Pacta sunt servanda, i patti devono essere rispettati. Oggi forse non più. Uno dei principi cardine del diritto internazionale, sancito anche dall’art 26 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (1969), che dovrebbe garantire la stabilità delle relazioni internazionali, appare oggi sempre più fragile.
Trattati un tempo siglati con solennità vengono disattesi, spesso senza reali ripercussioni, minando la credibilità dell’intero sistema giuridico internazionale. Gran parte di questi accordi nacque nel secondo dopoguerra, quando l’orrore dei conflitti mondiali aveva reso evidente la necessità di regole condivise. Oggi, con il venir meno di quello spirito di coesione, la loro tenuta appare sempre più precaria.
In un mondo ormai dominato da rapporti di forza e politiche sovraniste, ci si interroga sull’attualità e sull’efficacia della multilateralità e del diritto pattizio che, per decenni, hanno regolato i rapporti tra gli Stati.
La stessa Carta delle Nazioni Unite, adottata con l’obiettivo di garantire pace e sicurezza collettiva, troppo spesso si rivela inefficace di fronte alle crisi globali. Oppure si pensi alla costante violazione delle quattro Convenzioni di Ginevra e ai Protocolli aggiuntivi, che costituiscono la base del diritto internazionale umanitario, senza suscitare reazioni adeguate o, spesso, senza alcuna reazione né da parte delle istituzioni internazionali né dell’opinione pubblica mondiale. I milioni di vittime, non solo in Medio Oriente, ma anche nella Repubblica Democratica del Congo, in Myanmar e in Sudan lo testimoniano, come ricordato recentemente da Papa Francesco.
Un tempo, su termini come “genocidio” vi era un consenso condiviso. Oggi, nonostante esista una Convenzione Onu che lo definisce, l’uso stesso della parola è diventato divisivo, strumentalizzato a seconda delle convenienze politiche.
A testimoniare un progressivo disimpegno dalla cooperazione multilaterale va menzionata anzitutto la mancata adesione di potenze globali a trattati fondamentali, come lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale; inoltre, le ritirate da accordi internazionali come la Brexit o il recente abbandono degli Stati Uniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Per non parlare del progetto di legge promosso dal partito repubblicano americano sul recesso degli Stati Uniti dall’Onu, definito da Trump “un club dove le persone si riuniscono, parlano e passano del buon tempo insieme”; infine, merita di essere citata anche la paralisi decisionale in cui versa l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO).
Le cause della crisi del diritto internazionale pattizio sono molteplici e interconnesse.
Anzitutto, l’inefficacia delle istituzioni internazionali, con organizzazioni percepite come non più rappresentative, autoreferenziali e incapaci di affrontare le sfide contemporanee. Istituzioni come l’Onu e la Corte Penale Internazionale oggi appaiono prive di potere sulle azioni degli Stati. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu è spesso paralizzato dal diritto di veto dei membri permanenti, impedendo interventi tempestivi in situazioni di crisi.
In secondo luogo, stiamo assistendo alla frammentazione del consenso occidentale: se durante la Guerra Fredda l’Occidente mostrava un fronte relativamente compatto su principi fondamentali, oggi emergono profonde divisioni interne. La crescita di movimenti nazionalisti e sovranisti ha minato la coesione necessaria a sostenere il multilateralismo, riducendo la capacità di negoziare e mantenere accordi internazionali.
Da ultimo, l’ascesa di nuove potenze ha ridisegnato gli assetti del potere e accelerato il declino dell’ordine multilaterale. Paesi come Cina e India reclamano un ruolo maggiore nella definizione delle regole globali, spesso in contrasto con gli standard occidentali. Il recente ingresso di Cuba e Bolivia nel blocco BRICS è sintomatico della volontà di ridefinire gli equilibri internazionali. Questo spostamento di potere verso un blocco alternativo al sistema egemonico delle economie occidentali contribuisce all’indebolimento dell’ordine multilaterale tradizionale, che fatica ad adattarsi ai nuovi equilibri di potere.
Di fronte a queste sfide, il diritto internazionale rischia di perdere la sua funzione primaria di garantire un ordine basato su regole condivise. E rischia, in ultima analisi, di perdere la sua forza.
Tuttavia, questa crisi può, anzi dovrebbe, rappresentare un’opportunità per una riforma profonda delle istituzioni internazionali. La crescente frammentazione del diritto internazionale con la proliferazione di norme e giurisdizioni potrebbe indicare una sua evoluzione verso una maggiore specializzazione. Ma senza un rinnovato impegno degli Stati nel rafforzare queste regole, il rischio è quello di un ritorno a un mondo in cui la legge del più forte prevale sulla forza della legge.
La domanda cruciale è se la comunità internazionale sia disposta ad adottare le riforme necessarie per adattare il diritto internazionale alle sfide del XXI secolo. In assenza di un impegno concreto, rischiamo di assistere non solo all’erosione delle conquiste giuridiche del passato, ma ad un progressivo ritorno all’anarchia internazionale.
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