Quando l’aviazione israeliana ha sganciato le prime bombe, molte famiglie di Gaza stavano riposando o preparando il suhur, il pasto che precede il digiuno quotidiano del mese sacro di Ramadan. Poco dopo l’una della notte scorsa, i raid compiuti su diverse località da nord a sud della Striscia, hanno definitivamente infranto la tregua che durava dallo scorso 19 gennaio. Il bilancio, secondo il ministero della Salute palestinese, sotto il controllo di Hamas ma le cui cifre secondo l’Onu sono sempre state aderenti alla realtà sul campo, è di oltre 400 morti e un numero imprecisato di feriti. Israele, intanto, continua a proibire l’accesso della stampa estera a Gaza. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha incolpato Hamas per l’offensiva, con il suo “ripetuto rifiuto di rilasciare i nostri ostaggi, così come per il suo rifiuto di tutte le proposte”. Ma in realtà l’attacco arriva dopo due settimane di embargo sui rifornimenti di cibo, medicine, carburante, elettricità e altre forniture essenziali ai due milioni di abitanti della Striscia, nel tentativo di fare pressione su Hamas affinché accettasse un nuovo accordo. La prima fase della tregua si era conclusa infatti all’inizio di marzo, ma la seconda – in cui avrebbero dovuto iniziare i colloqui volti a porre fine alla guerra – non è mai decollata perché Israele era tornato sui suoi passi, premendo perché la fase uno venisse estesa. “Stasera siamo tornati a combattere”, ha dichiarato il ministro della Difesa Israel Katz fugando ogni dubbio che da parte israeliana ci sia ancora qualche volontà di proseguire il fragile cessate il fuoco che finora aveva portato alla liberazione di 33 ostaggi israeliani e circa 2mila detenuti palestinesi.
Netanyahu abbandona gli ostaggi?
“La più grande paura delle famiglie, degli ostaggi e dei cittadini di Israele si è avverata: il governo israeliano ha scelto di rinunciare agli ostaggi. A denunciare il fatto che la ripresa degli attacchi su Gaza equivalga ad abbandonare gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas alla loro sorte è l’Hostages and Missing Families Forum che riunisce i familiari degli ostaggi e che in una nota di poche ore fa hanno espresso “shock, rabbia e terrore” per lo “smantellamento deliberato del processo per il ritorno dei nostri cari”. Secondo le famiglie degli israeliani tuttora detenuti e i loro sostenitori “tornare a combattere prima che l’ultimo ostaggio venga rilasciato costerà la vita ai 59 che si trovano ancora a Gaza e che potrebbero essere salvati e rimpatriati”. In totale, 251 persone erano state rapite dal sud di Israele nell’attacco guidato da Hamas il 7 ottobre 2023. Di coloro che si trovano tuttora detenuti nella Striscia, si ritiene che siano vivi meno della metà. Il governo israeliano – denunciano i loro familiari – “si è rifiutato di dichiarare la fine della guerra, che avrebbe portato ai successivi passaggi dell’accordo e alla loro liberazione”. Le dichiarazioni rilasciate poche ore fa da Ezzat al-Rishq, leader del gruppo armato palestinese, purtroppo sembrano confermarne i timori: i nuovi attacchi, ha detto, sono una “condanna a morte” per gli ostaggi israeliani ancora detenuti nell’enclave.
…e sceglie Ben Gvir?
Ma perché il premier israeliano vorrebbe evitare a tutti i costi un accordo che riporti a casa gli ostaggi e concluda, a distanza di 17 mesi, il conflitto più sanguinoso della storia di Israele? Il motivo – secondo diversi osservatori – risiederebbe nel vero obbiettivo di Netanyahu e coinciderebbe con la sua sopravvivenza politica, messa a rischio da diversi processi per corruzione che, nei giorni scorsi, sono entrati nel vivo. Il leader israeliano convocato in aula ha negato con veemenza le accuse nei suoi confronti e definito i procedimenti “una caccia alle streghe”. Ma per sfuggire alla magistratura, ed evitare che l’opposizione possa rimettere in discussione la sua leadership, sa di dover tenere compatta la sua maggioranza. Per questo, come riporta sul quotidiano Ha’aretz Amos Harel, il suo piano sarebbe stato di sabotare la tregua “fin dall’inizio”. La cessazione delle ostilità raggiunta a gennaio sotto le pressioni di Donald Trump aveva infatti pregiudicato la tenuta dell’esecutivo israeliano, da cui le formazioni più estremiste si erano sfilate. Non è un caso che questa mattina i media israeliani riferiscano che l’ex ministro della Sicurezza nazionale e leader del partito suprematista Potere Ebraico, Itamar Ben-Gvir, sia invece pronto a tornare al governo entro pochi giorni. Come osserva Amir Tibon su X: “Netanyahu aveva una scelta”: restituire gli ostaggi alle loro famiglie o “restituire Ben-Gvir al governo per approvare il bilancio. E ha scelto Ben-Gvir”.
Washington ha dato il suo benestare?
La ripresa dell’offensiva, ordinata da Netanyahu, era stata preventivamente annunciata e approvata dall’amministrazione americana di Donald Trump. Washington ha confermato di essere stata informata in anticipo dell’attacco e di aver dato il suo benestare: “Hamas avrebbe potuto rilasciare gli ostaggi per prolungare il cessate il fuoco, ma ha invece scelto il rifiuto e la guerra”, ha dichiarato il portavoce della Casa Bianca Brian Hughes. In realtà, la tregua era già stata più volte violata in questi due mesi, ma i bombardamenti a tappeto di oggi sono di una portata molto più ampia rispetto alla serie di attacchi con droni che l’esercito israeliano aveva condotto contro singoli individui o piccoli gruppi di sospetti militanti nelle scorse settimane. Secondo Reuters, le Idf avrebbero dichiarato che gli attacchi continueranno per tutto il tempo necessario e potrebbero estendersi oltre i raid aerei. “Non smetteremo di combattere finché gli ostaggi non saranno restituiti a casa e tutti i nostri obiettivi di guerra non saranno raggiunti”, ha confermato il ministro della Difesa, Israel Katz. L’incertezza – mentre Gaza si ritrova ancora una volta sotto le bombe – è tanto maggiore in quanto non è stato definito alcun piano postbellico, che sia palestinese, arabo, americano o israeliano, per il futuro dell’enclave.
“La fine della tregua a Gaza non sorprende, così come non coglie di sorpresa il fatto che a decretarla sia stato Israele con nuovi violenti attacchi sulla Striscia, con il placet di Washington. Del resto, la tregua era nata fragile. Fin dall’inizio infatti il primo ministro Netanyahu l’aveva definita provvisoria, riservandosi il diritto di riprendere la guerra se necessario. E già durante la prima fase c’erano tutti i segnali di una tenuta sempre più difficile e di una distanza tra le parti che ritornava ad ampliarsi. Al mancato ritiro delle forze israeliane dal Corridoio Philadelphi, Hamas ha così risposto bloccando il rilascio degli ostaggi. Tuttavia, la nuova offensiva difficilmente li riporterà a casa, mentre la ripresa della violenza rende ancora più incerto anche il futuro della popolazione di Gaza”.
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