ognuno ha percorso tutta la strada in preghiera da solo, come Gesù, suo Figlio, con la croce sulle spalle.Ci invita a raccontare le cose belle della nostra vita, del nostro vivere la vita di ogni giorno.

Abbiamo bisogno di fermarci per rinfrancarci, per riprendere fiato dopo le tante fatiche personali di famiglia, le fatiche della parrocchia, della diocesi. Siamo qui Vergine Santa per riprendere il cammino con te, tu hai saputo scegliere la parte migliore, aiutaci a scegliere la parte nuova per il cammino e che sia un cammino di bellezza. Maria nostra Madre attende ognuno di noi, per abbracciarlo per donare una sua carezza e ci invita ad entrare nella sua casa per metterci comodi e raccontare la nostra storia.

Vorrei in queste righe condividere la testimonianza di una nota attrice italiana, Valeria Moriconi, che è stata riportata sul settimanale Gente di un po’ di tempo fa nel dicembre del 1987 e credo che possa essere di esempio per tutti noi:«sono fondamentalmente laica, ma non atea… non ho mai ignorato la religione e in particolare la Madonna. Vicino a casa mia, a Jesi, nelle Marche, c’è una chiesa dedicata alla Madonna delle Grazie. Una Madonna molto amata a Jesi, assai più di quella di Loreto, che pure è la Madonna per eccellenza dei marchigiani. Ma a Jesi non sentiamo ragioni: per noi la Madonna è quella delle Grazie… nella mia famiglia, quando qualche cosa andava male, ci si rivolgeva alla Madonna. Era lei il nostro “pronto soccorso” nelle situazioni d’emergenza. Anche in tempo di guerra, lo ricordo come fosse oggi, durante i bombardamenti, ci rifugiavamo nella cappella della Madonna. Se si era lontani dalla chiesetta ci si rifugiava dove si poteva, ma si invocava la protezione della Vergine. In casa mia, nella mia famiglia, la Madonna, oltre che un’immagine, era a suo modo una presenza… sentivo la sua presenza protettiva, rassicurante, che si riassumeva in quell’immagine femminile, dolce e amata da tutti… La Madonna delle Grazie faceva parte della famiglia. Da bambina mi sono sempre rivolta alla Madonna con dolcezza, con affetto… Oggi vedo Maria come donna, un punto di riferimento di fede e di speranza, di poesia e di canto, di festa per tutto il popolo cristiano … Alla Madonna, donna di carne e di pena, si può dire tutto… La Madonna la sento vicino soprattutto per le pene e le vicissitudini che anche lei ha dovuto affrontare nella vita. Penso al dramma della nascita del Figlio in una grotta, lontana dal suo paese, dai suoi affetti. Penso alla fuga in Egitto, un paese straniero e ostile. Vedo la Madonna uguale a migliaia, a milioni di madri che sono in fuga da una tirannide per finire sotto un’altra. Ieri lei, oggi le madri vietnamite, cambogiane, afgane. I tiranni, specialisti di stragi degli innocenti, c’erano ieri e ci sono oggi. E ieri, come oggi, ci sono le “madri coraggio”, umiliate, torturate e uccise per i loro figli. Anche oggi, nel mondo ci sono migliaia di “Madonne” che patiscono su di sé e sui propri figli, le violenze di duemila anni fa. Credo proprio che la madonna sia attuale»[2].

Oggi, per poter comprendere la peregrinatio Mariae dobbiamo tornare indietro nel tempo: negli anni della guerra il culto religioso si rafforza e fu rafforzato proprio da Pio XII (1876 – 1958) per promuovere e incoraggiare in modo particolare il culto religioso mariano. Il popolo si reca da Maria per trovare in lei la donna per eccellenza, l’alleata a cui poter affidare il compito di colei che educa i figli alla vera vita cristiana, capaci di saper ascoltare, saper custodire la Parola di Dio.

Maria è colei che parla all’uomo affinché rimanga sempre fedele per evitare che si allontani dalla retta via. È la donna che si fa carico delle nostre preoccupazioni, capace di asciugare le nostre lacrime. Ciò avviene perché Maria è la prima a mettersi in pellegrinaggio verso di noi, le nostre case, le nostre vite. Il pellegrinaggio del cristiano è così la risposta alla Peregrinatio che Maria incessantemente compie, come madre e discepola evangelizzatrice, nella Chiesa e nel mondo. È questa una certezza che il popolo cristiano ha nel suo “istinto” sin dal Medioevo[3]. Ma per comprendere l’origine della moderna Peregrinatio Mariae, cioè del pellegrinaggio della Madonna, dobbiamo andare in Francia dove si celebrava ogni quattro anni un Congresso Mariano Nazionale.

Prima dell’ultimo Congresso antecedente la Seconda Guerra Mondiale (1939 – 1945), a Boulogne -sur- Mer, nel 1938, vennero predisposte quattro statue sul modello della Madonna che lì veniva venerata. Le statue giunsero al Congresso per quattro vie differenti, attraversando il nord della Francia, dopo essere state benedette sulla soglia del Santuario di Notre Dame Des Ardens, di cui il nome di Via Ardente deriva dal pellegrinaggio. Quando il Congresso fu terminato una delle statue ricominciò il suo viaggio per unire simbolicamente la grande assise di Boulogne con quella, che si sarebbe dovuta tenere nel 1942 a Le Puy en Velay, nel centro della Francia. Quando scoppiò la guerra il pellegrinaggio venne sospeso e durante l’occupazione nazista la statua fu portata a Lourdes. Il 28 marzo del 1943, giorno in cui la Francia venne consacrata a Maria, la statua riprese la via del Ritorno, è il grande ritorno della Vergine (Le Grand Retour de la Vierge).

Il pellegrinaggio veniva preceduto da un gran crocifisso portato da un uomo, seguito da una fila interminabile di fedeli e verso il fondo, dal carro della Madonna tirato a braccia da giovani con a fianco i Missionari del Ritorno, detti anche i Routiers de la Vierge. Preghiera e penitenza è il messaggio di Fatima in queste gigantesche processioni che ricordano quelle di penitenza del Medioevo. Sull’esempio della Francia, grandi movimenti mariani sorsero nell’America del Sud, in Canada, negli Stati Uniti, in Belgio, in Olanda e in Spagna. Il successo della manifestazione francese spinse anche le Diocesi italiane a imitarla.  Dal 1947 al 1949 in Italia la Peregrinatio Mariae fu un evento di massa religioso ed ecclesiale. Si diffuse in ben novantacinque Diocesi, coinvolgendo un totale di oltre ventidue milioni e mezzo di abitanti. Dal settembre 1948 L’Osservatore Romano iniziò a dedicare una rubrica ai viaggi della Madonna Pellegrina. Si trattava della statua della Vergine che passava di paese in paese, in pianura, sui sentieri in montagna, nelle borgate e nelle città; i fedeli di una parrocchia accompagnavano la statua in processione per affidarla a quelli della parrocchia confinante[4].

Paolo VI rivolgendosi ai rettori dei santuari d’Italia il 24 novembre 1976 rileva questo tipo di orientamento spontaneo del popolo cristiano verso la Vergine Madre:

«Vogliamo lodare l’intenzione di approfondire il rapporto che diremmo di corrispondenza e quasi di compenetrazione, che tradizionalmente unisce la Vergine benedetta e la pietà popolare. È proprio vero che Maria, come occupa un posto privilegiato nel mistero di Cristo e della Chiesa così è sempre presente nell’animo dei nostri fedeli e ne compenetra, nel profondo, come all’esterno, ogni espressione e manifestazione religiosa. Quante gente, vediamo, non è molto religiosa, ma alla Madonna, a quella sì, curva il capo ed esprime una preghiera che altrimenti non sarebbe mai uscita dal cuore ed arrivata alle labbra»[5].

Come popolo ci siamo messi in cammino, abbiamo vissuto un pellegrinaggio come risposta alla Peregrinatio di Maria nella Chiesa e nel mondo; vorrei in poche righe, riflettere insieme con voi, sulle dimensioni più profonde e tipiche di un pellegrinaggio in un santuario mariano. Il popolo si mette in cammino per incontrare Maria, ma perché il popolo si orienta verso la Madre di Dio? Perché questa devozione mariana?

Alcuni studiosi ci aiutano a comprendere questi quesiti: «Maria incarna le attese più profonde dell’umanità e insieme è colei che ha sedotto Dio, ha collaborato con lui e quindi è sempre dalla nostra parte, anche quando possa sembrare, ma ciò non è esatto, che Dio non ci sia vicino come lei stessa è con noi»[6]. Esiste un legame tra il popolo e Maria, la madre del Signore. Una prima realtà è l’ovvia percezione per il popolo che la Vergine è una presenza personale e materna protettrice, viva e forte, mai sdolcinata, sempre esemplare e misericordiosa, orientata a condurre il credente a Cristo. Il popolo ha per Maria un sensus fidei essenziale, un intuito immediato del cuore: sente e conosce immediatamente, senza l’aiuto della ragione o della riflessione, che Maria veglia sulla Chiesa come una madre sui suoi figli. Il popolo conosce Maria per intuito e dunque la invoca, la loda, la supplica. Il popolo intuisce profondamente e sperimenta che vivere significa amare, godere, incontrarsi, far festa.

 

Un secondo aspetto e che il popolo vede in Maria un soggetto ricco di popolarità e in esso vi si ritrova. Nella figura di Maria il popolo avverte lo stile, il comportamento umano, quello proprio dell’umile, dei semplici, di chi ogni giorno dopo giorno fatica a penetrare e decifrare il volere di Dio. Maria si lascia trovare nel Santuario, luogo che testimonia la presenza sovrabbondante di Dio nella vita della Chiesa: il fedele desideroso di consolidare la fede cerca allora l’incontro con Dio e con la Madre del Signore. In questo modo, Santuario e pellegrinaggio diventano termini correlativi[7]. Poiché la Chiesa vede e vive tradizionalmente il Santuario come un luogo dove è presente una più grande disponibilità dei mezzi della salvezza, anche lo spostamento locale richiesto da un pellegrinaggio deve essere valorizzato quale movimento spirituale che provvede ad un rinnovamento di fede.

E poiché la Chiesa vede e vive tradizionalmente il Santuario come l’immagine della Gerusalemme del cielo, il pellegrinaggio indica il distacco dalla vita quotidiana al fine di vivere l’esperienza forte del mistero e cammino ascetico verso la piena manifestazione del Signore[8]. Il pellegrino allora percorre tutto il cammino, l’itinerario nelle fede, sull’esempio di Maria, condividendo la sua obbedienza della fede con la propria vita[9]. Il pellegrinaggio è quindi immagine di quel cammino verso la Patria, una spinta utile a perseverarvi.

Santuari e pellegrinaggi sono fenomeni religiosi universali: viaggiatori, fedeli, curiosi, turisti si mettono in cammino attraverso delle esperienze che, seppure plurimillenarie o addirittura coesistenti all’uomo, vengono continuamente riscoperte e ri-significate. L’indole umana non è mai stata stanziale: le donne e gli uomini sono da sempre nomadi, migranti, ma anche pellegrini verso i luoghi santi, mentre attraversano dei confini naturali, delle frontiere politiche o dei muri eretti da altri uomini. Il Santuario raggiunto a piedi e in pellegrinaggio è sempre un penoso superamento dello spazio. I moderni mezzi di trasporto hanno certamente cambiato il modo di concepire l’approcciarsi ai luoghi di devozione, tanto da mutare anche il rapporto tra corporeità e deità. Se prima il corpo del pellegrino non poteva che recarsi a piedi al santuario, oggi usare i piedi o affidarsi ad altri mezzi è diventata una scelta dettata da motivazioni non tanto penitenziali quanto esperienziali.

Il santuario è luogo privilegiato di pellegrinaggio di tanti fedeli, ed ha, non tralasciando il riverente saluto all’icona della – di solito – incoronata Madre di Dio[10], il suo culmine nella celebrazione della Riconciliazione e dell’Eucaristia. Anzi, è nel pellegrinaggio che la Cena del Signore appare nella sua vera luce: nata da un pellegrinaggio (cf. Lc 22,8), essa è il sacramento dell’esodo di Cristo e per noi memoria-compimento dell’Alleanza (cf. Es 12) e cibo per il viaggio[11].       Pertanto, a livello di orientamento generale, l’esperienza del pellegrinaggio presso i santuari si configura come un’esperienza specifica, ricca, molteplice, soprattutto orante: «1) deve creare un clima comunitario, sia all’interno del gruppo che tra vari gruppi, come esperienza privilegiata di comunione tra comunità e chiese diverse; 2) nella preghiera si devono mettere al primo posto le assemblee liturgiche, specie quelle sacramentali; 3) dev’essere un vero tempo forte di vita spirituale (equivalente a un ritiro o agli esercizi spirituali), favorito da predicazioni nutrienti di buona catechesi; 4) se un rigorismo eccessivo è da proscrivere (non è escluso che si prevedano nel programma momenti distensivi), non si deve cadere nella tentazione – talora assai forte – di dissolverlo in un viaggio turistico, ma bisogna vigilare perché si svolga in un clima di preghiera. Come elementi da promuovere: a) il primato della preghiera (se essa viene a mancare, il pellegrinaggio svanisce); b) il cammino penitenziale, un fatto fondamentale per l’inserimento nel mistero pasquale; c) la partecipazione alla vita della Chiesa, entrando attivamente nelle sue preoccupazioni e nella sua azione […]. Il pellegrinaggio deve mettere in atto la “memoria” della Chiesa, l’annuncio del ritorno di Cristo verso cui essa va incontro e la testimonianza verso “quelli che sono fuori”. È per questo che il cammino del pellegrinaggio non è un fatto a sé stante, più o meno ai margini della vita ecclesiale, tanto meno in contraddizione con essa»[12].

Per trattare del pellegrinaggio/santuario si possono seguire delle strade diverse. Ne possiamo ricordare solo tre principali:

  1. la via dell’antropologia culturale: il pellegrinaggio è un simbolo, con il linguaggio e suoi riti; coerentemente si dovrà verificarne la natura e i dinamismi[13];
  2. la via della pietà popolare, nel cui vasto ambito questa pratica s’iscrive; anche per questo aspetto, come per il precedente, è necessario porsi in ascolto di varie discipline;
  3. la via teologica, in qualche modo indicata dai passaggi del titolo: Chiesa pellegrinante, Maria Pellegrina, pellegrinaggio mariano. È quella che, se iscritta nella storia della salvezza, ne dà il senso di fede. Nel seguire questo corridoio dovremo tener presenti anche le altre strade, per il realismo delle prospettive, le necessarie integrazioni e la continua verifica.

Il pellegrinaggio è uno strumento di incontro con la Vergine ed è un’ulteriore opportunità per esprimere la propria devozione e anche per chiedere qualcosa: c’è sempre una sofferenza da condividere. Quanti si recano al santuario con fede e speranza intendono ringraziare o chiedere il miglioramento della condizione presente con l’intercessione della Madonna. Il santuario è una casa aperta a tutti, dove ognuno si sente a proprio agio e ottiene udienza. San Giovanni Paolo II, il pellegrino più assiduo e più illustre dei santuari mariani del mondo, è quanto mai concreto: «E come non augurare ardentemente che i santuari più frequenti divengano o ridivengano come altrettante case di famiglia in cui ognuno di colo che vi passano o vi soggiornano ritrovano il senso della loto esistenza, il giusto della vita, perché avranno fatto una certa esperienza della presenza e dell’amore di Dio»?

E ancora: «Si potrebbe forse parlare di una specifica “geografia” della fede e della pietà mariana, che comprende tutti questi luoghi di particolare pellegrinaggio del popolo di Dio, il quale cerca l’incontro con la Madre di Dio per trovare, nel raggio della materna presenza di “colei che ha creduto”, il consolidamento della propria fede»[14]. L’uomo per natura è un essere viator: è alla ricerca del suo centro di equilibrio, e per questo cerca di collocarsi in uno spazio e di vivere nel tempo. Nello stesso tempo, l’uomo è essere religiosus: «L’homo religiosus è una qualità significante del vivere umano, carica di referenze simboliche. Si estrinseca nel contesto dell’evoluzione, esistenziale e strutturale, dell’uomo stesso e rappresenta adeguatamente la nativa dimensione “sacrale” e appunto “religiosa” dell’uomo»[15]. L’homo religiosus et viator esprime la sua identità profonda proprio attraverso il pellegrinaggio, che è un dato fondamentale dell’antropologia religiosa, una realtà dinamica presente da sempre in ogni religione.

Uno dei tratti qualificanti del nostro tempo è certamente il cambiamento sociale, il cambiamento comunitario, caratterizzato dalla velocità, dalla complessità, fattori che si riversano sugli stili di vita e sui modelli culturali. Il cambiamento coinvolge anche il fatto purtroppo l’aspetto religioso e non fa altro che determinare in varie misure il vissuto dei credenti a livello personale e sociale. In tale contesto emerge un nuovo significato e collocazione delle manifestazioni religiose, compreso il pellegrinaggio. Quest’ultimo viene inserito in una diversa concezione della vita e dunque si modifica nelle sue componenti: destinazioni, circostanze, atteggiamenti interiori. Con i cambiamenti culturali delle comunità umane, mutano anche le forme di residenza e di mobilità.

Nel passato l’azione della Chiesa si è commisurata sulle esigenze della civiltà contadina e più recentemente su quelle della civiltà urbana. Oggi si vivono nuove condizioni di vita, caratterizzate dal fenomeno diffuso, crescente e strutturale, della mobilità. Questo comporta una pluralità di interventi, capaci di ridestare energie, progetti e metodi idonei ad annunciare il Vangelo nella cultura della mobilità. Qui trova la sua sfida la pastorale in genere e quella dei pellegrinaggi in particolare.           Il pellegrinaggio implica una speciale attenzione pastorale, soprattutto per quanto riguarda la cura della religiosità popolare. Per questo è importante offrire alcune indicazioni concrete nella prospettiva della nuova evangelizzazione. Il pellegrinaggio costituisce un’importante risorsa pastorale, un dono autentico dello Spirito Santo. È occasione di rinascita interiore, di rinnovata consapevolezza cristiana e di più generoso impegno nella storia. Non si tratta di inseguire una tendenza, ma di offrire la nostra corrispondenza ad un evento del tutto singolare, in vista dell’annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo e nel contesto delle culture attuali.                                        La nuova evangelizzazione provoca anche la pastorale del pellegrinaggio a cercare un nuovo slancio e un nuovo ardore, nuove occasioni, nuovi contenuti su cui insistere, nuovi metodi e strumenti. Con questo rinnovato impegno, si potrà aiutare ogni uomo a comprendere che, come afferma Giovanni Paolo II, «tutta la vita cristiana è come un grande pellegrinaggio verso la casa del Padre, di cui si riscopre ogni giorno l’amore incondizionato per ogni creatura umana, ed in particolare per il “figlio perduto” (cfr. Lc 15,11-32). Tale pellegrinaggio coinvolge l’intimo della persona allargandosi poi alla comunità credente per raggiungere l’intera umanità»[16].

L’elemento fondamentale del pellegrinaggio è il luogo sacro. Quando parliamo di luogo santo intendiamo in senso biblico, cioè intendiamo un luogo “santo” in quanto vi è la “presenza” di Dio nella potenza di benevolenza per l’uomo, il luogo santo perché da esso promana la memoria vivente ed efficace della continua fedeltà del Signore, segno della sua santità. Parlare di pellegrinaggio, guardiamo ai pellegrini coloro che si mettono in cammino per una meta, e i pellegrini ripercorrono, sotto la spinta esemplare della viva esperienza dei discepoli che accorrono alla “tomba vuota” del Risorto, i passi della fede pasquale.

Le donne che si recano al sepolcro il mattino di Pasqua (Lc 23,55-56; 24,1-8), sono le prime pellegrine cristiane, e tracciano un cammino.                                                                           Oltre ad offrire queste icone bibliche, vorrei condividere, l’icona biblica che tutti conosciamo della donna emorroissa (cfr. Mt 9,18-26; Mc 5,25-34; Lc 8,40-56). Una donna che da dodici anni ha una grave malattia “perde sangue”. Perdere il sangue è perdere la vita! Ti senti perso, senti che la morte non ti lascia scampo. Nell’immagine biblica, la Sacra Scrittura non ci riporta il nome, ci fa prendere solo coscienza che la vita non è in suo. La donna si mette in cammino, inizia il suo pellegrinaggio per cercare di incontrare un uomo chiamato Gesù, che, ha visto che ha guarito altri, perché non dovrebbe guarire anche lei! I suoi passi gonfi, ruvidi, il suo affanno, sono mossi dalla speranza di non perdere l’occasione della sua vita, per non cedere il passo alla morte.

Ecco i nostri pellegrini, con i loro occhi pieni di lacrime, con i loro passi lenti, cercano, bussano, per ricevere accoglienza, per essere ascoltati, per essere presi per mano, per riscaldare il loro cuore, perché non venga meno in loro la speranza.

I pellegrini vivono come la donna emorroissa, entrano nei Santuari per toccare con mano, con il cuore, con la propria storia, vogliono essere toccati e segnati dalla presenza di Maria, la Madre del Signore o dei Santi.

I pellegrini vivono questa esperienza: sono andato per vedere, per pregare in quel Santuario, ma ora sento di essere stato toccato profondamente da questa esperienza, a tal punto che mi ha cambiato la vita, e se lo racconto anche a te è perché porto dentro un dono, che desidero condividere con chiunque, perché tutti possano viverla sulla propria pelle.

A proposito, Giovanni Paolo II così scriveva nella sua lettera all’allora delegato pontificio del santuario di Loreto[17], l’arcivescovo mons. Pasquale Macchi (1988-1996), in occasione del VII centenario Lauretano del 1994:

«Per questo non si raccomanda mai abbastanza la necessità di una adeguata pastorale, aperta alle grandi sfide del mondo e ai segni dei tempi, ispirata alle direttive conciliari e del magistero più recente della Chiesa, soprattutto per quanto riguarda l’efficace amministrazione dei sacramenti e la centralità della Parola di Dio. Quante persone si sono recate ad un santuario per curiosità, come visitatori, e sono tornate alle loro case trasformate e rinnovate, perché vi hanno ascoltato una parola che le ha illuminate! […]. L’efficacia dei santuari si misurerà sempre più dalla capacità che essi avranno di rispondere al bisogno crescente che l’uomo sperimenta, nel ritmo frenetico della vita moderna, di un contatto silenzioso e raccolto con Dio e con se stesso»[18].

            I santuari hanno la capacità di aprire il cuore a Dio e all’uomo, di far riscoprire la bellezza della Parola di Dio, l’importanza del sacramento della penitenza e la principalità dell’Eucaristia nella vita del popolo di Dio[19]. Oltre ad essere luoghi di culto, i santuari dovranno diventare sempre più anche luoghi di cultura che incidono positivamente sulla promozione umana, culturale e religiosa del territorio dove si trovano.

            I santuari di oggi, da una parte, ereditano i simbolismi complessi legati ai fenomeni naturali e al sedimentarsi storico, iconografico e agiografico. Dall’altra, nella prospettiva delle istituzioni religiose restano i luoghi privilegiati dove poter ottenere, attraverso l’intercessione della divinità, la grazia di Dio. Nel caso dei santuari cristiani, sono stati condotti, e soprattutto ricondotti, all’ortodossia della Chiesa attraverso molteplici azioni e riflessioni.

            Il Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, poco prima dell’apertura dell’Anno Santo 2000, spiega le funzioni e i significati dei santuari. Questi sono luoghi dove è possibile l’incontro con il Dio vivente, rappresentato dal Vangelo, di cui avvertire «l’esperienza vivificante del Mistero proclamato, celebrato e vissuto»[20].

            Oggi il pellegrinaggio lascia svariati segni della propria devozione a Colei che porta l’aiuto e intercede per lui presso Dio: lasciare dei fiori, lasciare dei monili e oggetti preziosi quale devoto omaggio che accompagna ogni domanda di grazia alla Madre di Dio, lasciare dei ceri, delle candele.

            La diocesi di Nardò – Gallipoli, con a capo il Vescovo vive il suo pellegrinaggio di preghiera, di comunione e di affidamento alla Madonna per consegnare a Lei l’anno pastorale.

Affidare come diocesi il cammino del nuovo anno pastorale e chiedere a Maria di aiutare la diocesi, il Pastore, i sacerdoti, gli operatori pastorali a saper fare le scelte giuste per crescere: è bello potersi ritrovare insieme, tutti i figli con la mamma, radunati ai piedi di Maria, per invocare da Lei nuovo slancio e nuovo entusiasmo per il prosieguo del cammino di fede e di evangelizzazione della comunità diocesana.

Momenti del pellegrinaggio della Diocesi a Parabita (Foto repertorio)

Chiunque visiti i santuari rimane colpito dall’esposizione all’interno di essi o in luogo attiguo di tavolette votive o ex – voto. Alberto Vecchi dice: «Senza corredo adeguato di tavolette votive e di generi ex – voto, un santuario si trova ad essere privo di irradiazioni taumaturgiche, anzi lo si può supporre abbandonato dalla primitiva indicazione celeste che lo aveva costituito luogo di prodigio e di favori inesprimibili. Assenza di ex – voto e condanna all’oblio, per un santuario sono un tutt’uno»[21].

Gli ex-voto hanno un triplice valore: artistico, documentario, religioso. La Chiesa non fa altro che mostrare l’attenzione per gli ex – voto e stabilisce che «le testimonianze votive dell’arte e della pietà popolari siano conservate in modo visibile e custodire con sicurezza nei santuari o in luoghi adiacenti» (CIC can. 1234).

La devozione mariana del popolo è una grande energia. Deve essere guidata, orientata a Cristo, all’uomo e alla vita. Non possiamo non riportare le parole di Paolo VI nella Marialis Cultus 57, che sintetizzano il vero atteggiamento di una pastorale mariana:

«sigillo del valore pastorale della devozione alla Vergine nel condurre gli uomini a Cristo siano le parole stesse che ella rivolse ai servitori delle nozze di Cana: “Fate quello che Egli vi dirà” (Gv 2,5); parole, in apparenza limitate al desiderio di porre rimedio a un disagio conviviale, ma nella prospettiva del quarto Evangelo, sono come una voce in cui sembra riecheggiare la formula usata dal popolo di Israele per sancire la alleanza sinaitica (Es 19,8;24,3.7;Dt 5,27), o per rinnovare gli impegni (Gs 24,24; Esd 10,22; Ne 5,12) e sono anche una voce che mirabilmente si accosta con quella del Padre nella teofania nel monte Tabor: “ascoltatelo” (Mt 17,5)»[22].

In questo articolo voglio non solo far comprendere l’importanza e la bellezza del cammino nostro, ma mi piace sottolineare come anche Papa Francesco vive il suo pellegrinaggio. In tutti i suoi viaggi, Francesco non ha fatto altro che parlare di Maria Vergine, dicendo: «ogni volta che guardiamo a Maria, crediamo ancora nella natura rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto» (Evangelii gaudium 288)[23].

La rivoluzione della tenerezza è una formula molto amata da Papa Francesco[24]. Gesù è venuto per annunziare e testimoniare la rivoluzione della tenerezza, una trasformazione radicale del nostro modo di guardare la realtà e di agire nel mondo, una rivoluzione che ha il suo epicentro nel cuore. Ci aiuta Bernardo Perez, che descrive la rivoluzione in questi termini:

«questa rivoluzione totale implica l’incamminarsi verso un nuovo paradigma: il paradigma del dono in cui si è grati del puro dono dell’esistenza. in questo contesto il cuore umano viene “turbato” dalla natura, che penetra in lui ed esplode in un’armonia universale. Ed è anche commosso dalla presenza dell’altro e di coloro che chiedono la sua compassione. Infine, questo cuore partecipe di ciò che lo circonda è sopraffatto dalla presenza dell’altro. Potremmo chiamare questo paradigma del dono anche “paradigma della tenerezza”. La tenerezza è condizione essenziale dell’essere umano, il movimento interiore dell’uomo che esce da se stesso peer andare incontro a ciò che è altro, all’altro, e se ne lascia colmare. Lascia che il su intimo venga sconvolto alla presenza del mistero che avvolge la realtà. Quando l’uomo vive una simile esperienza, il suo essere spegne i suoi desideri e aspira soltanto alla pienezza della presenza di ciò che è altro e dell’alto. Questa tenerezza lo eleva alla contemplazione della natura come manifestazione di una presenza trascendente»[25].

Spesso il Papa ci ha richiamati a vivere la rivoluzione della tenerezza come Maria, madre della Carità. Siamo chiamati ad uscire per aprire gli occhi e il cuore per l’altro. Soprattutto grazie al pellegrinaggio e al santuario mariano. Francesco ha infatti scritto nell’Evangelii gaudium al n. 286:

«È lì, nei santuari, dove si può osservare come Maria riunisce attorno a sé i figli che con tante fatiche vengono pellegrini per vederla e lasciarsi guardare da Lei. Lì trovano la forza di Dio per sopportare le sofferenze e le stanchezze della vita. Come a san Juan Diego, Maria offre loro la carezza della sua consolazione materna e dice loro: «Non si turbi il tuo cuore […] Non ci sono qui io, che son tua Madre»? Francesco si fa pellegrino sempre, nonostante la sua età e nonostante le sue condizioni di salute. Si fa pellegrino e sperimenta la presenza di Maria perché:

«Come una vera madre, cammina con noi, combatte con noi, ed effonde incessantemente la vicinanza dell’amore di Dio. Attraverso le varie devozioni mariane, legate generalmente ai santuari, condivide le vicende di ogni popolo che ha ricevuto il Vangelo, ed entra a far parte della sua identità storica»[26].

Il Papa ha sempre incoraggiato il cammino, al fine di lenire le sofferenze per il tramite della figura della Vergine Maria, presentandola come modello di grazia, madre e discepola che apre le porte della casa e della famiglia, in particolare nei santuari e nei pellegrinaggi:

«Qui lei ci dà il benvenuto nella sua casa. In questo santuario di Nostra Signora di Madhu, ogni pellegrino si può sentire a casa, perché qui Maria ci introduce alla presenza del suo Figlio Gesù. Qui Srilankesi, Tamil e Singalesi, tutti giungono come membri di un’unica famiglia. A Maria essi affidano le loro gioie e i loro dolori, le loro speranze e le loro necessità. Qui, nella sua casa, si sentono sicuri. Sanno che Dio è molto vicino; sentono il suo amore; conoscono la sua tenera misericordia, la tenera misericordia di Dio»[27].

Notiamo come il Papa parla di casa, quasi un’immagine strappata al Santuario. Il Papa richiama le guerre del tempo tra Tamil e Singalesi, ma oggi quel santuario mariano è segno di unità di riconciliazione tra i popoli:

«Oggi vogliamo ringraziare la Madonna per questa presenza. Dopo tanto odio, tanta violenza e tanta distruzione, vogliamo ringraziarla perché continua a portarci Gesù, che solo ha il potere di sanare le ferite aperte e di restituire la pace ai cuori spezzati. Ma vogliamo anche chiederle di ottenere per noi la grazia della misericordia di Dio. Chiediamo anche la grazia di riparare i nostri peccati e tutto il male che questa terra ha conosciuto»[28].

Afferma ancora: «Proprio come lei ha perdonato gli uccisori di suo Figlio ai piedi della sua croce, tenendo tra le braccia il suo corpo senza vita, così ora lei vuole guidare gli Srilankesi ad una più grande riconciliazione, così che il balsamo del perdono di Dio possa produrre vera guarigione per tutti»[29].

La rivoluzione della tenerezza è lo scandalo della riconciliazione e della riparazione: in tale scandalo si incarna e offre testimonianza alla sua sorgente, Cristo, di cui Maria è madre e discepola. E Maria condivide la sua fede materna e discepolare con come una donna non lontana da noi, ma come donna del popolo e dal popolo. In un altro santuario mariano, questa volta in Paraguay, a Caacupè, si racconta che ella abbia cercato di ricordare al popolo un canto popolare: riscoprite la vostra tradizione, i vostri canti popolari, le vostre preghiere. Tradizione, canti e preghiere che racchiudono la memoria di gioie e di dolori: memoria che Maria ben conosce; afferma il Papa:

«come le dirà Simeone nella sua profezia: “Anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2,35). Eccome l’ha trafitta! Per questo la amiamo tanto e troviamo in lei una vera Madre che ci aiuta a tenere vive la fede e la speranza in mezzo a situazioni complicate. Seguendo la profezia di Simeone, ci farà bene ripercorrere brevemente tra momenti difficili della vita di Maria»[30].

Il Papa parla allora della Nascita di Gesù, della Fuga in Egitto, della presenza ai piedi della croce. Sono momenti particolari, dove intanto si contraddicevano le promesse dell’angelo, ma lei è rimasta sempre la “donna di fede”.  Mi piace come il Papa sottolinea questa realtà in questi passaggi che diventano a mio avviso le parole essenziali da tener presente sempre:

«E tutto questo lo sappiamo dal Vangelo, ma sappiamo anche che, in questa terra, è la Madre che è stata al nostro fianco in tante situazioni difficili. Questo Santuario custodisce gelosamente la memoria di un popolo che sa che Maria è Madre e che è stata e rimane accanto ai suoi figli. È stata e rimane nei nostri ospedali, nelle nostre scuole, nelle nostre case. È stata e rimane con noi nel lavoro e nel cammino. È stata e rimane alla mensa di ogni casa. È stata e rimane nella formazione della Patria, facendo di noi una Nazione. Sempre con una presenza discreta e silenziosa. Nello sguardo di un’effigie, di un’immaginetta o di una medaglia. Sotto il segno di un rosario, sappiamo che non siamo soli, che lei ci accompagna. E perché? Perché Maria semplicemente ha voluto rimanere in mezzo al suo Popolo, con i suoi figli, con la sua famiglia. Seguendo sempre Gesù, dalla parte della folla. Come buona madre non ha abbandonato i suoi, ma al contrario sempre si è fatta trovare là dove il figlio poteva avere bisogno di lei. E questo, solo perché è Madre. Una Madre che ha imparato ad ascoltare e a vivere in mezzo a tante difficoltà da quel: “Non temere”, “il Signore con te” (Lc1,30. 28). Una Madre che continua a dirci: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2,5). È il suo invito costante e continuo: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Non ha un programma proprio, non viene a dirci nulla di nuovo, anzi, le piace stare zitta, soltanto la sua fede accompagna la nostra fede»[31].

Sempre in quel viaggio, il Papa, una volta in Bolivia, affermò: «Teniamo sempre nel cuore la Vergine Maria, umile ragazza di un piccolo villaggio sperduto nella periferia di un grande impero, una madre senza tetto che seppe trasformare una grotta per animali nella casa di Gesù con un po’ di panni e una montagna di tenerezza. Maria è un segno di speranza per la gente che soffre le doglie del parto fino a quando germogli la giustizia. Prego la Vergine Maria, così venerata dal popolo boliviano, affinché faccia sì che questo nostro Incontro sia lievito di cambiamento»[32].

È vero: l’incontro con Maria diventa sempre un cambiamento, da Lei riceviamo l’energia per poter vivere il cambiamento. Quanti uomini e donne di buona volontà si recano per vivere un pellegrinaggio verso la casa di Maria e tornano lodando e ringraziando Dio per le meraviglie che si sono operate.

Concludo con una preghiera, scritta da Bruno Forte, per il pellegrinaggio in Terra Santa dei giovani della diocesi, e cerca appunto di richiamare il senso del pellegrinaggio della fede come metafora della vita tutta in cammino verso l’infinita bellezza di Dio: Signore, aiutami a comprendere che il vero, grande pellegrinaggio della mia vita è quello verso la profondità di me stesso, dove mi attendi Tu che mi hai creato per dirmi parole d’amore e aiutarmi a realizzare il progetto d’infinita bellezza che da sempre hai pensato per me. Fa’ che io non fugga davanti al fuoco di questo amore, accetti anzi di arrendermi al Tuo abbraccio, per andare non dove avrei voluto, ma dove è bene per me e per coloro cui mi mandi e che mi affidi. Fa’ che io sappia dirTi con umiltà e coraggio: Eccomi! – come un giorno disse, rispondendo all’annuncio dell’Angelo, la Vergine Maria nell’umile casa di Nazaret. Sia lei ad accompagnare la consegna di tutto me stesso unicamente a Te, per lasciarmi condurre con docilità e fiducia ai pascoli della vita che hai preparato per me, offrendoTi alla morte sulla collina fuori di Gerusalemme. E fa’ che riconosca nella Tua Chiesa, comunità di fratelli e sorelle, uniti nel Tuo amore dalla forza dello Spirito disceso a Pentecoste, il grembo vitale dove il mio sì diventerà possibile e la mia gioia piena, nel tempo e per l’eternità. Allora, riconoscerò rivolta a me la parola di promessa e di missione che Tu risorto hai detto ai tuoi inviandoli al mondo intero: Va’ e annuncia il mio Vangelo per i sentieri dove Io ti condurrò, a coloro cui Io ti invierò e che attendono proprio te per ricevere il dono della bellezza che viene dall’alto e che sola cambierà il loro cuore, per fare belle le opere e sempre nuovi i giorni della loro vita. Amen. Alleluia!

 

[l’autore è presbitero della diocesi di Nardò – Gallipoli, teologo]  

 

[1] Racconti di un pellegrino russo, Cittadella, Assisi 1989 p. 46.

            2 N. Fabbretti, Io e la Vergine: ogni sera parlo con lei, in Gente, dicembre 1987, pp. 39-47.

3 Cfr. A. Dupront, Crociate e pellegrinaggi, Boringhieri, Torino 20062, pp. 191-241; M. Sensi, Il pellegrinaggio nella storia del cristianesimo e nella vita della Chiesa, in Lateranum 77 (2011), pp. 659-677; C.C.Canta, Il pellegrinaggio mariano nella post-modernità, in S. M. Maggiani-A. Mazzella (a cura di), Maria e il sacro: forme, luoghi e contesti, Marianum, Roma 2018, pp. 167-226.

4 Cfr.  G. Amorth, Peregrinatio Mariae, in S. De Fiores-S. Meo (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, Paoline, Cinisello Balsamo 1986, pp. 1107-1111.

5 Paolo VI, Udienza generale, del 24 novembre 1976, in <https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/audiences/1976/documents/hf_p-vi_aud_19761124.html>, consultato il 19 agosto 2024; cfr.  F. Altea, Il pellegrinaggio tra fede e scetticismo, Armando Editore, Roma 2013.

6 J. Castellano Cervera, Religiosità popolare mariana. Valore teologico e orientamenti pastorali, in Credere Oggi 49 (1989), n. 9, p. 93.

7 Va comunque ricordato che il pellegrinaggio è un’esperienza autosufficiente, nel senso che trova nei suoi elementi costitutivi la propria maturità e ragion d’essere: in questo senso, essa non ha bisogno del santuario, mentre non è vero il contrario; il santuario ha bisogno del pellegrinaggio in modo tale da essere se stesso. Non esiste santuario senza pellegrinaggio; il pellegrinaggio non ha come sua meta obbligata il santuario. A questo proposito, il n. 279 del Direttorio su pietà popolare e liturgia parla sì di stretta connessione tra il pellegrinaggio e il santuario, ma avendo come punto di partenza il santuario: ne sta commentando, infatti, la determinazione identitaria offerta dal canone 1230 del diritto canonico latino. Solo a partire dal punto di vista proprio del santuario, «il pellegrino ha bisogno del santuario e il santuario del pellegrino» (Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia, LEV, Città del Vaticano 2002, n. 279, p. 235).

8 La consuetudine e la metafora del pellegrinaggio, che la tradizione cristiana ritiene particolarmente significativa nell’esprimere la risultante del movimento salvifico avvento di Dioesodo dell’uomo, costituisce da sempre il proprium dell’esperienza religiosa: il sentirsi attratti dal divino e l’andargli incontro, seppur con fa­tica, “la fatica del cuore”. In particolare la tradizione ebraico-cristiana assume l’esperienza primordiale del camminare, che offre all’uomo la possibilità di lasciare un luogo e di raggiungerne uno nuovo, per significare l’esperienza del credente, in viaggio verso la sua meta ultima. Sotto questo aspetto il binomio Abramo-Maria è prototipico ed esemplare per la Chiesa pellegrinante verso la Trinità: cfr. Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia, nn. 279-287, pp. 235-244.

9 Il pellegrinaggio, che la Chiesa ed ogni credente compiono, possiede, evidentemente, un carattere essenzialmente interiore; si tratta di un itinerario mediante la fede, nello Spirito del Risorto, al Padre; proprio in questo itinerario attraverso lo spazio e il tempo, e ancor più attraverso la storia delle anime, è presente la Vergine con la sua sempre attuale esemplarità di “pia pellegrina”: cfr. Aa. Vv., Avvento di Dio esodo dell’uomo. Il pellegrinaggio della fede, VivereIn, Roma 2000; Aa. Vv., Maria esule, itinerante, pia pellegrina, Messaggero, Padova 1988.

10 Cfr.  G. Conti-G. D’Onorio De Meo (a cura di), Maria Serva del Signore incoronata di gloria, Monfortane, Roma 2002.

11 Va inoltre rilevata la consonanza e il legame tra l’Eucaristia e la Vergine: cfr. E. M. Toniolo (a cura di), Maria e l’Eucaristia, Centro di Cultura Mariana «Madre della Chiesa», Roma 2000.

12 S. Rosso, Pellegrinaggi, in S. De Fiores-S. Meo (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, cit., p. 1102.

13 Non si può fare una teologia del pellegrinaggio senza un’adeguata base antropologica: lo insegna già l’A.T. La comprensione del tema biblico del pellegrinaggio suppone la sua antropologia, altrimenti i segni restano incomprensibili. Ora che questa scienza ha ricevuto cittadinanza tra le discipline teologiche non si può prescindervi: ricordiamo che “antropologia” non significa “orizzontalismo”, ma tenere presente il paradigma dell’uomo quale interlocutore di Dio.

            14 Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater 28, lettera enciclica, del 25 marzo 1987, in EV, vol. 10, n. 1353.

15 C. Mazza, Turismo religioso. Un approccio storico-culturale, EDB, Bologna 2007, p. 13.

16 Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente 49, lettera apostolica, del 10 novembre 1994, in EV, vol. 14, n. 1803.

17 Era la notte fra il 9 e il 10 dicembre 1294 quando, secondo la tradizione, la Santa Casa di Nazaret in cui la Vergine Maria nacque e ricevette l’annuncio dell’Angelo Gabriele, rispondendo «Eccomi, sono la serva del Signore», venne trasportata nel territorio di Loreto in provincia di Ancona, nelle Marche. Mentre fino a qualche tempo fa si parlava di un trasporto per ministero angelico, oggi alcuni documenti indicano che a portare le pietre della dimora terrena di Maria in territorio marchigiano potrebbe essere stata una nave, su iniziativa della nobile famiglia “Angeli” che la inserì tra i beni portati in dote da Itamar, figlia del despota dell’Epiro Niceforo, in occasione del suo matrimonio con Filippo di Taranto. Comunque siano andate le cose, i pellegrinaggi verso Loreto iniziarono già nei primi anni del Trecento e il numero di fedeli che si recano al santuario ha raggiunto, ormai, i quattro milioni all’anno. Per maggiori informazioni, cfr; N. Alfieri-E. Forlani-Fl. Grimaldi, Contributi archeologici per la storia della Santa Casa, Archivio della Santa Casa, Loreto 1977; G. Santarelli, Loreto. L’altra metà di Nazaret, Edizioni Terra Santa, Milano 2016.

18 Giovanni Paolo II, Lettera a Mons. Pasquale Macchi per il VII centenario del santuario della santa casa di Loreto 7, del 15 agosto 1993, in <https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/letters/1993/documents/hf_jp-ii_let_19930815_mons-macchi.html>, consultato il 19 agosto 2024.

19 Cfr. CIC, can. 1234.

                  20 Pontifico Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, Il santuario. Memoria, presenza e profezia del Dio vivente 2, in   <http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/migrants/documents/rc_pc_migrants_doc_19990525_shrine_it.html>, consultato il 19 agosto 2024.

21 A. Vecchi, Religiosità culto folklore. Studi e appunti, Messaggero, Padova 1991, p. 228.

22 <https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/apost_exhortations/documents/hf_p-vi_exh_19740202_marialis-cultus.html>, consultato il 19 agosto 2024.

23 <https://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20131124_evangelii-gaudium.htm>, consultato il 19 agosto 2024.

24 Scrive Suarez: «La rivoluzione della tenerezza è un invito rivoltoci da papa Francesco per combattere la globalizzazione dell’indifferenza, ricordando che fu la rivoluzione della tenerezza a provocare l’incarnazione del Verbo. Papa Francesco utilizza spesso la parola tenerezza: invita a “confidare nella tenerezza”, parla di “forza della tenerezza”, di una “montagna di tenerezza”, insistendo che non si tratta di una virtù dei deboli. Evoca la “tenerezza e giustizia”. La tenerezza è l’espressione più serena, bella e decisa del rispetto e dell’amore. Esprime gratitudine verso una persona che non si vuole giudicare, ma soltanto aiutare» (B. Pérez, Ecologia integrale. Una lettura di Laudato sì a partire dal capitalismo neoliberale, in Selecciones de Teologia 224 [2017], p. 255).

25 Ibidem, p. 255.

26 <https://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20131124_evangelii-gaudium.htm>, consultato il 19 agosto 2024.

27 Francesco, Viaggio Apostolico in Sri Lanka e Filippine, in <https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/january/documents/papa-francesco_20150114_srilanka-filippine-preghiera-mariana.pdf>, consultato il 14 febbraio 2024.

28 Ibidem.

29 Ibidem.

30 Francesco, Viaggio Apostolico del Santo Padre in Ecuardor, Bolivia e Paraguay, 5-13 luglio 2015, in <https://www.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2015/documents/papa-francesco_20150711_paraguay-omelia-caacupe.html>, consultato il 15 febbraio 2024.

31 Ibidem.

            32 Francesco, Viaggio Apostolico del Santo Padre Francesco in Ecuador, Bolivia e Paraguay. Partecipazione al II incontro Mondiale dei movimenti popolari, in <https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/july/documents/papa-francesco_20150709_bolivia-movimenti-popolari.html>, consultato il 15 febbraio 2014

 

 

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