Il Regno di Dio e le stupidaggini di moda, di Rocco D’Ambrosio

Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa
(Mc 4,26-34 – XI TO B). 

Questa domenica dobbiamo riflettere sul Regno di Dio: la realtà che Gesù inaugura con la sua persona e che affida alle nostre mani, in attesa che Lui ritorni e lo instauri in modo definitivo. E il Regno c’entra con la nostra vita quotidiana: personale, familiare, professionale, amicale e cosi via? Ispira il nostro modo di accogliere ed essere lievito nel nostro Paese, nel villaggio globale? Non ci sono dubbi che, se abbiamo creduto e seguito nostro Signore, per il Regno dobbiamo lavorare. Ma come? Gesù, nel Vangelo odierno, ci offre la logica della terra per comprendere lo stile del nostro lavoro: “gettare semi”, si direbbe in sintesi. Nella vita, nel nostro quotidiano, gettiamo tanti semi, purtroppo non sempre buoni: sono relazioni, parole, gesti, emozioni, momenti nel lavoro e opere che realizziamo nei mondi che frequentiamo. Oltre a chiederci se sono buoni o cattivi, se sono in sintonia con il Regno o meno, dovremmo verificare cosa facciamo una volta che li abbiamo seminati. La vita è una continua prova: far crescere i semi buoni che abbiamo seminato in diversi tempi e contesti è una delle sue sfide fondamentali. 

Il Vangelo dice, relativamente al seminatore, che “dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente…”. Non è una logica molto moderna: è poco tecnica. Nel nostro mondo si programma, si verifica, si monitora, si fanno rendiconti a breve, medio e lungo termine, analisi previsionali e via discorrendo. Il contadino evangelico semina e va a casa, “dorma o vegli, il seme germoglia e cresce”. Ciò ci riconduce all’umiltà evangelica: non siamo noi a salvare il mondo, ma è il Signore. Noi siamo suoi operai che collaborano al piano di salvezza. Il seme germoglia e cresce anche senza di noi, ma noi dobbiamo portare il nostro contributo, utilizzando i talenti ricevuti, altrimenti siamo fuori dal Regno.

Viviamo tempi difficili tra guerre, crisi economiche e neofascismi populisti che crescono in diverse parti di Europa e nel mondo. Dobbiamo seminare tanto e il Signore ci aiuterà a raccogliere frutti di comunione e giustizia. Bisogno essere chiari su cosa e come vogliamo contribuire alla crescita di tutti, avere pazienza e lavorare per il Regno, sempre e comunque, nonostante i tentativi di regressione sociale, culturale e politica in atto. Scriveva Milani per i giovani, ma credo valga per tutti: bisogna seminare perché i credenti “vibrino di dolore e di fede pensando all’ingiustizia sociale. Qualcosa, cioè, che sia al centro del momento storico che attraversiamo, al di fuori dell’angustia dell’io, al di sopra delle stupidaggini che vanno di moda”.

Rocco D’Ambrosio

[presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]

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