La dittatura del politicamente corretto, di Claudia Divincenzo

La dittatura del politicamente corretto, quella che tappa la bocca alla gente, la cancel culture, quella che censura le idee di coloro che dicono non si possa dire più niente. La dittatura, spiega Zerocalcare nel fumetto del numero 1409 di Internazionale, non esiste. Non esiste per il semplice fatto che nessuno sta censurando le idee. La dittatura del politicamente corretto è immaginaria. Il “non si può dire più niente” ormai va di moda, e lo si dice solo per seguire la corrente, ancora una volta, della maggioranza, perché se si sta tappando la bocca di qualcuno, è delle minoranze. Zerocalcare spiega l’importanza dei social, dell’uso delle parole, come strumento dei giornalisti, che non hanno una vera e propria cassetta degli attrezzi come un idraulico, ma hanno le parole a cui bisogna dare un peso.

Il linguaggio è politico, il linguaggio riflette le nostre idee perché attraverso di esso spieghiamo il nostro pensiero agli altri. Deve necessariamente esserci una connessione tra parole e idee, come uno specchio che riflette la nostra immagine. Finora il linguaggio è stato il mezzo di espressione della maggioranza, attraverso cui questa esprimeva le sue idee e il suo punto di vista. Di conseguenza, in un momento storico come questo, in cui, grazie ai social, tutti hanno la possibilità di esprimere le proprie idee, il linguaggio si deve adattare anche alle esigenze degli altri, esclusi da molto tempo.

Con i social l’essere umano ha avuto uno spazio importante su cui condividere le sue idee, e questo non è affatto un aspetto negativo, perché i social contribuiscono a una più veloce circolazione delle idee e delle notizie. Il problema sorge quando le idee vengono espresse non per creare un dialogo e un confronto fruttuoso, ma per andare contro un’altra ideologia, con il pretesto di aumentare il proprio numero di followers. Zerocalcare ha evidenziato come parlare della falsa dittatura del politicamente corretto vada ormai di moda, e come in realtà non c’è assolutamente nessuna dittatura, perché l’essere umano continua ininterrottamente ad esprimere le sue idee con qualunque mezzo. Siamo circondati da notizie, vere e false, siamo circondati da opinioni disparate e diverse, e trovare quella più vera secondo il nostro giudizio diventa sempre molto più complesso, soprattutto in un sistema che non educa i ragazzi e le ragazze ad informarsi nel modo giusto, rischiando di farli diventare vittime dell’ennesimo clickbait (acchiappa-click) e dell’ennesima fake news. La ricerca della notizia più veritiera diventa così molto più complessa del previsto.

Come ha scritto Zerocalcare, in questa dittatura immaginaria ognuno ha il proprio spazio in cui condividere le proprie idee, in cui si creano fazioni immaginarie dei pro e dei contro, barricate finte che non lasciano filtrare le idee altrui. Si attacca la gente attraverso i social, le si va contro senza la possibilità di creare un dialogo ma soprattutto un confronto. Si rimane convinti nelle proprie idee, perché quei pochi followers che ci seguono sono d’accordo, ma quei seguaci non sono la realtà. L’essere umano si sente quasi onnipotente di fronte alle proprie idee e a quelli che gli vanno contro, non rinuncia ai propri spazi per lasciare posto alle idee e alle opinioni altrui, e spesso sui social si fa difficoltà a creare un confronto equo. Non ci si accorge che le parole sono armi potentissime, e al posto di creare confronti si creano guerre inutili che pochissime volte trovano riscontro nella realtà. Non è la gara a chi dice l’ultima parola, non è una gara a chi ha ragione, a chi vede il mondo nel modo giusto. Non è una gara a chi ha più diritti, si tratta di fare spazio agli altri e accettare i propri limiti di essere umano, smettere di essere fermi nel proprio punto di vista e cercare di ascoltare gli altri. Come ha illustrato Zerocalcare, gli automatismi del “si è sempre fatto così” mettono un tappo ad ogni possibile cambiamento, e ci deve essere ascolto per avere un cambiamento. L’essere umano non nasce altruista, altrimenti aiutare gli altri sarebbe stato facilissimo. Rinunciare all’uso di qualche parola perché offende gli altri, rinunciare a qualche comportamento perché spaventa gli altri e le altre non è una censura, ma è semplicemente rispettare esseri umani che finora non sono stati considerati come tali nella società. In una indolenza collettiva, in cui ognuno rimane a guardare o a scrivere sui social, accrescendo il proprio ego grazie ai followers che lo seguono, bisogna capire che il cambiamento non avverrà finché non si collabora e non ci si ascolta l’un l’altro. Non è una guerra, si sta chiedendo alla maggioranza di fare spazio alle minoranze affinché anche loro trovino un posto nel mondo per determinarsi e autodeterminarsi in quanto esseri umani. Simone de Beauvoir ha scritto nel Secondo Sesso che «senza dubbio è più comodo subire un’antica schiavitù che lavorare per liberarsi» [p. 262]. Il cambiamento non si mette in atto rimanendo comodi, la lotta non è mai comoda. Si sta chiedendo alla gente di lottare per un’uguaglianza e per ascoltare la voce degli inascoltati, perché anche solo un sussurro della maggioranza sarebbe capace di soffocare il più grande urlo delle minoranze. La maggioranza non deve donare assolutamente nulla, deve semplicemente restituire la libertà a coloro a cui è stata tolta molto tempo fa.

 

[Studentessa in Fisica, Barletta]

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